Anniversario eccidio dei Martiri di piazzale Loreto – La testimonianza di Sergio Temolo, figlio di Libero, uno dei 15 antifascisti uccisi

Alla vigilia della commemorazione dell’eccidio dei Quindici Martiri di piazzale Loreto del 10 agostoalle 9,30,  prossimo, pubblichiamo la testimonianza di Sergio Temolo, figlio di Libero, uno dei partigiani uccisi di 76 anni fa dai fascisti

Alla vigilia della commemorazione dell’eccidio dei Quindici Martiri di piazzale Loreto del 10 agostoalle 9,30,  prossimo, pubblichiamo la testimonianza di Sergio Temolo, figlio di Libero, uno dei partigiani uccisi di 76 anni fa dai fascisti della Brigata Nera “Aldo Resega” e della Legione “Ettore Muti”. Un’esecuzione sommaria, compiuta su ordine dei tedeschi, per rappresaglia dopo un attentato a un camion di militare, avvenuto due giorni prima in viale Abruzzi.

I quindici antifascisti furono prelevati dal carcere, e portati alla mattina 5,45 in piazzale Loreto. Qui con delle raffiche di mitra furono uccisi e abbandonati per terra, fino a sera – ammucchiati “come spazzatura” racconterà poi il poeta Franco Loi -, sorvegliati dalle squadre fasciste, affinché nessuno provasse a portarli via o anche solo sistemare o dare un aspetto decente ai cadaveri. Accanto un cartello con la scritta “Questi sono i gap squadre armate partigiane assassini”.

Uno sfregio ai martiri e all’intera città, compiuto da italiani, che rimase impresso nella memoria di tutti i milanesi e antifascisti, al punto che quando 8 mesi dopo i cadaveri di Mussolini e della compagna Claretta Petacci giunsero dal Lago di Como in città, la loro triste esposizione al Paese e al mondo non poté che avvenire nello stesso posto.Un  simbolico risarcimento dell’assassinio dei quindici antifascisti Gian Antonio Bravin, Giulio Casiraghi, Renzo del Riccio, Andrea Esposito, Domenico Fiorani, Umberto Fogagnolo, Tullio Galimberti, Vittorio Gasparini, Emidio Mastrodomenico, Angelo Poletti, Salvatore Principato, Andrea Ragni, Eraldo Soncini, Libero Temolo, Vitale Vertemati.

Il ricordo di Sergio Temolo, figlio di Libero

“Mio padre era cresciuto in una famiglia antifascista, con undici tra fratelli e sorelle. Mio nonno era una persona con forti ideali, che trasmise ai figli già a partire dal nome a loro imposto: mio padre Libero Progresso, poi Giuseppe Garibaldi, Annita, Dante, Libera, Giordano Bruno e Bruno Giordano e così via. Il mio nucleo familiare era composto da me e da mio padre; vivevamo ad Arzignano in provincia di Vicenza. Poi mio padre decise di venire a Milano per cercare lavoro. Fu assunto alla Pirelli Brusada (dove ora c’è il Pirellone) e in seguito alla Bicocca. In quel periodo si sposò e nel 1936 portò anche me a Milano; avevo sei anni. La sua attività antifascista proseguì anche qui; era collegato al PCI clandestino ed era responsabile per il partito alla Pirelli Bicocca. Vicino a noi abitava Nino, il sarto, ma quella era solo una copertura, infatti il vestito che doveva cucire per me non fu mai realizzato. In realtà mio padre ed io andavamo da lui prima del coprifuoco per portare o ritirare materiale, io servivo da “contenitore” per la carta stampata. Un anno dopo di noi è arrivato a Milano anche Franco Loi; siamo diventati subito amici e lo siamo ancora oggi che abbiamo novant’anni (NdR: Loi è un famoso scrittore e poeta, soprattutto dialettale). Con lui e altri ragazzi, nel periodo dal 1942 al 1945, avevamo formato un gruppo, “La mano nera”, che compiva azioni di disturbo, come scritte murali (W la pace, W il pane bianco, ecc.) e volantinaggio nelle caselle delle villette dei ricchi, che noi credevamo fascisti e invece ci rendemmo conto in seguito che sbagliavamo.
Mio padre fu arrestato ad aprile del 1944, all’uscita dal lavoro. Si trovava in carcere quando, il 10 agosto, insieme ad altre quattordici persone, fu portato in piazzale Loreto per essere fucilato. Lui ed Eraldo Soncini, un altro della Pirelli, cercarono di fuggire, ma furono raggiunti dagli spari. I loro corpi facevano da perimetro al mucchio dei Quindici Martiri. Fu un atto di rappresaglia a seguito di un’azione, mai rivendicata dai partigiani. Un camion tedesco era stato fatto saltare in aria e, nonostante i soldati tedeschi non avessero riportato perdite, l’ordine fu di fucilare quindici antifascisti.
Fu in realtà una strage allo scopo di intimidire i cittadini, molti dei quali furono costretti a sfilare davanti ai corpi ammucchiati. Io non seppi subito della fucilazione di mio padre perché non mi trovavo a Milano – continua Sergio Temolo – i miei familiari, dopo il suo arresto, avevano ritenuto opportuno mandarmi ad Arzignano. Stavo in casa di una zia, moglie di un fratello di mio padre, anch’egli arrestato a seguito degli scioperi e deportato a Fossoli e poi a Mauthausen. Vi furono degli accadimenti quel giorno che mi fecero sospettare che fosse successo qualcosa, ma nessuno fece trapelare alcunché, nemmeno mio zio Eugenio che era nascosto con i partigiani e che spesso incontravo. Appresi della morte di mio padre solo al mio ritorno a Milano, mi pare fosse verso la fine di ottobre. Stavo camminando verso piazzale Loreto con un’altra persona che, quando ci trovammo all’angolo con via Doria, mi disse: ‘È qui che hanno ucciso tuo padre.’ Giunto a casa, la  mia matrigna mi chiese se avevo saputo del papà; annuii senza dirle che lo avevo appreso poco prima.

