Diffamazione: Sallusti ci scrive… Ferri e Pantucci rispondono

Pubblichiamo la lettera invitaci dal direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti, a seguito dell’articolo di Piero Pantucci “Cercasi sindaco strepitoso”, pubblicato sul numero di dicembre di Milanosud e sul nostro sito, e le repliche dello

Pubblichiamo la lettera invitaci dal direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti, a seguito dell’articolo di Piero Pantucci “Cercasi sindaco strepitoso”, pubblicato sul numero di dicembre di Milanosud e sul nostro sito, e le repliche dello stesso Pantucci e del direttore Stefano Ferri.

La lettera di Sallusti

Egregio direttore, ho letto il lungo articolo che sul suo giornale mi ha dedicato Piero Pantucci sulle voci di mia possibile candidatura a sindaco di Milano in cui rivanga la mia condanna di tre anni fa. Condivido il passaggio nel quale si sostiene che “la diffamazione è cosa seria, molto seria, è uno dei reati più odiosi nei confronti della persona e una delle colpe più gravi per un giornalista”. Un giornalista, pur usando tutte le precauzioni possibili, nella diffamazione può sempre incapparci, come dimostra Pantucci, che mi definisce un “guappo di cartone”, cioè stando al vocabolario Treccani, un “camorrista di cartone”. Per altro, io sono stato condannato dalla Cassazione per “omesso controllo” su un articolo scritto da altro collega (esattamente come lei che non ha vigilato sul “guappo” di Pantucci). Il fatto che un presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (sul quale mantengo fermo il mio giudizio negativo), abbia motu proprio trasformato la pena carceraria in semplice ammenda la dice lunga sull’assurdità della sentenza della Cassazione. E il fatto che l’Ordine dei giornalisti nazionale abbia stracciato la sentenza di sospensione dalla professione inflitta dall’Ordine regionale (cosa che Pantucci omette, commettendo un grave errore professionale e deontologico) dovrebbe fare riflettere sulla serietà dei tribunali (del popolo) di categoria.

Caro direttore, “ledere la dignità altrui con dolo”, come ha fatto Pantucci contraddicendo per altro il suo scritto, è cosa grave. Ma tra colleghi direttori ci capiamo, non sempre abbiamo a che fare con collaboratori strepitosi. Ci vuole pazienza.

Certo che vorrà far conoscere questa mia replica ai suoi lettori, anche quelli del sito che riproduce l’articolo, la saluto cordialmente.

Alessandro Sallusti

La risposta di Ferri

Egregio direttore Sallusti,

si può essere più o meno d’accordo con Pantucci, ma sull’epiteto “guappo di cartone” non ci sono dubbi: non può essere considerato diffamatorio. Accanto alla parola guappo, che significa sì camorrista, ma anche spavaldo e arrogante, è stato messo il complemento di specificazione “di cartone” che dà all’espressione un aspetto canzonatorio, teatrale, come in effetti è nella lingua napoletana, da cui è tratto. Significa, di fatto, uno che fa il camorrista o lo spavaldo per incutere timore, ma non è credibile o bleffa. Insomma, nello scritto di Pantucci, nessun riferimento a comportamenti camorristi o, peggio, a reati di stampo mafioso, ma un’opinione da sottoporre ai lettori.

caso sallusti - rassegna.camera ritaglio dreyfus

L’articolo oggetto della diffamazione, pubblicato su Libero a firma Dreyfus del 2007.

Riguardo poi la sentenza della Cassazione 41249/12 a cui lei si riferisce, mi pare che lì sia già spiegato tutto. La suprema corte ha confermato le condanne per diffamazione dei due gradi precedenti, per l’articolo “Il dramma di una tredicenne. Il giudice ordina l’aborto. La legge più forte della vita”, pubblicato con lo pseudonimo di Dreyfus nel 2007 su Libero, giornale che all’epoca lei dirigeva. Nel pezzo andato in stampa, di cui come direttore lei aveva la responsabilità, si accusava il giudice Cocilovo di aver ordinato l’aborto della ragazza, cosa palesemente non vera e all’epoca della pubblicazione già smentita mezzo stampa.

Infine, caro direttore, tengo a informarla, che come prevede la legge, il giornale me lo leggo tutto prima che vada in stampa, esercitando i controlli che il mio ruolo richiede. E in questo lavoro i pezzi di Pantucci sono sempre tra quelli che leggo con maggiore piacere,

cordialmente

Stefano Ferri

Le precisazioni di Pantucci

Caro direttore,

su tre punti può valere la pena di dare qualche risposta a Sallusti.

– Il primo è il più qualificante. Sallusti mi dà del diffamatore. Non gli do appuntamento in tribunale, perché è una offensiva ma trascurabile sciocchezza. Da quando è diffamatore chi scrive che un diffamatore è un diffamatore? Lo so è un bisticcio, una burchiellata, roba da Bartezzaghi, ma bisognerà pure che qualcuno spieghi a Sallusti che citare testualmente, virgolettando, i passi significativi di una sentenza non è diffamazione. È semplice esercizio di realtà. Non c’è un solo passo nel mio articolo che alteri il senso o la lettera della sentenza che il 26 settembre 2012 condannò Sallusti a 14 mesi di carcere (mai scontati) per diffamazione.

