Anna ha tutti i sintomi Covid da marzo, ma ancora adesso con il marito aspetta il tampone «W la sanità pubblica lombarda!»

Malata da due mesi di Covid-19: nessun accertamento, nessun diritto ad avere un tampone, un caso come tanti qui a Milano quello di Anna Ceccon (nella foto a sinistra con Chiara Ferragni), 45 anni, sposata,

Malata da due mesi di Covid-19: nessun accertamento, nessun diritto ad avere un tampone, un caso come tanti qui a Milano quello di Anna Ceccon (nella foto a sinistra con Chiara Ferragni), 45 anni, sposata, designer di moda, libera professionista.

Dai Anna, raccontami questa incredibile odissea ora che stai meglio. Quando ti sei ammalata?
«I primi sintomi li ho avuti il 20 marzo, credo di aver preso il Covid da mio padre (morto così più rapidamente di cancro). Oltre a quelli classici avevo febbre a 37,5 e il medico di base mi ha prescritto la Tachipirina, perciò non mi sono molto preoccupata. Invece dopo una settimana stavo malissimo, per fortuna non vivo sola. Mio marito chiama i tre numeri ufficiali, nessuno risponde! Alla decima telefonata ce la fa. Il 27 marzo mi vengono a prendere con l’ambulanza e mi portano al Policlinico, mi sento in salvo».

Eh certo, finalmente sei in buone mani…
«Mah, mi ritrovo in una stanzetta piena di letti e malati che si lamentano… però sì: visita, esami del sangue, lastra al torace, ossimetro (misuratore saturazione ossigeno da dito – NdR) e… “segua i nostri consigli”. Nessuno mi chiede se convivo con qualcuno, alla faccia della tracciabilità!».

Quindi in giornata sei tornata a casa?
«Sì, con indicazione Tachipirina. Ma che geni: sulla brochure con consigli si dice di non prendere taxi. Peccato che in accettazione chiedo come torno e mi dicono “le chiamiamo un taxi”. Complimenti! Vabbè, chiamo mio marito e lo vado ad aspettare in strada per evitare di contagiare qualche passante. Nella brochure sta pure scritto che sarei stata monitorata… più sentito nessuno!».

E dopo due settimane come stavi?
«Malissimo, chiamiamo il medico di base che mi prescrive un antibiotico,  un antireumatico e l’eparina, ma poi… spossatezza, dolori ovunque, disturbi intestinali, credevo che me ne sarei proprio andata».

E invece ti è andata bene…
«Mio marito prova a richiamare i numeri magici per più di tre ore, niente da fare, messo in attesa o con indicazioni errate. Esasperato telefona al medico di base che finalmente chiede la visita di un clinico. Alleluia! Arriva e mi prescrive gli stessi farmaci (solo da ieri 21 maggio, ho saputo di aver preso per 10 giorni un antibiotico che si dovrebbe prendere al max per 5-6 giorni). Bontà sua visita pure mio marito, chissà forse ha avuto il Covid in forma leggera. Un esame sierologico no? Macché. E aggiunge che a me faranno il tampone alla fine cura, però occorre il codice Ateco».

Codice che?
«Ateco, cioè un numero che corrisponde alla professione: e in base al mio codice non ho diritto al tampone! Il medico di base però scrive solo le prime due cifre, ed eccomi inserita tra i più bisognosi, dopo oltre due mesi di sofferenze. Resto in attesa… Intanto ho prenotato a pagamento un tampone anche per mio marito, a cui è stato  detto che può uscire senza alcun controllo pur essendo stato a contatto con me per due mesi. W la sanità pubblica lombarda!»

Laurea in Lettere moderne, prima ha lavorato in editoria come redattrice nella collana Bur, poi, passata al giornalismo, nei periodici Rizzoli Natura Oggi e Salve.

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