Covid, lavoro e famiglia: testimonianze di un disagio

Il 1° maggio 2020, uno strano 1° maggio al tempo del Virus, ho ricevuto su whatsapp questi auguri: “Questo primo maggio lo dedico a chi ha perso il lavoro, a chi non l’ha mai avuto, a

Il 1° maggio 2020, uno strano 1° maggio al tempo del Virus, ho ricevuto su whatsapp questi auguri: “Questo primo maggio lo dedico a chi ha perso il lavoro, a chi non l’ha mai avuto, a chi lavora senza diritti”… e io aggiungo: “a chi non può più lavorare”.

Sono in tanti e ancor più in tante, le molte donne che, oltre a fare gli angeli del focolare, hanno conquistato un pezzetto di autonomia con il proprio lavoro, magari precario, magari part-time, sottopagato, autonomo, ma sempre necessario. Uno spazio e un tempo che si è ridotto in questa emergenza e che ora, in fase di riapertura lavorativa almeno in certi settori, non è possibile riconquistare, perché senza il supporto degli spazi educativi dei nidi, degli asili e della scuola, uno dei genitori dovrà restare a casa per favorire il lavoro più sicuro e remunerativo dell’altro, quasi sempre quello maschile.

Le donne guadagnano in media il 16 per cento in meno rispetto agli uomini e saranno più esposte alla perdita del lavoro, perché hanno generalmente contratti peggiori e meno garantiti. “È come se l’epidemia avesse portato alla luce tutte le disuguaglianze e tra queste quella fondamentale tra uomini e donne”, scrive su “Internazionale” la giornalista Annalisa Cavilli.

Con numeri che ricordano paesaggi sociali di decenni fa, l’Istat dice che in Italia lavora meno di una donna su 2 (al Sud meno di una su 3), e quelle poche che lavorano spesso non lo fanno nei settori più remunerativi; inoltre, come riportato in un recente rapporto della Banca Mondiale, alcuni settori lavorativi più esposti alla crisi economica sono tipicamente femminili: colf, cameriere, parrucchiere, estetiste…

A queste aggiungiamo le tante artigiane, come Stella che ha un atelier di sartoria (nella foto in alto) in questo momento chiuso: “Non so come riuscirò a ripartire, avendo un bambino di 18 mesi che prima andava al nido, sto seriamente pensando di chiudere, almeno per contenere le spese. Il mio compagno sta lavorando a casa in smart working, ma per il mio lavoro non è possibile”.

Poi ci sono le lavoratrici autonome, come Daria, consulente: “Lavorando come freelance ho sempre dovuto negoziare con il mio compagno i miei spazi di lavoro, l’epidemia ha spezzato questo equilibrio faticosamente raggiunto, con il risultato che mi sono ritrovata a cercare di lavorare da casa dovendomi occupare anche dello studio dei ragazzi, della loro salute, dei pasti…” .

Infine le libere professioniste, che sempre più lavorano in smart working.

«Parlare di lavoro agile e basta, senza verificare bene che effetto ha sulle condizioni femminili è sbagliato – afferma la sociologa Maria Letizia Pruna autrice di “Donne al lavoro” –. Se deve badare ai figli, occuparsi degli anziani e magari arginare i disagi al marito che lavora, lo smart working è solo un modo per ricacciare in casa una professionista».

Per fornirvi qualche piccola testimonianza diretta, ecco alcune risposte raccolte su un blog femminile alla domanda: “Donne, lavoro, famiglia, figli in tempo di Covid: come ve la cavate in famiglia? Siete mamme single? Oppure, le mamme che lavorano come i propri compagni riescono a dividere gli impegni casalinghi a metà? E le mamme che lavorano fuori con i papà in casa?

  1. “Mamma separata, lavoro a tempo pieno in SW (cambiato durante la quarantena), due figli di 6 e 8 anni in didattica a distanza, la casa sembra un coworking dentro un reparto di psichiatria”.
  2. “Io dipendente e lavoro in SW, mio marito dipendente e va in ufficio. Figlia di 11 anni e figlio di 5. Io chiusa in stanza tutto il giorno, stacco una mezz’ora a pranzo. Figlia maggiore responsabilizzata in fretta e furia per fare da baby-sitter a suo fratello. Quando lei ha didattica a distanza, il piccolo guarda i cartoni. La sera sono distrutta e la casa sembra un campo nomadi”.
  3. “Siamo entrambi a casa (io in cassa integrazione, il mio compagno prende tutti i congedi e le ferie possibili perché sono immunodepressa) gestiamo la casa e i bambini a metà per ora, ma quando saranno finite le ferie e i congedi?”.
  4. “Mamma di bambina di 5 anni. Situazione attuale: marito in fabbrica 8 ore, io lavo(rerei) da remoto se non avessi la bimba in casa. Ci provo ma il risultato è fatica tripla per restare sul pezzo, tanta ansia e tensione in famiglia, e la mancanza dei compagni di scuola e dello sport sta portando serie ripercussioni sulla piccola.”

Cosa offrono le istituzioni. Alcuni politici e amministratori locali hanno lanciato qualche idea per sostenere il welfare rivolto soprattutto alle lavoratrici, come mettere a disposizione spazi all’aperto per potere iniziare a far riprendere la socialità ai bambini e ai ragazzi, e prevedere dal mese di giugno attività nei centri estivi in collaborazione con il mondo sportivo e il terzo settore.

Quanto ai servizi all’infanzia 0-6 anni (la fascia d’età per la quale non è previsto l’obbligo della mascherina), potrebbero essere riorganizzati in piccoli gruppi e con tutte le regole che devono essere mantenute.

«Saranno pronte regole certe che dispongano un numero massimo di bambini per ciascun operatore dedicato e l’obbligo di gruppi fissi, per tenere sotto controllo il contagio – ha spiegato la ministra della famiglia Bonetti – servono misure per l’immediato e poi progetti innovativi per la gestione delle attività nei mesi estivi».

«Servono maggiori risorse per far crescere il numero di operatori – aggiunge la vicepresidente della regione Emilia Romagna Elly Schlein –. Anche perché non possiamo permetterci di fare passi indietro nel garantire alle donne il diritto di conciliare lavoro, vita privata e istruzione dei figli».

 «E perché non rafforzare anche il congedo di paternità – ci chiediamo noi – magari incentivando il rientro al lavoro delle mamme?».

Sono pubblicista e videomaker, ancora prima che il mio appassionante mestiere fosse definito cosi. Dal 1974, anno del primo viaggio in Africa, in Somalia, realizzo documentari su tematiche sociali, antropologiche e storiche. Ho collaborato con diverse redazioni per programmi d’informazione e cultura, attualmente video-documento tutte o quasi tutte le iniziative che accadono nel sud della città (ma anche altrove).

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