È giunto il momento di tornare a “Dio, patria e famiglia”?
A meno di tre settimane dalle elezioni, l’effetto del voto degli italiani continua a provocare movimenti tellurici nelle formazioni politiche. Del risultato nazionale si è detto e ridetto: ha perso il Pd e vinto Giorgia
A meno di tre settimane dalle elezioni, l’effetto del voto degli italiani continua a provocare movimenti tellurici nelle formazioni politiche. Del risultato nazionale si è detto e ridetto: ha perso il Pd e vinto Giorgia Meloni, che rispetto alle politiche del 2018 è passata dal 4,3 al 26%. Poco conta che il Movimento 5Stelle abbia dimezzato i voti, la Lega perso il 9%, Forza Italia il 6% e lo stesso Pd sia rimasto con le stesse percentuali delle scorse politiche. La legge elettorale, che porta in Parlamento un terzo di deputati e senatori con il maggioritario, obbligava a coalizzarsi: il Pd, che non è riuscito a farlo, è uscito sconfitto praticamente in tutti i collegi uninominali.
Il voto a Milano e in Lombardia
Si distingue in questo scenario Milano. La coalizione guidata da Letta vince un collegio su due al Senato e due collegi su tre alla Camera, e in generale va bene in tutta la città. Molto bene anche Azione-ItaliaViva, bene Fratelli d’Italia, lontano però dalle percentuali nazionali, bene Sinistra Italiana, male Lega e Forza Italia. Nei Municipi 4, 5 e 6 che compongono il sud Milano, il Centrosinistra ha la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Completamente diversa la situazione in Lombardia. Alla vigilia del voto regionale, che si terrà la primavera prossima, il Centrodestra supera il 50 per cento dei consensi, il Centrosinistra si attesta sul 27 per cento, Azione-Italia Viva raccoglie il 10 per cento dei consensi e i 5Stelle il 7. Male Forza Italia e Lega, che cedono voti a Fratelli d’Italia, che da sola ne raccoglie più degli alleati uniti.
L’insediamento di Parlamento e Governo
Il13ottobre il Parlamento si riunirà la formazione dei gruppi parlamentari seguiranno le votazioni per l’elezione dei presidenti delle Camere. Compiuto questo passaggio, il presidente Mattarella avvierà le consultazioni e subito dopo, sulla base delle indicazioni dei gruppi, incaricherà il nuovo presidente del Consiglio, che sarà Giorgia Meloni. La leader di FdI, come da prassi, accetterà con riserva e, una volta sondati gli alleati, presenterà la lista dei ministri, che dovranno essere nominati con decreto del presidente della Repubblica. Poi, dopo il giuramento dei ministri e la “cerimonia della campanella”, che sancisce il passaggio dall’esecutivo uscente a quello entrante, si presenterà alle camere per la fiducia. Il governo dovrebbe essere operativo tra il 20 e il 31ottobre. Tutto dipenderà dalla capacità di mediazione della Meloni su presidenti delle Camere e sulla composizione del Governo e dal livello di protagonismo che mostreranno Berlusconi, sin dal 26 settembre alla ricerca di posti di potere, visibilità e consensi, per riprendersi i milioni di voti ceduti all’alleata. Nel caso poi che vengano indicati al Quirinale ministri che non danno garanzie sui conti e sulla collocazione geopolitica del Paese il presidente Mattarella, come fece con l’economista Paolo Savona, candidato ministro del primo Governo Conte, può respingerli, allungando i tempi di formazione del Governo.
I nodi al pettine
La premier, defilatasi in questi giorni dopo l’abbuffata di dichiarazioni pre elettorali, dovrà uscire allo scoperto e confrontarsi con la realtà. A prescindere dal discorso con cui chiederà la fiducia alle Camere, sin dai primi giorni di mandato, dovrà compiere delle scelte obbligate. Non potrà essere europeista e sovranista allo stesso tempo: starà con Ungheria e Polonia o con Francia e Germania? Dove troverà i soldi per compensare i costi energetici: facendo debito o chiedendoli a Bruxelles? E il Reddito di cittadinanza, rimane o viene cancellato? Flat tax e condono arriveranno o no? I migranti li fermiamo con il nostro esercito o insieme all’Europa. Se torna la pandemia si vaccinano solo gli anziani e si tiene tutto aperto, come dicono alcuni suoi luogotenenti? E infine, la frase “Dio, patria e famiglia” – slogan caro al Ventennio – cosa significa esattamente oggi?
