“1000×5”: famiglie che aiutano le famiglie, l’iniziativa benefica dell’Associazione Alveare di via Neera
«Qui da noi all’Alveare non passano solo cattolici praticanti, ma anche persone di altre fedi, oppure atei… E la divina provvidenza ha lasciato talvolta la sua “traccia”, senza fare distinzioni tra bisognoso e bisognoso, tra
«Qui da noi all’Alveare non passano solo cattolici praticanti, ma anche persone di altre fedi, oppure atei… E la divina provvidenza ha lasciato talvolta la sua “traccia”, senza fare distinzioni tra bisognoso e bisognoso, tra italiano o straniero», dice Luca Maiocchi – responsabile operativo dell’associazione costituitasi nel 2012 presso la parrocchia di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa (via Neera 24, tel. 02 89500817). «Sì, è capitato che dopo un nostro significativo contributo a una richiesta di aiuto, sia seguita una cospicua donazione anonima», rivela con entusiasmo. Segno che le buone azioni sono sempre ricompensate. E ovvio che in questa zona, il quartiere Stadera, dove situazioni di povertà e degrado sono numerose, siano particolarmente ben accette.
La solidarietà per far fronte all’emergenza di chi è emarginato, non trova lavoro o l’ha perso, l’Alveare la mette in pratica da quand’è nata, attraverso le tante attività: dal guardaroba in cui raccoglie abiti usati in buono stato, per adulti e bambini, o attraverso il banco alimentare che assiste 190 famiglie (dove si può accedere con un tesserino, che dà la possibilità di prelevare prodotti, in gran parte forniti da Esselunga o da offerte di singoli).
Ma è in anni più recenti che l’associazione ha dato il via a un’iniziativa molto speciale e che intende rilanciare per il 2020: il “1000×5, che si autofinanzia con donazioni. L’obiettivo è sempre quello di trovare più donatori possibile, e l’ideale sarebbe coinvolgerne un migliaio, che s’impegnino in modo costante a dare un minimo di 5 euro al mese (con modalità di versamento mensile, semestrale, annuale). I soldi servono a supportare persone – italiane o straniere – che non hanno lavoro o l’hanno perso, e quindi famiglie in difficoltà. Si tratta di un impiego in attività socialmente utili: decoro urbano, pulizia dei marciapiedi e dai graffiti, cura dei giardini con raccolta delle foglie, sistemazione di aule nelle scuole della zona e di spazi per il volontariato…
Come funziona il progetto? Chi ha bisogno di aiuto chiede un colloquio e, in base a quel che sa fare, viene messo in contatto dall’associazione con chi ha bisogno di alcune prestazioni ma ha pochi soldi per pagare. Ad esempio un’anziana con una pensione minima vorrebbe rinfrescare la sua casa ma non ce la fa a pagare un imbianchino? Ecco che l’associazione le trova chi fa il lavoro.
Lo scopo, insomma, è certamente l’aiuto economico, ma non solo: «Diamo una mano a queste persone a incontrarsi, conoscersi, sentirsi parte della comunità superando l’isolamento sociale in cui ci si viene a trovare quando non si ha un’occupazione», spiega Maiocchi. «C’è Claudio, che faceva il litografo e ora non ha più un lavoro: qui ha ritrovato un suo ruolo nella società; a fronte del suo aiuto gli riconosciamo un piccolo compenso mensile: è attento, cura la bottega, fa un po’ di accoglienza… Nel guardaroba, oltre alle due volontarie, c’è anche una signora che aiutiamo, tunisina di fede musulmana, Faouzia, è molto brava e lavora bene…».
Piccola associazione no profit, l’Alveare non ha grosse entrate, non partecipa a bandi, «sporadicamente però qualche fondazione elargisce una cospicua somma (in questi anni ci hanno aiutato le Fondazioni di Banca del Monte di Lombardia, Cattolica di Verona, Vismara e Cariplo) – racconta Maiocchi –. E per fortuna abbiamo le offerte anonime in chiesa, che sono l’entrata più significativa, perché il nostro impegno in favore di adulti della zona in difficoltà è ben visibile. Ma, come dicevo, noi vorremmo poter contare su una quota fissa di adulti che possano impegnarsi economicamente in modo continuativo (quei famosi 1000 per 5 euro ci garantirebbero 5000 euro all’anno). I contributi da noi elargiti a persone bisognose servono un po’ a tutto: c’è chi ci paga la bolletta, chi l’affitto… una piccola luce di speranza nel buio della povertà. Ma quel che conta è che queste persone si tengono un po’ impegnate, rientrano in un’attività sociale e sono orgogliose di portare la nostra pettorina: così non si sentono più fantasmi».