”Felicia Impastato”, l’esempio di una madre che lotta per la verità. Stasera la fiction su Rai 1

“Questo è un film che non si può dimenticare. Un'opera di resistenza civile e culturale rispetto all'indifferenza e alla rassegnazione che rischiano di condizionare il nostro presente e il nostro futuro”. Potrebbero bastare queste poche

“Questo è un film che non si può dimenticare. Un’opera di resistenza civile e culturale rispetto all’indifferenza e alla rassegnazione che rischiano di condizionare il nostro presente e il nostro futuro”. Potrebbero bastare queste poche parole del pm Nino Di Matteo, dette dopo aver visto l’anteprima della fiction su “Felicia Impastato” (andrà in onda stasera, venerdì, in prima serata, su Rai1), a far comprendere il valore profondo del tv movie diretto da Gianfranco Albano, (sceneggiatura di Diego De Silva e Monica Zapelli e la consulenza di Giovanni Impastato, fratello di Peppino) che vede una straordinaria interpretazione di Lunetta Savino nel ruolo della protagonista.

Qui le parole di Lunetta Savino con cui ha  espresso tutta l’emozione vissuta nel vestire i panni della madre di Impastato: “Quando mi hanno chiesto di interpretare questo ruolo mi sono sentita emozionata e al tempo stesso onorata. Ho anche avuto un po’ di paura perché è difficile accettare ed entrare nella parte di una donna così amata e così straordinaria come Felicia Impastato. Una donna che non solo si rifiuta di aderire a quel mondo mafioso che vorrebbe la donna a casa e che parla con i figli solo per trasmettere certi disvalori, ma che decide di parlare con la voce del figlio. Quando Impastato muore lei capisce di dover continuare a fare quel che il figlio aveva pensato ed è qui l’eccezionalità di Felicia. Un momento importante è sicuramente quando decide di tenere aperta la porta della sua casa, che poi diventa “Casa memoria”, per continuare a parlare del figlio, trasmettendone i valori, e in qualche modo tenendolo in vita e trasferire quello spirito ai giovani. È forse questa la lezione più grande di Felicia Impastato”.

Alla presentazione è intervenuta anche Felicetta, la moglie di Giovanni. “Questo film è il proseguo di Centopassi – ha detto – Mi sono emozionata perché mi ha permesso di rivivere certi momenti che fanno parte della nostra vita, della nostra storia. Io ho vissuto il dramma della famiglia Impastato da vicino e posso dire che Felicia era veramente determinata, testarda e coraggiosa. Lei non ha preso posizione solo dopo la morte del figlio ma la sua è una scelta nata già prima, all’interno della sua famiglia ma anche all’esterno. Lei lo ha sempre difeso, non solo rispetto a quegli scontri che c’erano tra il marito e il figlio. E proprio al marito diceva che ‘i suoi amici non li voleva per casa’. Ed io ricordo che quando questi bussavano era mio suocero ad uscire. Poi c’è stato il coraggio di costituirsi parte civile al processo. Un percorso non facile perché lei cercava di proteggere Giovanni. L’avevano minacciata dicendole di pensare a quel che avrebbe fatto proprio perché le restava un solo figlio”. 

Chi era Peppino Impastato?
Lo racconta Salvo Vitale, che ha condiviso il percorso politico e culturale di Peppino e ha raccolto, inquadrandoli nel loro momento storico, ricordi e testimonianze di alcuni compagni, ai quali la vicenda umana e politica del militante siciliano dell’Antimafia ha lasciato un segno indelebile. Assassinato a trent’anni dai mafiosi di Cinisi, alle porte di Palermo, nel 1978, non era un “eroe solitario” in lotta contro le cosche: era un coraggioso militante politico di Democrazia Proletaria  che dai microfoni di Radio Aut, conduceva una durissima battaglia contro i mafiosi del paese. Aveva coagulato intorno a sé, nella Cinisi del capomafia Tano Badalamenti, un gruppo di giovani e di collaboratori che, in tempi e modi diversi, lo hanno affiancato sino alle ultime ore di vita, continuando dopo la battaglia per riabilitarne la memoria, contro il depistaggio delle indagini. Venne assassinato da un gruppo di sicari al soldo del boss Gaetano Badalamenti, nello stesso giorno del delitto Moro (9 Maggio 1978), e il suo corpo trascinato sulla ferrovia, qui fatto a pezzi da un ordigno esplosivo, per simulare un attentato terroristico finito male. Storia, questa, che venne efficacemente raccontata da Marco Tullio Giordana nel suo film “I cento passi”.

Chi è Felicia Impastato?
Felicia è stata una madre che dopo la morte del figlio rifiuterà per 24 anni la versione di Stato: quella dell’attentato terroristico o, in subordine, quella del suicidio dello stesso Peppino. E lo farà pretendendo verità. Non, invece, quella vendetta che i suoi stessi parenti mafiosi le offrivano su un piatto d’argento essendo stato oltraggiato, con l’uccisione di Peppino, lo stesso onore degli Impastato.
Felicia, con il suo orgoglio e la sua fierezza, il suo onore di donna siciliana che né si spezza, né si piega, che crede cocciutamente che dovrà venire il “giorno della verità”, busserà a tutte le porte della giustizia, da quella del giudice Gaetano Costa, a quella di Rocco Chinnici, a quella di Giovanni Falcone e Antonino Caponnetto, a quella di Gian Carlo Caselli e della sostituta procuratrice Franca Imbergamo. I carabinieri avevano fatto scomparire gli atti, tra cui documenti e reperti  raccolti dal fratello Giovanni, di un’inchiesta di Peppino su precisi interessi mafiosi a Cinisi. “Il film racconta a chiare lettere di come agirono in sintonia, in quella squallida vicenda, quelli che io amo definire lo Stato-Mafia e la Mafia-Stato“, scrive Saverio Lodato.

Come anticipato, al termine della visione dell’anteprima a sorpresa ha parlato il pm di Palermo Nino Di Matteo “Questa storia di Peppino Impastato, del depistaggio, la storia delle indagini, rappresenta un asse portante fondamentale per capire come la vicenda della contrapposizione tra Stato e mafia sia una vicenda profondamente complessa, dove troppe volte quella che tutti pensano essere una contrapposizione è stata in parte anche una convergenza di interessi. E la storia di Peppino Impastato è l’asse portante di quelle che nel tempo sono state le collusioni tra lo Stato e la mafia. Possiamo definirla come la madre di tutte le trattative o comunque rappresenta un momento importante, perché forse ce ne sono state anche prima, di una mafia che non esitava a servirsi dello Stato per acquisire potere e di uno stato che pensava di combattere una parte della mafia avvalendosi di un’altra parte della mafia stessa”.

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