Al Franco Parenti in scena “Costellazioni”, quando le storie ne incontrano mille altre possibili
Una pedana esagonale, dal pavimento lucido come uno specchio, posizionata di sbieco in mezzo alla sala, tra le due file di poltrone di pubblico disposte ai suoi due lati. Una scenografia spoglia, priva di oggetti, fatta
Una pedana esagonale, dal pavimento lucido come uno specchio, posizionata di sbieco in mezzo alla sala, tra le due file di poltrone di pubblico disposte ai suoi due lati. Una scenografia spoglia, priva di oggetti, fatta solo di suggestivi fasci di luci dall’alto, ora obliqui ora perpendicolari, simulando i riverberi del cosmo e, riflettendosi sul pavimento, creano come un reticolo di fili che avvolge i due protagonisti. Elena e Pietro. Lei una ricercatrice di Fisica all’università. Lui un apicoltore che ha iniziato l’attività sui tetti di viale Padova a Milano. Un uomo, una donna. Un incontro, con un potenziale di infinite possibilità. Tutto accade ma potrebbe anche accadere diversamente. Secondo le molteplici versioni della stessa storia. Un po’ come ripetere mille volte la stessa scena, ogni volta aggiungendo una o più varianti, in una serie di flashback e ripartenze, in cui la più sottile delle sfumature può drasticamente cambiare gli sviluppi dell’incontro.
Al Franco Parenti di Milano va in scena fino all’11 dicembre Costellazioni, pièce teatrale più volte premiata e portata in scena nei principali teatri europei e statunitensi, scritta dal drammaturgo inglese Nick Payne, con la regia di Rapahael Tobia Vogel, protagonisti Pietro Micci ed Elena Lietti (vincitrice del Premio Nazionale Franco Enriquez 2022 come miglior attrice per questo spettacolo). La suggestiva scenografia è curata dal Nicolas Bovey, (scenografo e lighting designer nato a Losanna nel 1973, vive a Torino).
Il talentuoso drammaturgo inglese Nick Payne (classe 1984) specializzato nell’esplorare le complicazioni delle relazioni amorose, ha saputo trovare ispirazione dalla Fisica quantistica e dalle teorie del multiverso e da altre complicatissime teorizzazioni, secondo le quali esiste un numero infinito di universi e ciò che facciamo (o non facciamo) potrebbe accadere con sviluppi e esiti diversi in infiniti universi paralleli. Un tema intrigante entrato già nell’immaginario cinematografico (e di questi giorni l’uscita di Everything, Everywhere, All at Once dei registi Daniel Kwan e Daniel Scheinert che ci fanno viaggiare tra i vari universi che hanno in comune le diverse “versioni” dei protagonisti).
Nick Payne prende questa teoria e la applica ad un rapporto di coppia: un mix seducente che trascina lo spettatore in un vortice di possibilità, come in una sorta di Sliding Doors.
Costellazioni racconta una storia d’amore qualunque, simile a miliardi di altre storie d’amore. Una storia che inizia con un incontro casuale a un barbecue in casa di amici e prosegue attraverso tante situazioni ordinarie, alcune liete, altre drammatiche. I primi approcci impacciati, la convivenza, il matrimonio, le litigate, la sorpresa del matrimonio, il tradimento, la malattia. Tutto può succedere e tutto può cambiare. Basta un gesto, una parola, uno sguardo, un accenno, un sorriso o perfino un tono di voce e il corso degli eventi cambia radicalmente.
Spettacolo vertiginoso, dal ritmo incalzante (in totale sono sessantotto scene) a servizio di una parola continuamente interrotta e ripetuta in una nuova scena dagli esisti diversissimi, attraverso digressioni, flashback e flashforward che ne infrangono la linearità. I fasci di luce – accompagnati da un rumore quasi meccanico (di una leva o di un ingranaggio) come per segnalare il cambio di rotta – fanno al contempo il lavoro del cronometro, indicandoci che siamo tornati indietro nel tempo e che la scena si sta per ripetere, ma con scelte e esisti diametralmente diversi.
I protagonisti rimbalzano da una situazione all’altra, da un sentimento all’altro, sospinti come palline, secondo infinite variabili. Un andirivieni che dà il capogiro. Lo spettatore trattiene il fiato, come sull’ottovolante, una stessa scena a volte fa divertire e altre volte commuove. Con un senso di straniamento, sorpresa, disorientamento, smarrimento che nasce proprio dal contrasto con la nostra aspettativa di conoscere una trama, uno sviluppo lineare, una conclusione univoca. Inutile. Al termine dei 70 minuti, la storia fra Elena e Pietro torna al punto d’origine. Si riavvolge su sé stessa e rincomincia. Ancora sospesa tra più possibilità. Si accendono le luci ed è uno scrosciare di applausi. Usciamo da teatro con un sorriso sghembo, confusi e un po’ divertiti, più consapevoli. Chiedendoci quale sia il rapporto tra le nostre scelte e quanto ci accade. Chiedendoci: “Cosa sarebbe successo se…“. Per immaginare un finale diverso anche della storia della nostra vita.