Continua il dibattito sui “test sierologici” per controllare il tasso di immunità nel sangue e preparare la fase 2
La ripresa dovrà poter contare su un quadro preciso del contagio e del suo superamento nel Paese. A giocare un ruolo importante in questo ambito saranno i test sierologici che servono, oltre che per diagnosticare
La ripresa dovrà poter contare su un quadro preciso del contagio e del suo superamento nel Paese. A giocare un ruolo importante in questo ambito saranno i test sierologici che servono, oltre che per diagnosticare se una persona ha incrociato il virus e se ha sviluppato anticorpi, anche per capire – regione per regione – la diffusione reale del virus.
In prima linea, tra gli istituti e laboratori scientifici che se ne stanno occupando, c’è il Policlinico San Matteo di Pavia, che sta valutando l’affidabilità di centinaia di questi test: da quelli che richiedono prelievi ematici, ai cosiddetti “fast test” che si fanno con una gocciolina di sangue presa dal dito e che danno risposte in pochi minuti. Questi ultimi in città circolano già da settimane e la Viva-Check Biotech, azienda cinese, ne ha donati duemila dei suoi al Niguarda. Sul tema è però ancora forte lo scetticismo di buona parte della comunità scientifica, in particolare dei microbiologi clinici italiani.
Il patentino d’immunità. Un test è stato individuato, sempre al Policlinico San Matteo di Pavia e, se validato, potrà essere presto certificato e poi rilasciare una sorta di “patentino di immunità” a chi ha contratto il virus e che è risultato negativo dopo due tamponi.
Ma proprio sull’attendibilità del “patentino” ci sono forti perplessità.
«Sui test sierologici c’è una grande attesa, con una speranza però che il test non può dare, cioè una patente d’immunità – è il parere del virologo Fabrizio Pregliasco (da Ansa.it – Salute&Benessere del 19 aprile) –. Sono molto sensibili, hanno margini di incertezza rispetto soprattutto ai falsi positivi, quindi in caso di negatività c’è maggiore sicurezza del risultato. In caso di positività è necessario ripetere il test e complementarlo con un tampone per verificare se si sono già sviluppati gli anticorpi e se il soggetto è ancora portatore convalescente del virus e quindi contagioso. Più preoccupanti sono i risultati dei cosiddetti ‘test rapidi’ – continua l’esperto –: hanno margini di errore che possono portare a situazioni non congrue, qui la falsa positività è ancora più evidente».
Partiranno prima le persone più resistenti. Già a metà marzo, la virologa Ilaria Capua sosteneva: «Ci aspetta un ‘nuovo normale’, perché a fine di aprile saremo nelle prime fasi di riapertura, con un virus che sta ancora circolando, e quindi dovremo mettere in atto una serie di meccanismi, prima di tutto per proteggere le categorie fragili, e poi per ripopolare, sia il mondo del lavoro, sia anche del volontariato, con persone che sono più resistenti. Tra queste ci potrebbero essere i sieropositivi al Covid-19, che hanno sviluppato anticorpi – molto precisa come sempre e lungimirante, la virologa, continuava –. Quindi i convalescenti sono di fatto le persone che portano un pezzettino di immunità di gregge. Vedremo come si consoliderà il dato dei ricoveri, che dovrà vedere almeno un trend non in aumento e, a quel punto, si potranno fare varie ipotesi: noi stiamo lavorando sul minore coinvolgimento delle donne dal coronavirus, con un gruppo qui all’università della Florida e cercheremo di capire se effettivamente le donne potranno per prime dare l’inizio a questo ‘nuovo normale’. E poi altre categorie, tra cui gli immuni, appunto. È dunque opportuno, a questo scopo, fare un campionamento del sangue sugli italiani, ma si possono fare anche prelievi più in dettaglio, per esempio le aziende che vogliano far ricominciare a lavorare il personale in maniera scaglionata…”.
Questo il pronostico di Ilaria Capua, vedremo come andrà prossimamente.