Coronavirus: spot in favore della tassazione progressiva
In questi giorni, ogni volta che andiamo a fare la spesa in un negozio, prendiamo un mezzo pubblico o un taxi, veniamo assistiti da personale medico o del Comune, vediamo camion di merci rifornire i
In questi giorni, ogni volta che andiamo a fare la spesa in un negozio, prendiamo un mezzo pubblico o un taxi, veniamo assistiti da personale medico o del Comune, vediamo camion di merci rifornire i supermercati, sappiamo di operai in fabbrica che producono l’indispensabile, buttiamo la spazzatura, ordiniamo un pasto a domicilio o leggiamo un giornale si palesa una contraddizione socio economica enorme, sempre più evidente.
Il mondo dei lavoratori che sta permettendo al Paese di stare in piedi, di reggere di fronte all’emergenza rischiando il contagio, spesso con presidi sanitari insufficienti e approssimativi, vive di stipendi bassi, molti di loro anche con lavori precari.
Meglio di un trattato di economia o di un comizio “comunista” questa dannata epidemia ha reso evidente quanto siano disallineate nelle nostre società le scala di valori etici e sociali, che quasi tutti noi abbiamo, e quella delle retribuzioni e dei privilegi che questa nostra società globalizzata e “turbocapitalista” ha creato.
I livelli degli stipendi di lavoratori indispensabili al bene comune appaiono ancor più intollerabili e offendono il senso comune, se confrontati con il valore sociale del loro lavoro e con gli stipendi di altri lavoratori. Trader finanziari, ricchi commercianti, manager guadagnano 10, 100, 1.000 volte un agente della Polizia Locale o un infermiere, in più lavorando in questi giorni da casa protetti dal cordone sanitario di questi lavoratori, in una situazione che la pandemia ha reso evidente in tutto il suo essere paradossale.
Una costruzione sociale ingiusta, che è la conseguenza diretta di un’ideologia economica che guarda solo alla produzione della ricchezza nel suo valore assoluto, non tenendo conto della sua distribuzione, anzi avversandola in ogni modo, e consentendo che questa si concentri in gran parte e in modo immorale nelle mani di pochi.
Alla fine di questa emergenza di certo saremo tutti più poveri, ma se saremo anche più consapevoli, dovremmo provare a ripensare il nostro Paese, chiedendo tra le altre cose a chi ci governa e a noi stessi di limitare queste diseguaglianze di retribuzione. E se per fare questo dovremmo ragionare di tasse e patrimoniali, al posto di gridare a furto o di farci venire l’orticaria, converrà ripensare a questi giorni, a cosa stiamo passando e per merito di chi sopravviviamo.
Una guida in questo new deal potrà essere ancora una volta la nostra Costituzione, nata per far ripartire l’Italia dopo un’altra “guerra”. In particolare, in questo caso, dovremo ripassare l’articolo 53 della nostra Costituzione, che recita inequivocabile: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” e soprattutto metterlo in pratica.