25 luglio 1943: la grande illusione degli italiani

Strano a dirsi, per anni il 25 luglio 1943 venne ricordato dal popolo italiano come una giornata di giubilo, di speranza, come un primo passo verso la liberazione e la fine della guerra. Ma fu

Strano a dirsi, per anni il 25 luglio 1943 venne ricordato dal popolo italiano come una giornata di giubilo, di speranza, come un primo passo verso la liberazione e la fine della guerra. Ma fu un’illusione, un sogno. I maggiori protagonisti di quel periodo tennero ben occultati, per decenni, strategia, tattica e compromessi che sfociarono in una fase ancora più oscura e drammatica della nostra storia. L’apertura, non molto tempo fa, degli archivi segreti ha consentito a molti studiosi e ricercatori ulteriori approfondimenti e analisi che meglio chiariscono il susseguirsi di avvenimenti. È su questa base che viene rivisitata la lettura di quel periodo. Ma procediamo con la cronologia storica.

Dino Grandi

Fu il personaggio più significativo, ambiguo ma determinante di quel periodo. Grandi aderisce al fascismo nel 1920 e, a 26 anni, nel 1921 è eletto alla Camera dei deputati. Diventa ministro degli Esteri, della Giustizia, Presidente della Camera dei Deputati e, nel 1932, ambasciatore a Londra dove rimane 7 anni. Nel 1939, quando ormai venti di guerra spirano da ogni parte, rinuncia all’incarico; scriverà: «è necessario dissipare il sospetto dei tedeschi su un mio possibile doppio gioco con gli inglesi». Forse la decisione segue il Patto d’acciaio Italia/Germania stipulato proprio il 22 maggio 1939. In ogni caso la sua contrarietà all’alleanza con la Germania e all’entrata in guerra dell’Italia è ben manifesta.
Alla fine del 1942 le sorti della guerra sono già segnate. L’Armir, l’esercito italiano, inviato in Russia a fianco dei tedeschi, è in rovinosa ritirata sul Don. Le colonie in Africa sono perdute e l’ultimo tentativo di resistenza in Tunisia è fallito.
Nel febbraio 1943 il Re, Vittorio Emanuele III di Savoia, conferisce a Grandi il collare dell’Annunziata che lo rende “cugino del Re”. È la massima onoreficienza di Casa Savoia, un riconoscimento che consente di superare noiosi e numerosi protocolli e ottenere velocemente udienza dal Sovrano; Grandi chiede un incontro che avverrà il 4 giugno 1943.

