58° Biennale di Venezia, il mondo contemporaneo alla tradizionale rassegna d’arte
La Biennale ospita artisti internazionali “in vita”, protagonisti di un’epoca infastidita dalla presenza di fake news e post-verità, alimentate dalla Rete e da informazione fai-da-te, e chiamati a scardinare le false certezze di questo periodo
Quando le prime nebbie milanesi lasciano il posto alle prime terre coltivate della campagna bresciana, il treno che mi sta portando a Venezia per visitare l’Esposizione Internazionale d’Arte (clicca qui), la prestigiosa “Biennale”, comincia il suo percorso attraverso la pianura veneta e quel verde silenzioso proprio dei territori intorno al Brenta. Alla fine del tragitto rimango a guardare la spettacolare entrata delle carrozze nelle acque della Laguna, su rotaie che corrono parallele alla strada Statale e che ora dai finestrini mostrano le prime briccole, i lunghi pali in legno che segnalano le vie di navigazione.
Dalla stazione di Santa Lucia per raggiungere i Giardini – la sede espositiva principale della Biennale, per conoscerla clicca qui– si arriva a un tratto di strada fatto di piccoli ponti e brevi scale, di vicoli stretti e di locande con scritte in dialetto, un vero tour dentro alla città. Quando si entra nel parco che ospita la più antica rassegna d’arte europea, bisogna però avere chiari prima di tutto due aspetti: la visione e il criterio con cui il curatore, l’americano Ralph Rugoff, ha preparato per questa 58esima edizione il Padiglione Centrale – un edificio di fine Ottocento ampio e monumentale, cuore della manifestazione – così da avere la necessaria chiave di lettura per comprendere i tanti lavori esposti. Dalle prime informazioni sui cartelloni si riesce già a capire che c’è una rottura netta con le precedenti edizioni: un indizio è dato dal fatto che nel secondo e altrettanto importante polo espositivo, l’Arsenale, gli artisti invitati a esporre sono gli stessi presenti nei Giardini. Un fatto unico, ma molto significativo perché, in questo modo, le loro opere si devono confrontare con spazi e forme architettoniche estremamente diverse, richiedendo dunque soluzioni “creative” altrettanto diverse.
Il secondo indizio è nel titolo dato alla mostra, May you live in interesting times (Che tu possa vivere in tempi interessanti), che per lo stesso curatore è una citazione di un’antica profezia cinese riportata dal parlamentare inglese Chamberlain, in occasione di un suo discorso circa l’imminente attacco alla pace continentale da parte dell’esercito tedesco. Quando correva l’anno 1936.
D’altra parte anche questi sono anni di grandi crisi, non solo economiche, e i disastri ambientali, la rinascita di spinte nazionalistiche e la diffusione capillare di tecnologie non sempre al servizio del bene del mondo, rendono il terreno fertile per vivere “tempi interessanti”. Specialmente per il mondo dell’arte, laddove si sviluppano, nei periodi critici, ragionamenti alternativi e nascono dibattiti complessi.
Ecco perché allora questa Biennale vede la presenza esclusiva di artisti “in vita” e di tutte le nazionalità, veri protagonisti di quest’epoca infastidita dalla presenza sempre più imponente di “fake news” e post-verità, alimentate dalla Rete e dall’informazione fai-da-te, chiamati ora a scardinare le false certezze di questo periodo storico. Nessun rimpianto per l’età dell’oro dell’Arte, dunque, ma semmai un tentativo di riportarla al ruolo centrale che le spetta.
In questo senso va interpretato il lavoro inquietante dei cinesi Sun Yuan e Peng Yu (per vedere le opere, clicca qui), ideatori di un braccio meccanico che si muove all’interno di una grande teca, programmato per riportare a sé un liquido denso e rosso, ma che a causa del suo continuo scivolare sempre in avanti, rende vano ogni tentativo di concludere la missione.
La durezza dei tempi è segnalata bene anche dai lavori di Zhanna Kadyrova (per vedere le opere, clicca qui), un’artista ucraina che crea capi d’abbigliamento con cemento e piastrelle di ceramica.
