Alla soglia delle barbarie
L'onda di intolleranza monta in Italia come non è mai successo, sostenuta da politici spregiudicati, che non esitano di fronte a nulla pur di alimentare un consenso malato, basato su odio, ignoranza e fake news.
Viviamo in un’epoca che molti, non impropriamente, definiscono post-ideologica: tracciando una netta linea di demarcazione fra il secolo scorso e quello che stiamo vivendo.
Ma le ideologie sono solo un mezzo, storicamente definito, di operare politicamente. Nascono e muoiono al servizio dei valori in cui si crede. Valori e ideologie non sono la stessa cosa.
È un valore la generosità, è un valore l’amor proprio, è un valore il rispetto della persona umana; sono valori la memoria e la cultura. E altri, ovviamente, compreso l’amor di patria.
Sono valori, non sono ideologie, non sono strumenti di occupazione del potere, non sono catechismi di parrocchie obsolete.
Valori, non ideologie
Sono valori non del deprecato secolo scorso, ma del complesso codice di vita che dovrebbe caratterizzare tutti noi, tanto fieri della nostra civiltà occidentale, dei crocifissi che riteniamo doverosamente appesi in ogni aula scolastica.
Ma che avviene, invece, se il colore della pelle diventa discrimine, carta antidentitaria e addirittura fomite di contrapposizione? Ma soprattutto, che avviene se le sempre più frequenti manifestazioni di insofferenza e di rigetto del diverso, vengono giudicate alla stregua di innocue birichinate, di episodi trascurabili e al massimo di isolate espressioni di maleducazione?
La bambina di colore cui, nella quasi totale indifferenza degli altri passeggeri, una italianissima signora nega il posto a sedere; il calciatore Balotelli oggetto insistito di cori insultanti; il noto ma non preclaro direttore di giornale che in tv si vanta di chiamare ricchioni e froci gli omosessuali e quanto ai negri, li chiama negri perché “non è colpa mia (sic) se sono negri”.
Piccoli episodi? Forse. Ma tanti, in numero crescente, che, laddove prima venivano almeno formalmente deprecati, ora si sentono legittimati da comportamenti e frasi “politicamente scorrette” che discendono dagli alti scranni delle istituzioni.
Cos’è il galateo?
Morte del galateo. Ma di quale galateo? Certo, anche di quello di Monsignor Della Casa, che predicava “la dolcezza de’ costumi e la convenevolezza de’ modi e delle maniere e delle parole” e che ci ricordava che “per lo contrario i zotichi e rozzi incitano altrui ad odio et disprezzo di noi”. Ma sarebbe il meno se, nel frattempo, il leader del maggior partito italiano, per giustificare la mancata approvazione della costituzione di una commissione conoscitiva su razzismo, antisemitismo e intolleranza, non ha di meglio che declamare che anche lui è vittima – come la ottantanovenne Liliana Segre, reduce da Auschwitz – di tantissimi messaggi di odio e di minacce. Caspita, che gigante del pensiero: Salvini nuovo eroe della Shoah!
Diritto di cittadinanza
A questo siamo arrivati, tant’è che il mentecatto capo dei tifosi nazisti di Verona, dopo aver definito Balotelli non italiano, ridacchia e provoca: “Ora mi viene ad arrestare la commissione Segre?”; e tant’è che la giunta leghista di Pescara nega la cittadinanza onoraria alla senatrice Segre con l’illuminata motivazione che “manca un legame con il nostro territorio”! Forse ha ragione, ma questa motivazione porterebbe all’azzeramento della quasi totalità delle cittadinanze onorarie conferite in tutto il mondo; se ne deduce, dunque, che si tratta di pura e semplice ostilità politica. E che un partito, che un po’ dovunque recluta anche dai serbatoi della destra dichiaratamente fascista e che ha fra i suoi più elevati dirigenti “ideologici” quel Savoini, secondo il quale la seconda guerra mondiale l’hanno causata le provocazioni dei polacchi a Hitler (non è una fakenews) non voglia una commissione d’inchiesta sull’antisemitismo dovrebbe far riflettere. Ci sono certamente ottime ragioni per dare voto e consenso alla Lega. Ma avendo chiaro che nella scala delle priorità per cui si vota un partito, i valori della tolleranza, del rispetto della persona, del senso della misura vengono molto dopo i valori del respingimento dei migranti, del calcolo delle accise, dell’autocelebrazione. Tutto rispettabile, purché si rinunci alla penosa giaculatoria del “Io non sono razzista, ma…”.
Il “J’accuse” di Zola
Nel suo celeberrimo “J’accuse” (gennaio 1898) a difesa dell’ufficiale ebreo Dreyfus, ingiustamente accusato, Emile Zola scriveva: “Lo sforzo della civiltà è proprio quello di cancellare questo bisogno selvaggio di gettarsi sul proprio simile quando non è del tutto simile. Nel corso dei secoli la storia dei popoli altro non è che una lezione di tolleranza reciproca, tanto è vero che il sogno finale sarà di ricondurli tutti alla fratellanza universale”. Purtroppo il “sogno finale” auspicato da Zola è ancora di là da venire. Mentre l’esercizio di “gettarsi sul proprio simile quando non è del tutto simile” procede e si intensifica soprattutto nelle fasi in cui la sofferenza economica e le disuguaglianze sono accentuate: in queste fasi sarebbe opportuno riconoscere le origini del male e unirsi in una battaglia comune, anziché rivolgersi contro i più deboli. Sarebbe opportuno e giusto, ma la demagogia, l’iniqua affabulazione di una realtà artefatta, spesso prevale.
Il mito scaccia la ragione
Viviamo in tempi in cui questa mistificazione ha largo spazio. Negli anni di ascesa del nazismo, il grande intellettuale olandese Johann Huizinga scriveva: “Quando in un’unica civiltà, che nel corso di molti secoli si è innalzata a chiarezza e nitidezza di pensiero e di concetto, il magico e il fantastico vengono su, oscurando la ragione, tra un fumacchio di istinti in ebollizione; quando il mito scaccia il logos e ne prende il posto, allora siamo alla soglia della barbarie”.
Purtroppo non si sbagliava. Ma oggi quel rischio di imbarbarimento è più che latente. Naviga già indisturbato in mezzo a noi.