Ma quella sentenza è ingiusta, ha detto e scritto Sallusti (per la verità, ha detto e scritto di peggio). Legittimo che lo creda, ma la sentenza resta: passata in giudicato. E resta anche dopo che la clemenza di Bruti Liberati gli ha negato il martirio dietro le sbarre; e dopo che il presidente Napolitano ha commutato il carcere domiciliare in contravvenzione. Quella semi-grazia, lo si sappia, non cancella e non estingue il reato. L’odioso reato di diffamazione.

Quanto all’Ordine dei Giornalisti, mi pare che più generoso non avrei potuto essere. È vero, ho omesso altri precedenti, quelli che hanno indotto la Cassazione a definire Sallusti un “recidivo”, un soggetto con “spiccata capacità a delinquere”, e altri accadimenti che avrebbero ulteriormente appesantito il quadro. Ma non mi sono sottratto al dovere di scrivere che per reati come quelli di Sallusti non dovrebbero esserci alternative alla radiazione dalla professione. Altro che sospensione di tre o di sei mesi. Purtroppo – e l’ho scritto a chiare lettere – nella categoria giornalistica sono in molti a credere o a fingere di credere che la diffamazione sia un reato di opinione. Equazione abominevole.

– Sallusti tenta una distinzione fra diffamazione e omesso controllo. Sbaglia, perché il codice non distingue fra l’autore e chi viene meno al dovere del controllo: il direttore responsabile. Ma ammettiamo per un momento fondata la obiezione che Sallusti non sapeva, che è stato sorpreso nella sua buonafede. “Comunque” si legge nella sentenza “il mancato controllo – che non risulta impedito da contingenti e insuperabili ostacoli – da parte del direttore Sallusti della carica diffamatoria del titolo, comporta l’affermazione di responsabilità, a titolo di colpa”. Sallusti ha pagato per le colpe di un altro? Chi lo sostenesse, spaccerebbe per gesto di umana generosità un atto di omertà. E comunque, nulla impediva a Sallusti di mantenere l’anonimato dell’autore dell’articolo, comunque riconoscendo l’errore, rettificando e scusandosi.

Ecco cosa dichiarò il giudice Cocilovo, ovvero la vittima della diffamazione da parte di Sallusti e del suo collaboratore: «Sarebbe bastata una lettera di scuse. Non a me, per carità, quanto ai lettori, per la notizia errata pubblicata dal giornale. E invece nulla, in sei anni quella lettera non è mai arrivata» (intervista sulla Stampa, il giorno successivo alla sentenza). Un direttore in buona fede, accertato l’errore, si scusa e rettifica. Sallusti non l’ha fatto: dolosamente. Ecco perché la Cassazione l’ha condannato.

– Guappo di cartone. Ahimè, che Sallusti sia un faticoso interprete della lingua è noto; ma anche senza consultare la Treccani, dovrebbe sapere che guappo di cartone (qualifica che io non attribuisco a lui, ma alla tipologia dei suoi comportamenti: differenza che non dovrebbe sfuggirgli) è una locuzione che con la camorra c’entra ben poco. Il guappo di cartone è una macchietta del teatro popolare partenopeo, è lo spaccone che urla, sbraita, insulta, minaccia e non combina nulla, anche perché sa che il più delle volte nessuno lo piglia sul serio. No, la camorra non è il ramo di Sallusti. La camorra è una cosa seria, tragicamente seria. Non si monti la testa Sallusti. Il genere del guappo di cartone è la sceneggiata napoletana.

Piero Pantucci

Vignetta di Portos

(Dicembre 2015)

Giornalista dello scorso millennio, appassionato di politica, cronaca locale e libri, rincorre l’attualità nella titanica impresa di darle un senso e farla conoscere, convinto che senza informazione non c’è democrazia, consapevole che, comunque, il senso alla vita sta quasi tutto nella continua rincorsa. Nonostante questo è il direttore “responsabile”.

Recensioni
1 COMMENTO
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    Marisa dapelo 19 Dicembre 2015

    Sia l’articolo che le risposte sono confezionate in maniera ineccepibile, chi non conoscesse la vicenda non potrebbe non concordare con gli estensori delle stesse. Il peccato di omissione è altrettanto grave di quello di falsità. Non viene citato il fatto che all’epoca della condanna il Direttore aveva a suo carico non più di una decina di condanne amministrative, ben sapendo che altri direttorinove hanno al loro attivo un numero di condanne ben superiore. Che la smentita non fu possibile perché il diffamato inviò la smentita all’Ansa e non direttamente a Libero. Che la notizia veniva ripresa da un precedente articolo apparso sulla Stampa.
    Potrei continuare, ma in ogni riga e in ogni parola traspare una tale antipatia per il Direttore Sallusti che per cui mi fermo qui.
    Un’ultima cosa guappo di cartone non si addice proprio al Direttore Sallusti, ve lo posso garantire!
    In fede
    Marisa Dapelo

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