Il progetto

In qualità di presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, espone minuziosamente al Sovrano la rovinosa situazione dell’Italia; anche il Re, che ne è consapevole, giudica siano necessari radicali mutamenti nella compagine governativa. Grandi propone il Gran Consiglio, come surrogato del Parlamento, per una svolta costituzionale. È questo un organo, voluto da Mussolini nel 1922, per assumere il controllo diretto del Partito. Grandi suggerisce il maresciallo Enrico Caviglia come nuovo capo del governo affiancato da uomini non compromessi con la dittatura. Il Re ascolta con interesse le sue tesi e, quando lo congeda, gli chiede di mantenere il massimo segreto. Per settimane però non viene presa alcuna decisione.
Il 10 luglio 1943 tutto precipita allorché gli Alleati sbarcano in Sicilia. Allo Stato Maggiore dell’Esercito è evidente che ormai la guerra è perduta. I generali Vittorio Ambrosio e Giuseppe Castellano, con il consenso del Re, preparano un piano di emergenza che prevede una pressione costante sul Duce per indurlo a chiarire, nei confronti di Hitler, la posizione dell’Italia. Il 19 luglio Hitler incontra Mussolini a Villa Gaggia di Belluno. Mussolini non chiarisce nulla e ascolta in silenzio le sfuriate paranoiche di Hitler. Per strana coincidenza è il 19 luglio che Roma (non ancora dichiarata città aperta) subisce un feroce bombardamento da parte degli Alleati. Saranno colpite duramente le zone di San Lorenzo, il Tiburtino, il Prenestino e il Casilino. Si conteranno 3mila morti e 11mila feriti.
Secondo lo storico Francesco Perfetti, in questa fase, Grandi cambia strategia e vorrebbe sostituire lui stesso Mussolini ma il Re, diffidente e riservato, preferisce muoversi con i suoi generali e il suo entourage. In ogni caso la convocazione del Gran Consiglio si fa pressante. Verrà stilato un primo ordine del giorno al quale ne seguirà un altro e quello definitivo per ottenere il maggior consenso da parte dei gerarchi. Il 22 luglio Grandi chiede udienza al Duce per anticipargli gli argomenti in discussione. Nelle pieghe dell’odg è implicita la liquidazione di Mussolini, passaggio obbligato per separare l’Italia dalla Germania prima dell’inevitabile vendetta tedesca. Il Duce non sembra cogliere questo pericolo e, alla fine, convoca il Gran Consiglio per il 24 luglio. Grandi la considera, nelle sue annotazioni, “la giornata più importante della sua vita”, ma teme sia arrestato subito dopo la riunione o, addirittura, fucilato. Prima dell’“adunata” si mette in tasca due bombe a mano. La seduta è aperta da Mussolini stesso che per tre quarti d’ora illustra la situazione militare, elogia la resistenza eroica dei tedeschi e critica le truppe italiane che in Sicilia non si sono battute sufficientemente; non è informato dei tentativi, architettati alle sue spalle per la formazione di un governo post-mussoliniano, anzi confida che il re non lo abbandonerà. La discussione è lunga e drammaticamente accesa specie quando è dichiarato superato il regime di dittatura che “ha compromesso i vitali interessi della nazione, ha tarlato e corroso la rivoluzione fascista.”. Alle 23,30 Mussolini, temendo il precipitare degli eventi, propone il rinvio della riunione all’indomani. Grandi si oppone fermamente. Dopo 10 minuti di sosta si invitano i presenti favorevoli all’odg ad apporre le loro firme su due copie, una per il governo l’altra per il Re; si passa ai voti: 19 favorevoli, 8 contrari, 1 astenuto. L’odg Grandi è approvato. Sono le due del 25 luglio. La crisi del regime è aperta e la seduta tolta.
Nella notte stessa Grandi incontra il Ministro della Real Casa; gli consegna l’odg maggioritario e riconferma la proposta del Maresciallo Caviglia come primo ministro. Nel nuovo governo non doveva essere nominato alcuno che avesse avuto responsabilità nel regime e ciò per favorire una soluzione di compromesso con gli anglo-americani.
Mussolini, destituito di fatto dalla sua funzione di “duce”, si reca a villa Savoia alle 17. Rifiuta di esservi accompagnato da Enzo Emilio Galbiati, Capo di Stato Maggiore della Milizia Volontaria per la sicurezza nazionale, che teme il peggio e prospetta al Duce la possibilità di contromisure fasciste. Mussolini ha un piano semplice da presentare al re: un rimpasto ministeriale e poco altro. Non sa che sono già in corso preparativi per il suo arresto predisposto da Vittorio Emanuele III, dal duca Acquarone, da Badoglio, da Ambrosio e dal comandante dei carabinieri. Il Re, dopo averlo ascoltato ed avergli garantito l’incolumità, lo congeda; Mussolini è preso in consegna dai carabinieri senza opporre resistenza; fatto salire su un’autoambulanza è condotto direttamente in carcere.
Alle 22,45 la radio diffonde la notizia: «Attenzione, Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato “le dimissioni” dalla carica di Capo del Governo, primo ministro e segretario di stato, di Sua Eccellenza Benito Mussolini e ha nominato Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato il Cavaliere, Maresciallo d’Italia, Pietro Badoglio».
Il governo militare di Badoglio smantella le principali strutture del regime fascista, scioglie il Partito Fascista, ordina la parziale scarcerazione dei detenuti politici, ma vieta la ricostituzione dei partiti che continuano a operare in forme semiclandestine e, soprattutto, dispone di continuare la guerra al fianco della Germania nazista. Da questo momento, però, iniziano le trattative segrete per concludere una pace separata con gli Alleati, probabilmente iniziate già prima del 25 luglio.