Invece il mio amico Franco Loi aveva visto quei corpi ammucchiati. Conosceva mio padre e, quando seppe che anche lui era una delle vittime, fu molto colpito, al punto che per tre mesi tornò a dormire con i suoi genitori. Sull’eccidio scrisse ‘Piazzale Loreto 1944’, un bel ricordo poetico.
Non c’ero quel 10 di agosto, ma c’ero ad aprile del 1945 quando, simbolicamente nella stessa piazza, portarono i corpi di Mussolini, della Petacci e dei gerarchi fascisti. Dall’alto di un cumulo di macerie osservavo con Franco Loi quel che accadeva; vedevamo tutta la folla accalcata e la rabbia violenta che si esprimeva con calci e sputi contro quei corpi ammassati. Per questo motivo decisero di appenderli sulle strutture del distributore della Esso. Non mi piacque quella scena, come tutto quello che succedeva in quei giorni.” Aggiunge Sergio Temolo con commozione: “per me non fu una festa perché comunque l’unica persona che amavo non c’era più. Ero rimasto solo. Fu la stessa sensazione che provai al processo a Saevecke; l’ho quasi sempre seguito, ma per me aveva solo un significato civile e storico (NdR: Theodor Saevecke, riconosciuto il responsabile della strage, subì un processo in contumacia in Italia solo negli anni Novanta. Venne condannato all’ergastolo, ma rimase libero fino alla morte, in quanto fu respinta la richiesta di estradizione).
Oltre al monumento dedicato ai Quindici Martiri in piazzale Loreto, il Comune di Milano ha intitolato a mio padre una nuova via, ubicata nel perimetro dove sorgeva la Pirelli Bicocca”. Conclude Sergio Temolo: “Di mio padre mi restano due foglietti che trovarono nelle sue tasche, dove aveva scritto: ‘TEMOLO coraggio e fede. Sempre fede LIBERO. Ai miei adorati sposa, Sergio e fratelli: coraggio, coraggio, ricordatevi che io vi ho sempre amato. Un abbraccio dal vostro Libero. Raccomando Sergio, educatelo. Baci a te sposa e fratelli Temolo’. Si era raccomandato che si occupassero della mia educazione ed io ebbi la fortuna di entrare nel Convitto Scuola Rinascita per partigiani e reduci.Vi rimasi da agosto del 1945 fino al 1949; questa esperienza è servita a darmi una grande famiglia, a studiare e a formarmi. I cinque anni di guerra e i quattro del Convitto Rinascita furono per me una scuola di vita. In tutti questi anni il ricordo di mio padre non mi ha mai abbandonato; per un lungo periodo lui fu la mia famiglia, l’unica persona da me amata”.

Testimonianza raccolta da Patrizia Rulli, per pagina Facebook La Città di Cinisello.

Aligi Sassu, Martiri di piazzale Loreto

Giornalista dello scorso millennio, appassionato di politica, cronaca locale e libri, rincorre l’attualità nella titanica impresa di darle un senso e farla conoscere, convinto che senza informazione non c’è democrazia, consapevole che, comunque, il senso alla vita sta quasi tutto nella continua rincorsa. Nonostante questo è il direttore “responsabile”.

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