C’era una volta a Hollywood, con il sonoro arriva il ruggito del leone
Gli anni a cavallo fra i venti e i trenta sono destinati a cambiare la nostra storia. L'Europa ribolle fra mille lotte intestine, l'Italia fieramente fascista si prepara a diventare impero, Hitler inizia la sua
Gli anni a cavallo fra i venti e i trenta sono destinati a cambiare la nostra storia. L’Europa ribolle fra mille lotte intestine, l’Italia fieramente fascista si prepara a diventare impero, Hitler inizia la sua prepotente ascesa, si manifestano i prodromi della guerra civile in Spagna.
Anche in America i favolosi anni venti lasciano una scia rovinosa. Il crollo di Wall Street precipita il paese nel panico. Milioni di disoccupati affollano le strade in una penosa marcia per la sopravvivenza.
È in questo atmosfera instabile che il cinema vive la sua rivoluzione. Il 1927 è l’anno d’esordio del primo film sonoro. Almeno ufficialmente, che già da prima si erano visti timidi tentativi. Il cantante di jazz, regia di un dimenticato Alan Crosland. Per la verità il film è un insieme di brani musicali con l’aggiunta di un paio di minuti di dialoghi stringati. Basta per gridare al miracolo. Il protagonista, Al Jolson, è in realtà un cantante ebreo che di nome fa, nomen omen, Rabinowitz. Nel film, ha il volto opportunamente dipinto di nero, come a significare l’affacciarsi allo schermo di due minoranze escluse.
Inizia qui la lotta fra il cinema muto, coi suoi registi e divi, e la grande novità del sonoro.
Lotta che a noi oggi pare impari ma che all’epoca presentava aspetti ben diversi. Il cinema parlato ha ancora una tecnologia imperfetta alle spalle. Occorre rimodellare tutte le sale in funzione della novità, affrontare costi enormi in un momento di grave crisi economica. In più c’è la resistenza del vecchio mondo che fatica a riconvertirsi alle mutate esigenze. Hollywood è a un bivio. Imporre un nuovo ordine o morire.
I due eserciti in campo duelleranno fino al termine del decennio per salutare l’annunciato trionfo del sonoro. Ma la battaglia lascia sul terreno molte vittime e non solo in senso metaforico. Stelle del cinema che si ritrovano sul lastrico, alcuni arriveranno al suicidio per ostacolare un ricambio totale, sulla scena e dietro le quinte. Pochi di loro riusciranno a riciclarsi e cavalcare il nuovo corso. Tra gli acerrimi difensori dello status quo l’icona più riconoscibile della storia del cinema. Charlie Chaplin è l’ultimo a cedere.
Sostiene, non a torto, che la sua maschera del vagabondo The tramp, per noi l’indimenticabile Charlot, ha un valore universale che va ben oltre la parola. Come si può doppiare (e sdoppiare) Charlot? Nel 1931, quando la guerra è ormai perduta, Chaplin produce forse il suo capolavoro, “Luci della città”. Accompagnato dalle musiche da lui stesso scritte l’opera rimane un film muto, l’ultimo grande successo di una stagione dimenticata. E ancora nel 1935 in “Tempi moderni” Chaplin produrrà un film ricco di suoni, ma l’unica parte parlata, meglio cantata, è l’indimenticabile Titina, un grammelot al di sopra di ogni lingua e pure immediatamente comprensibile.
Si arrenderà solo nel 1940 abbandonando il suo Charlot per inventarsi “Grande dittatore”. Il suo passaggio al parlato sarà nello stile dei grandi, un discorso finale meraviglioso che a ottant’anni di distanza non ha perso nulla della sua freschezza e della sua attualità. Chaplin sarà l’emblema del fortunato passaggio delle due ere del cinema, mietendo allori con opere come “Luci della ribalta” e “Monsieur Verdoux”.
Non sempre felice il cambiamento per molti suoi amici- rivali, da Harold Lloyd a Buster Keaton. Le loro gag irresistibili, le loro folli acrobazie saranno travolte dall’onda inarrestabile del nuovo corso.
A salvare il cinema contribuirà paradossalmente la grave situazione del paese. Saranno le sale cinematografiche a portare un po’ di sollievo alla sofferenza della popolazione alleviando in quelle due ore di buio in sala i dolori quotidiani.
Nella povertà generale il cinema rimane l’unico divertimento alla portata di (quasi) tutti. Per pochi centesimi si può tornare a sognare, ridere delle sofisticate commedie, immedesimarsi nelle grandi storie sentimentali, rituffarsi nelle grandi praterie del West, rabbrividire alle storie dei fumosi noir.
Nascono i generi, a ciascuno il suo nel grandioso e lucroso lavoro delle nuove grandi case di Hollywood. Hanno fatto una rivoluzione e ne sono uscite vincenti, creando nuovi idoli che andranno presto a sovrapporsi ai vecchi, i Gary Cooper e i Clark Gable che diventeranno familiari a tutti noi.
Ma il vero simbolo del riuscito matrimonio fra parola e immagine sarà in quel minuto scarso che precede ogni pellicola. L’apparizione nel buio della montagna perfetta della Paramount (il Cervino?), la torre radio della RKO troneggiante sul globo terrestre, il logo della Century Fox annunciato dalla marziale fanfara, e sopra tutti il ruggito immortale del leone della Mgm.