Le mire deluse di Grandi

La mattina del 27 luglio Grandi chiede ad Acquarone il permesso di andare a Madrid per prendere contatto con gli Alleati; vuole verificare la possibilità di un capovolgimento del fronte. Acquarone temporeggia perché non vuole insospettire i tedeschi. Allora Grandi ottiene udienza dal Re e insiste affinché si avalli il suo progetto. Intanto i tedeschi stanno già dilagando nella Penisola. Hitler, ben consapevole della situazione italiana, affianca a ogni reparto dell’esercito italiano, un reparto dell’esercito tedesco secondo il piano ACHSE preparato nel maggio 1943 per controbattere un’eventuale uscita dalla guerra dell’Italia (cit. Prof. Annamaria Isastia). L’8 agosto Grandi incontra nuovamente Acquarone che scoraggiato e triste dice: «Badoglio ci sta portando alla rovina e quanto al tuo viaggio a Madrid non si vuole che sia tu a contattare gli Alleati». Dopo vari rinvii, finalmente il 18 agosto lascia l’Italia, su un aereo di linea, con moglie e figli e sotto falso nome. Quando giunge a Lisbona, dopo una sosta a Siviglia, viene a conoscenza della missione del Generale Castellano, partito il 12 agosto, quale inviato ufficiale di Badoglio, del contatto avvenuto il 14 con l’Ambasciatore britannico a Madrid e dell’incontro segreto il 19 a Lisbona con i delegati militari di Adenauer. Tutto era già stato fatto. Malgrado ciò Grandi offre ancora a Badoglio e al Re la propria disponibilità, ma gli americani pongono il veto anche sul progetto di affidargli il Ministero degli Esteri. La carriera politica di Grandi finisce qui.

Agosto 1943: criminali bombardamenti su Milano e altre città

Quando iniziano i fitti bombardamenti, dell’agosto 1943, i Lancaster della RAF (Royal Air Force) colpiscono soprattutto le civili abitazioni di Porta Venezia, Porta Garibaldi, Corso Sempione, Magenta e Ticinese, non solo, in ondate successive sempre più frequenti, sono distrutti o gravemente danneggiati, Palazzo Marino, la Questura, Parte del Castello Sforzesco, Santa Maria delle Grazie (salvo il Cenacolo Leonardesco coperto da sacchi di sabbia), il Duomo, la Scala, la Galleria, la Rinascente, l’Ospedale Maggiore (la storica Ca’ Granda). Il bilancio finale di quell’agosto è drammatico: 239 industrie colpite, 11.700 edifici abbattuti, più di 15mila quelli danneggiati, centrali elettriche, reti di trasporti e di comunicazione quasi totalmente inservibili, centinaia i morti, migliaia i feriti. Tutto ciò mentre gli accordi segreti con gli Alleati proseguono per giungere all’armistizio e alla pace separata. Si ha ben ragione di chiedersi perché? Si voleva accelerare, con il terrorismo aereo, la capitolazione dell’Italia? Negli annali della storia risulterà chiaramente questa strategia.