Shilpa Gupta (per vedere opere, clicca qui), indiano, aggiunge senso a questo spaesamento dovuto ai conflitti perenni in atto nel mondo facendo oscillare continuamente da una parte e dell’altra un pesante cancello di ferro. Il risultato è un muro devastato, a destra e a sinistra, dagli urti di questo meccanismo impazzito.
In una delle stanze è presente un’importante opera pittorica di Njideka Akunyili Crosby (per vedere le opere, clicca qui) , capace di rappresentare la vita domestica per nulla facile delle donne nigeriane grazie ad una tecnica mista, fatta di colori, giornali, riviste, fotografie.
Ma se per la vita reale ci sono poche vie di fuga, ecco allora che la soluzione proposta da diversi autori è quella di creare nuove forme di esistenza, a volte tramite i programmi virtuali di un computer, a volte inventando ecosistemi differenti. È il caso di Anicka Yi (per vedere le opere, clicca qui), un’artista sudcoreana che ha modificato delle colture batteriche per fargli attivare un sistema di Intelligenza Artificiale all’interno di tre grandi pannelli di vetro, pieni di fango e acqua, dove si propagano colonie di microalghe.
Dopo essere usciti dalla parte centrale dell’evento – avendo cura di voler “completare il discorso” con una visita alle sale dell’Arsenale, meravigliose e ricche di installazioni multimediali e di sessioni di videoarte – bisogna cominciare un vero e proprio viaggio attraverso i padiglioni dei paesi ospitati puntualmente ogni due anni. Nei piccoli edifici – alcuni risalgono ai primi anni del XX secolo, altri sono stati costruiti negli anni ‘80 – si passano in rassegna le proposte artistiche di ogni Nazione. E’ un’occasione unica per sentire il polso della contemporaneità dislocata a tutte le latitudini e a tutte le latitudini diversamente interpretata.
Il duo belga composto da Jos de Gruyter ed Harald Thys (per vedere le opere, clicca qui), per esempio, ha costruito automi dalle sembianze di artigiani e altri con le sembianze di folli e borderline, separandoli in ambienti protetti da sbarre. L’umanità divisa, forzatamente e da sempre, fra buoni e cattivi.
Ma c’è anche un’umanità da curare, o almeno così la pensano all’interno del padiglione israeliano, dove l’artista Aya Ben Ron ha ricreato un piccolo ospedale (per vederlo, clicca qui) – con tanto di ticket da prendere per mettersi in fila – allo scopo di ascoltare le persone che hanno subito abusi famigliari ed ingiustizie sociali.
All’interno degli spazi dedicati alla Polonia (per vederli, clicca qui), anche Roman Stańczak denuncia la feroce e rapida ascesa della classe dirigente del suo paese, chiusa e sorda ad ogni riequilibrio di classe: il suo autentico aereo di lusso, capovolto e smembrato, racconta questa frattura.
E mentre tre giovani artisti rumeni impiantato sculture e installazioni per evidenziare le contraddizioni politiche della loro nazione, per il Brasile gli artisti Wagner e de Burca proiettano due diversi video dove i protagonisti sono giovani ripresi a danzare la swingueira, un ballo popolare nella parte nordorientale dello stato sudamericano, inscenando la loro ansia di rivalsa verso le drammatiche difficoltà economiche e sociali (per vedere l’opera, clicca qui).
Proseguendo la visita negli spazi di Giappone, Corea del Sud e Australia, ci si immerge nelle filosofie e nei ritmi del mondo orientale e australe, fatto di riti, suoni e spiritualità.
E l’Italia? Quale contributo dà il nostro paese, oltre quello territoriale? Purtroppo non tutti hanno apprezzato i lavori di Enrico David, Liliana Moro e Chiara Fumai e l’allestimento dello spazio dell’area chiamata Tese delle Vergini, sempre presso l’Arsenale, è apparso fin troppo caotico.
Uscendo da questa bella edizione della Biennale, e camminando verso la via del ritorno, mi riappaiono i canali e le “calle” di Venezia che stavolta, immersa nel buio della sera, sembra ancora più incantevole e misteriosa. Proprio come questa nostra interessantissima epoca.
La Biennale di Venezia www.labiennale.org
58. Esposizione Internazionale d’Arte
11 maggio – 24 novembre 2019