A Venezia, l’ultimo film di Daniele Gaglianone – La mia classe
Durante Le giornate degli autori, alla 70ª mostra del cinema di Venezia (28 agosto - 7 settembre), si parla d’integrazione quando viene presentato La mia classe, l’ultimo film di Daniele Gaglianone (Ruggine, 2011).La trama del
Durante Le giornate degli autori, alla 70ª mostra del cinema di Venezia (28 agosto – 7 settembre), si parla d’integrazione quando viene presentato La mia classe, l’ultimo film di Daniele Gaglianone (Ruggine, 2011).
La trama del film, vincitore del premio “I tulipani di seta nera”, si sviluppa partendo dall’idea di mettere in scena la storia di un rapporto che nasce tra una classe di stranieri e il loro professore. L’attore Valerio Mastandrea interpreta il maestro di italiano, che insegna con l’intento di offrire a questi ragazzi stranieri l’opportunità di integrarsi, lavorare e vivere in Italia. La storia appare piuttosto semplice in origine e, senza la presunzione di dar vita a un “remake”, come appunta il regista stesso, prende spunto dall’idea che animò il film di Vittorio De Seta, Diario di un maestro.
Entrambi i registi, infatti, portano in scena studenti veri: della provincia romana nel caso del film di De Seta, extracomunitari nella scelta fatta da Gaglianone. Ma poco prima di dare inizio alle riprese, l’egiziano Shadi, attore improvvisato, riceve la notizia che il suo permesso di soggiorno scaduto non verrà rinnovato. Ed ecco che ciò che si voleva inscenare si fa reale e immediato, invadendo così la finzione.
Che fare dunque se quella sottile linea che separa finzione e realtà e che costituisce la peculiarità del mezzo cinematografico, viene spezzata? Armati di coraggio, regista, attore e troupe proseguono le riprese dopo aver deciso, contro le regole del caso, di assumere e dunque non sostituire, lo sfortunato Shadi. Il film, già dall’inizio presupponeva lo scopo di far riflettere e stimolare domande, ma nessuno si sarebbe mai immaginato che queste domande sarebbero divenute in un secondo momento il vero motore della storia. Un girato che doveva rappresentare uno spaccato di realtà diventa realtà “ripresa”, dove le telecamere seguono e osservano gli attori e le loro domande che, spontanee e “nuove”, diventano l’autentico soggetto del film.
La trama dunque si trasforma. Viene abbandonata la sceneggiatura originaria, per “offrire” un nuovo film in cui troupe e regista entrano ed escono dalla scena e dove, oltre le mura della classe del quartiere multietnico del Pigneto a Roma, anche il set si fa parte integrante della scenografia. Si mette in scena una ricerca diretta della verità nei meandri della finzione. La mia classe, ancor prima di far riflettere il pubblico, ha fatto riflettere chi vi stava dietro riguardo il vero senso del “fare cinema”, abbracciando, forse, anche un’ulteriore problematica: la libertà umana. «È un film», sottolinea Mastandrea nel corso di un’intervista, «che dice molto più di una quindicina di film che ho fatto nella mia vita». Un film in cui tutti diventano attori di se stessi e la regia sembra passare dalle mani esperte del regista alla realtà nuda e cruda, inglobando così, con i propri quesiti, dubbi, problematiche e aspettative, anche Gaglianone stesso. Il regista finisce infatti per raccontarci cosa succede quando a uno degli immigrati coinvolti nel progetto cinematografico non viene rinnovato il permesso di soggiorno, dando così vita a un film nel film, che quindi resta tale, mentre la finzione si tramuta in autentica testimonianza diretta, una testimonianza “tout court”.
Siamo insomma di fronte a un film che insegna a porsi precisi interrogativi su un tema così autentico ed estremamente attuale quale quello dell’integrazione. In conclusione, un film da vedere!
Anita Rubagotti