Cosa dice il quesito referendario e le ragioni del Sì e del No

A cura dell'Avvocato Rosa Zambianchi Nonostante l’argomento imperversi ormai da tempo sui vari mezzi di comunicazione, resta ancora assai difficile conoscere le ragioni di ciascuno dei due schieramenti, quello del “Sì” e quello del “No”, e

A cura dell’Avvocato Rosa Zambianchi

Nonostante l’argomento imperversi ormai da tempo sui vari mezzi di comunicazione, resta ancora assai difficile conoscere le ragioni di ciascuno dei due schieramenti, quello del “Sì” e quello del “No”, e ciò dipende principalmente dalla difficoltà di comprendere nello specifico il quesito referendario che, a detta di molti, risulta “criptico” e difficilmente interpretabile. In realtà, benché diversi esperti di diritto costituzionale e anche il Tribunale di Milano abbiano sollevato obiezioni al testo del quesito, ricorrendo al Tar per farne dichiarare l’illegittimità, i precedenti quesiti referendari del 2001 e del 2006 erano in sostanza dello stesso tenore e contenuto. Il referendum, di tipo “confermativo”, del prossimo 4 dicembre chiede ai cittadini di esprimersi sulla riforma costituzionale approvata dall’attuale Governo, che con essa ha riformato 47 articoli della Costituzione, riguardanti diversi ambiti: i rapporti politici, il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il Governo, le Province (sostituite dalle Città Metropolitane), la Corte Costituzionale e le modifiche alle leggi costituzionali (ivi compresa la soppressione del Cnel). Si tratta di una riforma di portata molto ampia, la più consistente messa in atto dal 1948 ad oggi, considerando che la più importante sino ad ora, in termini di numero di articoli emendati, era stata la riforma del Titolo V della Costituzione, con modifica di 17 articoli ivi contenuti.

Ma in che cosa consiste questa “riforma costituzionale” di cui si parla? Difficile esaminare uno per uno gli articoli che saranno cambiati in caso di vittoria del “Sì”, ma se ci limitiamo al testo del quesito referendario che li raggruppa, limitandoci a un esame proposizione per proposizione, possiamo farci un’idea dei principali cambiamenti proposti e di quali sono le ragioni dei due schieramenti.

Il quesito referendario testualmente recita:

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Superamento del bicameralismo paritario

Questa parte del quesito riguarda il funzionamento delle due Camere, la Camera dei Deputati e il Senato, che sinora hanno avuto ruoli e poteri pressoché identici, soprattutto in relazione all’approvazione delle leggi o al voto di fiducia al Governo. Con la riforma, al Senato sarà richiesto di approvare le leggi solo in un numero molto limitato di materie, mentre la Camera diventerà sostanzialmente l’unica “protagonista” del potere legislativo. Con ciò, chi è favorevole alla riforma ritiene si possano ridurre i tempi di approvazione delle norme, evitando la possibilità di rinvio da una Camera all’altra, mentre chi è orientato al “No” al referendum replica che l’Italia è già tra i Paesi europei più rapidi nel procedimento legislativo e che l’eliminazione sostanziale di una delle due Camere (il Senato non delibererà più su tutte le leggi e non avrà più il compito di votare la fiducia al Governo in carica) rischia di accentrare troppo i poteri in favore di un’unica Camera e quindi, in sostanza, nelle mani del partito di maggioranza.

Riduzione del numero dei parlamentari

Qui la riforma prevede la riduzione dei componenti del Senato da 315 a 100. L’aspetto forse più importante è che i senatori, dalla riforma in poi, non saranno più eletti direttamente dai cittadini bensì dalle assemblee regionali: dei 100 membri complessivi, 74 saranno scelti tra consiglieri regionali (proporzionalmente in base al numero di abitanti, con un minimo 2 senatori per regione e provincia autonoma), 21 tra i sindaci e 5 saranno senatori eletti direttamente dal presidente della Repubblica con un incarico di 7 anni. I senatori resteranno in carica a seconda del mandato della regione di appartenenza e godranno dell’immunità parlamentare. Chi è contrario a questa riforma sottolinea che si sarebbe potuto tagliare il numero dei deputati e senatori, pur mantenendo in vita entrambe le Camere. Chi è favorevole ritiene che con la riforma gli enti locali assumono un ruolo centrale nel governo del paese, coerentemente con quanto accade in altri paesi.

Contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni

Il “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni” fa riferimento alla riduzione di spesa che dovrebbe conseguire al ridotto numero di parlamentari. Quale sia l’entità di questo “risparmio” è oggetto di molte polemiche. I sostenitori del “Sì” indicano in circa 500 milioni di euro il risparmio previsto, comprendendo anche il tetto all’indennità dei consiglieri regionali; il divieto per i consigli regionali di continuare ad assegnare denaro ai gruppi consiliari; e la fusione degli uffici delle due Camere e il ruolo unico del loro personale. I promotori del “No” ritengono la cifra difficilmente stimabile e sottolineano come in tale somma sia ricompreso il risparmio relativo all’abolizione delle Province, già avvenuto.

Soppressione del Cnel

La soppressione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel), è forse l’argomento meno dibattuto. Tale organo, composto da 64 membri (10 “qualificati esponenti della cultura economica, sociale e giuridica”, 48 rappresentanti delle categorie produttive e 6 rappresentanti del settore volontariato) nelle intenzioni dei costituenti avrebbe dovuto essere un consulente tecnico del Parlamento con facoltà di promuovere leggi, ma in realtà non è mai risultato di estrema utilità nello svolgere la sua funzione di consulenza e tantomeno di promozione di leggi. Si tratta in sostanza di eliminare un organo pressoché inutile o comunque inefficace nel suo ruolo.

Revisione del Titolo V della parte II della Costituzione

L’ultima parte del quesito referendario riguarda la suddivisione delle competenze tra Stato e Regioni, e va in senso opposto alla precedente riforma del medesimo Titolo V attuata nel 2001, la quale andava verso decentramento dallo Stato alle Regioni di alcune competenze, per garantire a queste ultime più autonomia a livello locale in campo sia organizzativo sia finanziario. Con la riforma, molte delle competenze attribuite nel 2001 alle Regioni, in via esclusiva o “concorrente”, torneranno a riguardare esclusivamente lo Stato. I sostenitori del “Sì” referendario ritengono che questa sia la corretta soluzione ai conflitti di competenze tra lo Stato e le Regioni, che in alcuni ambiti avevano “competenze concorrenti” e che dalla nuova riforma in poi saranno esclusivamente statali, oltre che un modo per cercare di contenere il fenomeno della corruzione in sede locale. Chi invece è contro questa riforma sottolinea come con essa andrà a scomparire il cosiddetto “federalismo fiscale” (le spese saranno quindi decise a livello statale) e come il decentramento attuato con la precedente riforma del 2001 con l’intenzione di “avvicinare” ai poteri locali, più consapevoli delle esigenze e delle problematiche del territorio, verrà sostanzialmente cancellato, riportando le decisioni allo Stato e quindi in un “luogo lontano” rispetto a quello in cui dovranno poi essere attuate.

(Novembre 2016)

Laureata in Scienze dei Beni Culturali, blogger appassionata di cinema e teatro, talentuosa grafica e webmaster, sempre alla ricerca di nuovi stimoli e sfide, forte della sua estrazione umanista veste con grazia e competenza le testate digitali e su carta di Milanosud.

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