8 settembre: l’armistizio, la tragedia dell’esercito italiano, la valorosa riscossa

Dunque fin dal 12 agosto il Generale Castellano stava conducendo, in Spagna, trattative serrate soprattutto per impegnare gli alleati a intervenire sul territorio nazionale e rendere possibile lo sganciamento dell’Italia dalla Germania. Approccio dopo approccio il 3 settembre a Cassibile, in Sicilia, si firma l’Armistizio corto con resa incondizionata (Short Military Armistice), siglato ma non ancora reso pubblico. I generali di corpo d’Armata, e tutti gli Alti comandi sono tenuti all’oscuro di ciò che sta per succedere. Gli accordi con gli Alleati prevedono l’annuncio ufficiale dell’Armistizio lungo (cioè ufficiale) per il 12 settembre ma il Generale Eisenhower, rompendo gli indugi, fa trapelare la notizia agli Stati Maggiori alleati. Badoglio non può fare a meno che accettare lo stato di fatto e l’8 settembre. alle ore 19,45, via radio, dirama lui stesso la drammatica notizia: «Il Governo italiano riconosciuta la impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

L’Italia s’illude che la guerra sia finita invece inizia il peggio

Alti Comandi, Ufficiali e truppa si vedono circondati immediatamente dai soldati della Wehrmacht che sparano apostrofandoli “traditori”. Molti verranno uccisi prima di rendersi conto di cosa fosse successo. Nessuna direttiva, nessun ordine è impartito ai comandi militari italiani. Lo sfascio è completo. Hitler in persona, rabbioso, ordina le più cruente rappresaglie. Nei Balcani, in Corsica, nell’Egeo la vendetta tedesca è atroce. Ai migliaia di soldati fatti prigionieri viene posto il ricatto: “se vuoi salva la vita devi combattere a fianco dell’alleato tedesco per il grande Reich”. In pochi aderiscono e chi non lo fa viene immediatamente soppresso o inviato nei campi di lavoro forzato in Germania. A Cefalonia soldati e ufficiali della Divisione Acqui, rifiutano in massa di deporre le armi e combattono contro i tedeschi. Alla fine la Divisione Acqui sarà annientata. Intanto la mattina del 9 settembre il Re e tutta la famiglia reale, nonché il Maresciallo Badoglio, fuggono a Brindisi via Pescara.
Il Re, nel frattempo, ha provveduto a consegnare, a un dignitario di sua fiducia, i gioielli della corona e spedito in Svizzera quaranta carri merci sigillati, pieni di quadri, sculture, vasi preziosi, tappeti e argenteria. La tragedia è compiuta. L’Italia, il popolo italiano subiranno ancora un anno e mezzo di guerra, di rappresaglie, di eccidi. Quante disumane catastrofi si sarebbero potute evitare! Eccidio di Sant’Anna di Stazzema (12/8/’44); eccidio di Marzabotto (29/5/’44), Fosse Ardeatine (24/3/44) e potremmo continuare a lungo. Sarà ancora una volta il meglio del popolo italiano che salverà l’Italia dall’ignominia e dal disonore di governanti incapaci e corrotti. Coloro che il 25 luglio erano stati liberati dalle carceri e dai confini di Ventotene, Lipari e Ponza, rientrati in clandestinità, gettano le basi del futuro Comitato di Liberazione Nazionale. Le bande partigiane al Nord e i soldati del Sud, unitisi alla Quinta e all’Ottava Armata Alleata, formeranno quel granitico patto, la Resistenza che, per dirla con Calamandrei, riscatterà la vergogna e il terrore del mondo.

Pinuccia Cossu

(La documentazione storica è stata tratta da interviste al professor Francesco Perfetti e alla professoressa Annamaria Isastia; dal libro “L’Italia della disfatta” di Indro Montanelli e Mario Cervi, da “Storia del Movimento e del Regime Fascista” di Enzo Santarelli, e da articoli di giornali dell’epoca).

 

Milano, agosto 1943

Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.

Salvatore Quasimodo, Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1960

Elisa Paci, 24 anni, laureata in Comunicazione e Società (Scienze Politiche), blogger e fotografa, ha uno spirito internazionalista, che la porta a viaggare a Milano e nel mondo, in aiuto di chi non ce la fa, siano persone, interi popoli o piccole redazioni digitali. Per lei il reaggae è il massimo.

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