Finita la pandemia nulla sarà più come prima, ma come sarà?

Presa coscienza che la pandemia di Covid 19 è una cosa molto seria, che si può morire e ammalarsi in modo grave e che non si risolverà “in qualche settimana”, ora le domande che tutti

Presa coscienza che la pandemia di Covid 19 è una cosa molto seria, che si può morire e ammalarsi in modo grave e che non si risolverà “in qualche settimana”, ora le domande che tutti ci poniamo è quando ne usciremo e come?

Se sul primo interrogativo riusciamo ad abbozzare risposte, pur aggiornando sempre al rialzo le nostre ipotesi, sul secondo facciamo molta più fatica. Tutti concordi sul fatto che nulla sarà più come prima, ma su quale sarà la normalità che ci troveremo a vivere si procede a tentoni, sospesi come siamo tra un passato che temiamo non torni più, un presente angosciante, un futuro ancora più incerto. 

Bisogna fare uno sforzo di immaginazione enorme che, partendo dalle poche certezze che abbiamo, è un azzardo. Ci proviamo.

Economia ibernata e miliardi come noccioline

Quanto ne risentirà l’economia della pandemia che sta colpendo tutto il mondo è la grande incognita. Tema difficilissimo, da non trattare solo con grafici e tabelle, visto che riguarda i comportamenti umani, ovvero quanto di più influenzabile e volatile ci sia. L’obiettivo dei governi è ibernare il tessuto produttivo, per farlo ripartire a Coronavirus sconfitto. A questo scopo il Patto di stabilità è stato sospeso e ora si parla di miliardi di euro come se fossero noccioline. È chiaro che ci stiamo riempendo di debiti per tenere insieme tutto il sistema, noi italiani insieme a tutto il mondo occidentale. E questa è forse l’unica speranza perché i mercati e i governi “amici” non ce la facciano pagare troppo cara – soprattutto ai più deboli -, una volta terminata la pandemia.

Mobilità: è finita la pacchia

Una cosa è certa: rimpiangeremo i tempi del Trattato di Schengen, delle spensierate prenotazioni dal proprio computer, i last minute, i B&B e lo sharing. Come fu dopo l’11 settembre, la gente si muoverà di meno perché avrà paura. E perché tutto sarà più difficile. Possibile che vengano istituiti controlli della febbre alle frontiere, richiesti certificati di negatività al Coronavirus, kit di tamponi distribuiti come test di gravidanza, braccialetti elettronici che controllano lo stato di salute. Questo potrebbe essere il futuro. Speriamo solo che passi in fretta.

Telelavoro, smart working e smart schooling

Terminata l’emergenza di sicuro vorremo solo toccarci, parlarci e vederci in faccia, in tanti e senza uno schermo di mezzo. Tutte attività essenziali per una vista sana e felice, che anche le tecnologie più raffinate non potranno mai darci e, soprattutto, sostituire con surrogati. Detto questo però, una delle pochissime cose positive che lascerà in eredità questa tragica pandemia, sarà una grande accelerazione nella diffusione dell’uso del telelavoro e del telestudio, che se usate con intelligenza potranno indubbiamente migliorarci la vita. Pensate solo agli effetti su smog e traffico a Milano, se tutti gli uffici pubblici e privati facessero almeno un giorno alla settimana di smart working.

Politica, tra terrorismo psicologico e solidarietà diffusa

La sordina alle polemiche e alle dichiarazioni sguaiate, il senso di unità nazionale e la voglia di aiutarsi di questi giorni con ogni probabilità scompariranno insieme al Coronavirus. Qualcosa però rimarrà, troppo grande è lo shock che stiamo vivendo. Ma quali saranno le idee, immagini e progetti su cui la politica farà leva per far crescere il consenso è da vedere. Prevarrà la strategia che evoca in continuazione la tragedia dietro l’angolo e indica l’altro da cui difendersi o quella che sottolinea la forza della comunità solidale e la fiducia negli altri? Personalmente temo che la prima avrà il sopravvento: troppo facile terrorizzare la gente dopo un’esperienza come questa. Sono sicuro però che, almeno, non sentiremo più parlare di “uno vale uno”, perché avremo imparato che le competenze servono e che le terapie non si costruiscono su internet, né tantomeno sentiremo più parlare di No Vax e di decrescita felice.

Sanità Lombarda, perché tutti questi morti?

La sanità lombarda del dopo epidemia dovrà primaditutto spiegare perché nella nostra Regione i morti sono oltre l’8% dei contagi registrati, mentre altrove sono il 2% e anche meno. Le ipotesi sono tante e, al momento, tutte degne di valutazione. Di certo possiamo già affermare che il sistema sanitario lombardo in futuro dovrà riorganizzarsi con reparti flessibili, per rispondere più velocemente alle mutevoli esigenze. Soprattutto dovrà organizzare un sistema di medici di base e professionisti che possano curare i pazienti in casa magari con la telemedicina, cosa che in questi giorni non sta succedendo. E dotarsi di presidi e macchinari sempre pronti per le emergenze, altro elemento che è drammaticamente mancato.

Per fare questo il sistema sanitario lombardo nella sua parte pubblica dovrà essere potenziato. Per il futuro medici, infermieri e personale sanitario dovranno aumentare ed essere gratificati adeguatamente. Sono loro le colonne della sanità, come è stato ampiamente dimostrato in questi tragici giorni, in cui, essenzialmente, con il loro eroismo e abnegazione si è fatto fronte alla pandemia.  

Faber est suae quisque fortunae 

Dagli antichi romani (e anche prima) fino ai nostri tempi, una sana vena di positivismo ha percorso la nostra cultura occidentale, quindi niente di meglio che concludere con un stralcio del grande filosofo Karl Popper, tratto dal libro “Il futuro è aperto” (Bompiani, 1989), scritto con l’amico, scienziato ed etologo, Konrad Lorenz. Ecco le sue parole, confortanti ma che che ci chiamano alla responsabilità: “Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte”. Forza, non molliamo.

Giornalista dello scorso millennio, appassionato di politica, cronaca locale e libri, rincorre l’attualità nella titanica impresa di darle un senso e farla conoscere, convinto che senza informazione non c’è democrazia, consapevole che, comunque, il senso alla vita sta quasi tutto nella continua rincorsa. Nonostante questo è il direttore “responsabile”.

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