Genitori: abbattiamo le barriere “mentali”
Settembre. Iniziano le scuole e chi deve cambiare casa si pone un problema: che zona scegliere? Meglio un appartamento di fascia alta che consenta ai figli di frequentare una scuola pubblica socialmente selezionata, o risparmiare
Settembre. Iniziano le scuole e chi deve cambiare casa si pone un problema: che zona scegliere? Meglio un appartamento di fascia alta che consenta ai figli di frequentare una scuola pubblica socialmente selezionata, o risparmiare sull’affitto per una zona di minor livello e investire in una scuola privata per evitare un inserimento in scuole pubbliche ad alto tasso di indiani, portoricani o etnie varie? Ed ecco manifestarsi il fenomeno della fuga verso gli asili del centro di “italiani” della periferia, per evitare ai figli convivenze con gli “stranieri”.
Nascono però subito un po’ di problemi: odierni e in futuro, quando la crescita trasferirà il problema a successivi livelli di scuola, con sovraffollamenti pronti a invalidare ogni utopica volontà di personalizzazione dell’insegnamento. Perché la conseguenza di tale corsa sarà l’ampliamento del numero di scolari per classe, col medesimo effetto che si è voluto evitare: un supposto rallentamento dell’apprendimento attribuito dai genitori ai tempi necessariamente imposti da problemi di comunicazione linguistica. In realtà, un falso problema. È noto che, in ambito di scuola materna ove l’apprendimento avviene attraverso il gioco, il momento fondante è proprio la socializzazione, che a quell’età non conosce barriere linguistiche.
Al contrario, dove la fuga non sia dettata da necessità organizzative come aver l’asilo vicino all’ufficio per poter recuperare il piccolo, a suggerire la corsa al centro è proprio la fuga dall’extracomunitario, dallo “straniero” come compagno di classe. La fuga da quel “diverso” che, a dirla tutta, è tale solo per i genitori, perché quel problema non esiste per il bambino (purché non imbeccato da genitori che magari in pubblico aborriscono i “razzisti”). Per il bambino esiste la curiosità, all’inizio. Una curiosità stimolante, capace anche di generare amicizie di una vita.
Per dirla francamente: si ha forse a che fare con genitori che, pensando di salvaguardare il figlio, in realtà lo impoveriscono. Anche culturalmente. Piaccia o no, i livelli di partenza – aspetti linguistici a parte – a quell’età spesso sono i medesimi. Differenti sono le culture familiari, ma in tal caso è vero che un contatto significa anche la possibilità di un incontro, e che un incontro è sempre accrescitivo: di conoscenze ed esperienze. Sia chiaro, non voglio dire che sia sempre tutto rosa e fiori e non possano esistere problemi di convivenze. Il discorso è un altro. È educativo. Scolasticamente e socialmente. Per l’oggi, ma soprattutto per il domani neppur tanto remoto verso il quale ci avviamo, e che è quello della coabitazione e della convivenza. Ghettizzando invece la periferia e le sue strutture, quei genitori non si accorgono che stanno ghettizzando socialmente e culturalmente i propri figli (e anche se stessi). Nel presente e in prospettiva futura. E si sa che è sempre dalle segregazioni che nasce il muro contro muro. Per evitare questo, la scuola e i mezzi di comunicazione possono fare molto.
Occorrono correttezza nell’informazione, apertura al dialogo, capacità di fare interagire le diverse culture. Insomma, bisogna far emergere una disponibilità al confronto basata sul convincimento che ciò che è diverso non è necessariamente sbagliato o privo di valore: al contrario, può essere fonte di arricchimento comune.
Anna Muzzana