“A model family” , un atipico noir di marca coreana
Nonostante la sua natura vacanziera, il mese di agosto non si è risparmiato in termini di uscite cinematografiche accattivanti. E fra la serie fumettistica di “Sandman” e l’attesa per il quinto round di “Cobra Kai”,
Nonostante la sua natura vacanziera, il mese di agosto non si è risparmiato in termini di uscite cinematografiche accattivanti. E fra la serie fumettistica di “Sandman” e l’attesa per il quinto round di “Cobra Kai”, nel frattempo è ancora la Corea a distinguersi, uno dei paesi più prolifici ed entusiasmanti nel panorama di Netflix. Non a caso siamo passati dai fasti di “Squid Game”, a rileggere il tema orrorifico degli zombie con “Non siamo più vivi”, fino a sfidare addirittura la Spagna, rilanciando il remake coreano de “La casa di carta – Corea”, per l’appunto.
Adesso è la volta di una storia decisamente più “noir” e dai ritmi comunque più rilassati e riflessivi. Non è destinata a diventare magari un cult, ma la serie “A model family” merita una visione proprio per la commistione di più generi. Un semplice professore con problemi economici ruba una partita di denaro alla più potente cosca dello spaccio fra Seoul e Busan, e da qui rimane invischiato in un traffico dove a farne le spese potrebbero essere i suoi stessi familiari. Niente di più semplice per una serie di 10 puntate che si rivela matura a tal punto da non concedersi solo momenti di violenza gratuita, sparatorie o torture.
La forza di “A model family” è raccontare anche il dramma familiare, il desiderio di rivalsa e i rapporti interpersonali. Non è la solita caccia all’uomo o un’eterna diatriba fra criminali e forze dell’ordine. In questo contesto di povertà e lotta per la sopravvivenza, anche gli stessi investigatori e paladini della giustizia trovano il proprio momento di sconforto e mettono a nudo le proprie debolezze.
La Corea che ci viene raccontata è decisamente più compassata, “neorealistica”. Ci troviamo di fronte a una fotografia praticamente perfetta e silenzi talvolta carichi di significato, come avrebbe saputo raccontate il compianto Kim Ki Duk, il maestro del cinema coreano fra dolcezza e dolore interiore.
In “A model family” c’è l’ambizione di ricorrere a un tocco poetico e a tratti suggestivo, nel mostrare situazioni di incertezza e di paura, attraverso pochi commenti musicali che vengono rimpiazzati da colori limpidi e interni di case, scantinati o commissariati quasi raffinati nella loro freddezza. Non è quindi nemmeno il solito noir, ma rimane senza dubbio una parentesi di classe in attesa di una seconda serie, che ci auguriamo possa riservare qualche colpo di scena in più.