C’era una volta Hollywood, la nascita del mito

Agli albori del secolo scorso la California era terra ancora sconosciuta. Non solo a noi che stavamo a distanza  siderale ma agli americani medesimi che pure sulle coste dell'Atlantico avevano già iniziato a edificare le

Agli albori del secolo scorso la California era terra ancora sconosciuta. Non solo a noi che stavamo a distanza  siderale ma agli americani medesimi che pure sulle coste dell’Atlantico avevano già iniziato a edificare le loro metropoli. New York sfiorava i due milioni di abitanti, svettavano i primi grattacieli e i nostri avi sbarcavano su Ellis Island guardando pieni di stupore e speranza alla Statua della Libertà che i francesi avevano donato alla città e la città aveva accettato non senza qualche riluttanza, per poi ergerla negli anni a simbolo universale.

Ma il lontano Pacifico narrava tutt’altra storia. Le guerre indiane erano finite da poco e la California era ancora popolata da rudi cowboys, terra ricca di paesaggi straordinari, deserti e montagne che si stendevano su una superficie più grande dell’Italia a lambire un oceano capriccioso. A due passi da una Los Angeles assai lontana dal cupo intrico delle strade di ‘Blade runner‘ sorgeva un villaggio sconosciuto al mondo dal nome che profumava di poesia,  Hollywood, il bosco degli agrifogli

In pochi anni quel nome sarebbe diventato noto a tutti, ergendosi presto a  sinonimo di cinema e potente simbolo della nazione destinata a guidare il mondo. Quella formidabile invenzione era nata sul finire dell’ottocento a Parigi, la ville Lumiere, cosi che Auguste e Louis, i due fratelli suoi creatori, non potevano avere altro nome. Per la verità tanti nei vari continenti ne rivendicavano la primogenitura. 

Altri due fratelli tedeschi dal nome impronunciabile (Sladanowsky, due è meglio che uno), negli Usa il poliedrico Thomas Edison che oltre alla lampadina aveva licenziato un migliaio di brevetti, addirittura un italiano, Filoteo Alberini, che lamentava la dabbenaggine di qualche burocrate reo di aver dimenticato per più di un anno il suo progetto fra le scartoffie di un pubblico ufficio. Comunque il cinema doveva presto abbandonare gli angusti confini delle fiere paesane, varcava l’oceano e da divertimento popolare per masse sempliciotte andava trasformandosi in industria fiorente (e redditizia) per gli intraprendenti pionieri di New York e Chicago. Fin troppo intraprendenti, su tutti il predetto Edison, tanto da diventare monopolisti e strozzare idee ed ambizioni di chiunque volesse aprirsi uno spazio nel nuovo mercato.

Così che ai giovani nuovi talenti del cinema americano non restò altro da fare che attraversare gli States e approdare in California, la terra promessa, sulla via di una nuova corsa all’oro dopo quella di metà ottocento. E l’oro sembrava quel mondo vergine e tutto da conquistare, il suo tempio quell’oscuro villaggio. Ubicazione perfetta, clima mite e sole tutto l’anno a permettere le riprese in esterno in ogni stagione, deserti, mari e montagne per esaudire il sogno d’avventura di divi e spettatori, spazio a costi ragionevoli per gli studios che sorgevano giganteschi a ricreare interni favolosi. Arrivavano Charlie Chaplin e David Griffith. Il nuovo secolo aveva appena dieci anni, il cinema poco di più, ma si avviava a diventare grande.

In  Europa infuriava la guerra e Griffith girava il suo capolavoro meritandosi la nomea di padre del cinema moderno. Era ‘Nascita di una nazione ‘, tre ore di grandioso spettacolo. Era il 1915, vent’anni dalla notte di Parigi, quel minuto scarso di tremolanti immagini che pure avevano stupito il mondo. Il nome di Hollywood  si sparge ben al di là della costa del Pacifico. Le nove lettere gigantesche scritte a sbalzo sulla collina fanno il giro del pianeta. Hollywood si pone come una nuova divinità. Basterebbe togliere semplicemente una elle per capirne il senso. Allora sarebbe Holywood, il bosco sacro.

Bibliotecario approdato finalmente alla pensione cerco di coltivare e condividere con maldestri tentativi di scrittura le mie mille passioni. Dalla letteratura allo sport, dalla storia alla musica, tutto con la stessa onnivora curiosità inversamente proporzionale alla competenza. Al primo posto l'amore per il cinema, nato a sei anni dalla folgorazione in una sala buia e mai più abbandonato.

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