Destra – Sinistra e la crociata contro le bici (e se stessi)

La canzone Destra-Sinistra del mitico Giorgio Gaber sembra riecheggiare nel caldo delle polemiche preelettorali di questa estate milanese. Alle famose strofe “la vasca da bagno è di destra, la doccia è di sinistra” il mitico

La canzone Destra-Sinistra del mitico Giorgio Gaber sembra riecheggiare nel caldo delle polemiche preelettorali di questa estate milanese. Alle famose strofe “la vasca da bagno è di destra, la doccia è di sinistra” il mitico cantautore milanese, se fosse ancora con noi, avrebbe aggiunto “l’auto è di destra, la bici è di sinistra”, tanto appare pretestuosa, inconsistente e ideologicamente connotata la crociata che, dall’annuncio a fine lockdown del piano del Comune per dotare la città di spazi per i ciclisti, hanno intrapreso con furore esponenti del centro destra milanese, amministratori di municipio compresi, tutti intruppati dietro i condottieri De Corato e Salvini, che dettano la linea della campagna elettorale.

Eppure basterebbe ragionare un po’, raccogliere qualche dato, metterlo insieme alle previsioni sull’autunno che ci aspetta, per capire che è interesse di tutti che più milanesi possibile vadano a scuola o al lavoro in bici.

Non è una posizione ideologica: lo dicono i numeri, nudi e crudi.

Da settembre bus, pullman, metro e treni locali potranno essere riempiti intorno al 75% della loro capacità, ammesso – e non concesso, purtroppo – che non ci sia una recrudescenza della pandemia. Significa, solo per citare i dati Atm pre lockdown, che dei 2,2 milioni di passeggeri al giorno che affollavano e linee di superficie e le metropolitane, oltre mezzo milione rimarrebbe a piedi. Una parte, probabilmente, farebbe smartworking o sposterebbe l’ora d’ingresso al lavoro, ma il resto sarebbe costretto a scegliere tra auto e bici. Si tratta di centinaia di migliaia di persone, che se scegliessero le quattro ruote, bloccorebbero la città, avvolgendola in una nuvola di smog.

Tra i contestatori del piano del Comune, accanto agli haters delle bici, ci sono anche coloro che adducono motivazioni più moderate o, meglio, camuffate.

La prima è, diciamo, di “rango costituzionale”. I suoi sostenitori ritengono la realizzazione delle piste sia un vulnus alla libertà di scelta, perché limiterebbe la libertà dei milanesi di prendere l’auto per spostarsi in città, visto il traffico che si produrrebbe con i restringimenti di carreggiata. Argomentazione che non reggerebbe neanche di fronte al tribunale più scalcagnato, visto che nessuno è con il fucile per impedire ai milanesi di prendere l’auto e che le strade di Milano sono pubbliche, ovvero anche di chi vuole prendere la bici.

Un grande filosofo illuminista tedesco diceva “La tua libertà finisce dove comincia quella degli altri”. Basterebbe fare propria questa massima, alla base della nostra civiltà giuridica e morale, per capire che la libertà dell’automobilista finisce dove inizia la libertà dell’altro, il ciclista.

La seconda motivazione portata dai crociati della lotta alle piste ciclabili riguarda la sicurezza dei ciclisti (sic). Secondo costoro non sarebbe garantita da percorsi semplicemente “pittati” sulla strada. Qui siamo di fronte a una vera e propria giravolta logica, che di fatto giustifica i comportamenti scorretti e fa a pugni con la realtà che viviamo tutti i giorni. Le nostre città sono piene di segnaletica orizzontale e verticale semplicemente pittata: basta guardarsi in giro.

Se qualcuno commette delle infrazioni: percorre una corsia preferenziale, posteggia dove non può, non rispetta uno stop, va contromano o sorpassa con la doppia linea continua la colpa è sua e solo sua, non di chi non ha messo dei jersey tra le corsie o dei pilomat ai parecheggi. Non si capisce perché questo non debba valere anche per le piste ciclabili. Se si vuole veramente più sicurezza dei ciclisti, non li si costringe a zigzagare nel traffico, ma si chideono più vigili e sanzioni per chi infrange il Codice della strada

La terza motivazione è quella che con le piste ciclabili, restringendosi le corsie, aumenta il traffico. Cosa certamente possibile, se saranno pochi quelli che sceglieranno di muoversi in bici e lasciare l’auto a casa. Ma è proprio per creare le condizioni perché questo non accada e l’auto venga usata da chi ne ha realmente bisogno, che si stanno realizzando le piste.

Tutte le principali città d’Europa, soprattutto in questo durante periodo di Covid, stanno andando nella direzione di creare più piste ciclabli e strade a traffico limitato o a velocità ridotta, sia che si tratti di  amministrazioni di destra (Madrid) che di sinistra (Parigi). Tutti convinti che, senza percorsi dedicati ai ciclisti e con i mezzi pubblici, le città rischiano fortemente di essere invase da enormi serpentoni d’auto.

Purtroppo qui da noi non accade. I rappresentanti politici di centro destra piuttosto che rinunciare a un argomento che serva a lisciare il pelo al partito delle auto rinunciano a qualsiasi atteggiamento costruttivo. Meglio un post su Facebook e una polemica preelettorale, piuttosto che chiedere più piste, più controlli, più corse sui mezzi pubblici, più senso civico. I ultima analisi, più altruismo e solidarietà.

Tutto questo perché l’ideologia imperante, come insegna la canzone di Gaber, non lo permette. Il tema delle piste, come molti altri (per esempio quello delle mascherine), purtroppo, sono ormai tema esclusivo di contrapposizioni identitarie. I contenuti non importano, si va comunque alla guerra, soprattutto se la scadenza elettorale incombe.

Probabile che nei prossimi mesi arriveremo a vedere post su Facebook di persone che prendono l’auto per fare 500 metri, intruppandosi di proposito nel traffico, pur di scrivere sui social la loro dose giornaliera di maledizioni e insulti.

Speriamo che la maggioranza dei milanesi sia più saggia e altruista di questi personaggi perennemente arrabbiati, lasci l’auto a chi ne ha realmente bisogno e prenda sempre più spesso la bici. Ne va della salute e della qualità della vita di tutti, siano essi di “Destra o di Sinistra”.

Giornalista dello scorso millennio, appassionato di politica, cronaca locale e libri, rincorre l’attualità nella titanica impresa di darle un senso e farla conoscere, convinto che senza informazione non c’è democrazia, consapevole che, comunque, il senso alla vita sta quasi tutto nella continua rincorsa. Nonostante questo è il direttore “responsabile”.

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