Bene, firmata l’ordinanza n.547 della Regione: però come siamo messi in Lombardia?
Sì, come promesso dal Presidente della Regione, dopo il nuovo dpcm del governo, è seguita immediata l'ordinanza sulle "Ulteriori misure di prevenzione e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19". Sono la bellezza di 34 pagine di cui
Sì, come promesso dal Presidente della Regione, dopo il nuovo dpcm del governo, è seguita immediata l’ordinanza sulle “Ulteriori misure di prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19″. Sono la bellezza di 34 pagine di cui 22 di allegati relativi alla riapertura delle diverse attività.
Tra i vari considerato, ribadito, rilevato, visto, ritenuto, ravvisata, dato atto… (un elenco sempre più lungo di leggi, decreti, articoli, commi…) forse il rimando che si dà per scontato, ma scontato non è, è la data dell’istituzione del servizio sanitario nazionale (SSN): 1978 con il corollario della sua regionalizzazione.
VISTA la legge 23 dicembre 1978, n. 833, recante «Istituzione del servizio sanitario nazionale» e, in particolare, l’art. 32 che dispone che «il Ministro della Sanità può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni» e che «nelle medesime materie sono emesse dal Presidente della Giunta regionale ordinanze di carattere contingibile e urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla Regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni»;
Con la legge 833/1978, proposta da Tina Anselmi, allora Ministro della sanità, venne soppressa la “mutua”, ossia gli enti mutualistici, con i quali il diritto alla tutela della salute dipendeva dall’attività lavorativa di una persona, non dal suo essere un cittadino. Il principio guida della nuova legge si basava sul concetto di sanità come “bene universalmente fruibile” e “bene pubblico essenziale“. In un breve arco di tempo, con il passaggio alle Regioni, il concetto si diluì in “bene necessario per l’equità” e nel 1992 con la legge delega le Usl (unità sanitarie locali) furono modificate in Asl (azienda sanitaria locale), secondo una logica aziendalistica di mercato, l’attività di “cura” divenne “prestazione“, gli ospedali “aziende ospedaliere”, il tutto guidato dal federalismo fiscale: ossia da tributi quali Irap, Irpef e compartecipazione del gettito Iva. Questo significa che “le entrate di ogni ente regionale dipendono strettamente dalla base imponibile di ciascuna regione, ossia il Pil regionale”. Da qui il gap tra le regioni “ricche” e regioni “povere” e il fenomeno della “migrazione ospedaliera”, ribaltando il concetto di sanità come “bene pubblico e universale”.
Nella figura 1 l’evoluzione della disparità tra i diversi territori (da Osservatorio Globalizzazione, Sanità pubblica di Matteo Samarani)
Il progressivo definanziamento del SSN a seguito della crisi e dell’austerity nell’ultimo decennio ci porta direttamente a comprendere la gravità della situazione sanitaria in Italia e in particolare modo in Lombardia a seguito delle scelte scellerate di privatizzare la sanità dando maggiore importanza alla “medicina ospedalizzata” rispetto alla “medicina di territorio”, diventata la cenerentola della sanità.
Un ottimo indicatore della decrescita è il confronto europeo del numero di posti letto ospedalieri ogni mille abitanti tra Francia, Germania, Grecia, Italia, Spagna e Media Ocse. L’Italia registra 3,18 letti ospedalieri ogni mille abitanti, sotto la media Ocse, inferiore addirittura alla Grecia (4,2 letti ospedalieri), mentre la Germania dispone del doppio dei letti ospedalieri rispetto all’Italia.
Tutto questo per portarci a comprendere come la Lombardia sia arrivata ad avere carenza di posti letto in generale, e in particolare nei reparti di terapia intensiva. E come abbia speso 26 milioni per costruire il faraonico ospedale della Fiera che a breve sarà smantellato, inutilizzato per carenza di strutture correlate invece di recuperare ospedali e reparti chiusi. E per comprendere come mai in Lombardia non si riesca a fare un tampone e il test seriologico sia a pagamento (appena modificato in un meno vergognoso risarcibile qualora risulti positivo).
Tuttavia ieri il Presidente della Regione Attilio Fontana ha firmato l’ordinanza, dopo l’emanazione del Dpcm, nonostante in Lombardia ci sia la metà dei nuovi casi Covid-19 in Italia e soprattutto continui l’aumento dei contagi, in particolare a Milano (+ 56 contagi rispetto ai 34 di sabato) e risalgano i decessi (+ 69), dichiarando che «la Lombardia ha aperto tutte le attività possibili con regole più severe rispetto ad altre Regioni, in un quadro di equilibrio fra necessità della vita economica e tutela della salute pubblica» e che «manteniamo alta la guardia. Alla fine di questa settimana sperimentale valuteremo con i nostri tecnici i risultati raggiunti insieme. Anche in questa delicata fase di ripresa economica è indispensabile mantenere tutti quei comportamenti virtuosi che ci hanno consentito di far tornare nella media nazionale gli indici di diffusione del contagio, pur avendo dovuto affrontare uno tsunami».
Qui ORDINANZA N. 547 17:05:20 con gli allegati che delinea le “linee guida” per le diverse attività, in pratica le stesse che le Regioni avevano indicato al Governo e recepite nel Dpcm 17 maggio del governo. Rimane l’obbligo della mascherina anche all’aperto e misurazione della febbre da parte del datore di lavoro per i dipendenti.