I problemi sono molti e di difficile soluzione, i nodi da sciogliere altrettanti. L’unica cosa certa è che la rendita di opposizione è finita e che ricette semplicistiche e slogan demagogici non serviranno a governare l’Italia.
La crisi del Pd
Nell’opposizione il grande malato è il Pd, intorno al quale le altre forze della cosiddetta sinistra, nelle declinazioni populista, estrema e riformista, continuano il tiro al bersaglio, assecondando l’attitudine innata della sinistra a essere come i “capponi di Renzo”, per i quali conta molto di più litigare per accrescere i propri consensi, che vincere le elezioni. Detto questo, il Pd è certamente da ripensare. L’aver governato sempre dal governo Monti in poi, con l’unica eccezione del Conte I, ha avuto come effetto la nascita di una classe dirigente elefantiaca, romanocentrica, sedimentata e governista, più attenta all’autoconservazione che al programma politico. Con un’idea di paese da proporre agli elettori che, date le condizioni e al di là di parole d’ordine ripetute da anni, non ha potuto che essere annacquata, cangiante, frutto di mediazioni continue. La legge elettorale senza preferenze e con i listini bloccati, attribuendo un potere enorme alle segreterie nella scelta dei candidati, è stata il colpo di grazia per il Pd, perché ha accentuato l’endemica divisione in correnti del partito e la conseguente lontananza dai territori. Esemplificativa in questo senso l’esclusione dalle candidature alle Politiche dell’assessore del Comune di Milano Pierfrancesco Maran, nonostante con 9.166 preferenze sia stato il più votato a livello nazionale. A nulla sono servite nè la lettera alla segreteria nazionale del Pd firmata da sindaco, giunta e consiglieri della maggioranza di Palazzo Marino con cui si chiedeva la sua candidatura, nè il sostegno del Pd lombardo. La parola fa rabbrividire molti degli elettori Pd, ma, a questo punto, il “rottamare” di renziana memoria, sembra essere la parola giusta per la situazione attuale. Da accompagnare alla costruzione di un progetto di paese e società, che assieme ai diritti civili, non dimentichi la tutela dei diritti sociali, come la Salute, la Sicurezza, l’Istruzione e il Lavoro. Evitando accuratamente, considerati i cinque anni di legislatura, le forche caudine di una scelta aprioristica di schieramento “con M5s o con Azione-Italia Viva”, provenienti da fuori e dentro il partito.
Elezioni in Lombardia
Il Centrosinistra si presenta alle prossime elezioni per la Regione Lombardia con 20 punti di svantaggio, senza candidato, con una coalizione da costruire e il partito principale in pieno travaglio. La partita per la conquista del Pirellone è difficilissima, impossibile se giocata come le Politiche. Roma deve dimenticarsi della Lombardia. Il candidato presidente deve essere scelto con le primarie e i candidati al Consiglio regionale sulla base della loro reale presenza sul territorio, su temi e battaglie di carattere sociale, che interessano i cittadini. Nessuna battaglia identitaria o ideologica, che di solito interessano chi le fa e pochi altri. Solo così il Centrosinistra può avere qualche possibilità di conquistare il Pirellone. Se Atene piange Sparta però non ride. Il Centrodestra uscito alle politiche è una coalizione che rischia di fare gli ultimi mesi di governo in continua fibrillazione. Letizia Moratti, assessora alla Sanità, non sembra disposta a rinunciare alla candidatura al Pirellone e annuncia la formazione di una sua lista civica. Il presidente Attilio Fontana e Lega per ora resistono e parlano di candidatura decisa, ma sono molto deboli, così come lo è Forza Italia, che però sta alla finestra invocando unità. Fratelli d’Italia che, dopo decenni da comparsa, vorrebbe far pesare il suo nuovo status anche in Lombardia, attende la formazione del governo nazionale per esprimersi. Di certo c’è che con la legge elettorale in vigore, per l’elezione del presidente e del Consiglio regionale di Lombardia, vince chi tra i candidati presidente prende più voti. Se il Centrodestra si presenta con due candidati, per il Centrosinistra la partita per la presidenza della Lombardia potrebbe riaprirsi.