“Diamanti grezzi”, le rocambolesche vicende di Adam Sandler, nei panni di un gioielliere di NYC
Nella tradizione popolare si dice che “un diamante è per sempre”. Purtroppo però anche i mostri del passato, i debiti e le magagne sono per sempre… e sono dietro l’angolo, come è raccontato in “Diamanti
Nella tradizione popolare si dice che “un diamante è per sempre”. Purtroppo però anche i mostri del passato, i debiti e le magagne sono per sempre… e sono dietro l’angolo, come è raccontato in “Diamanti Grezzi” (2019, Usa, regia di Josh e Benny Safdie, disponibile su Netflix).
La pellicola è ambientata nel centro di una New York in pieno tempo di crisi economica globale. Qui, un gioielliere di origine ebraica, “restio” a far fronte ai suoi impegni, dovrà invece fare i conti con chi esige di essere pagato o risarcito. Sembra la storia semplice di un grande imbroglione, ma l’interpretazione che Adam Sandler, per una volta meno giullaresco del solito, fa del commerciante Howard Ratner, riesce a far decollare la storia.
Il tocco di umanità che regia e attore riescono a dare al protagonista rendono avarizia e spirito truffaldino simpatici, e fanno immedesimare gli spettatori in Ratner, nella sua sete di riscatto ed emancipazione sociale dai fallimenti di un matrimonio e un mercato del commercio di diamanti che purtroppo non perdona.
“Diamanti grezzi” è davvero un diamante grezzo che non ha la presunzione di piacere dal primo minuto, né tantomeno quella di ridefinire le regole del cinema americano moderno. Ma ha la sapienza di non annoiare lo spettatore nella prima parte di presentazione degli spaccati di vita del protagonista, per complicarsi nella seconda in cui il destino del gioielliere è appeso a un filo, per una scommessa miliardaria sulla squadra meno quotata della serie Nba di basket americano.
Chi vincerà? Il destino o l’uomo che vuole riscattarsi definitivamente? Per il momento la scommessa vincente l’hanno vinta i Safdie bros e Adam Sandler con questo film degno di un vecchio poliziesco trucido in stile anni ‘70 ma ripulito nello stile (complice anche la fotografia elegante del maestro iraniano Darius Khondji) e catapultato nel 2019 in pieno delirio politico trumpiano e in una New York che, nonostante tutto, corre sempre troppo veloce, travolgendo vite e rapporti umani oltre che commerciali.