I generi di Hollywood, dalle comiche mute ai maestri della commedia americana

Gli americani nella loro inarrivabile capacità di semplificazione dividono i film in due primarie categorie, drama e comedy. Come a dire che tutto quello che non tocca corde drammatiche diventa commedia. In realtà il passaggio

Gli americani nella loro inarrivabile capacità di semplificazione dividono i film in due primarie categorie, drama e comedy. Come a dire che tutto quello che non tocca corde drammatiche diventa commedia. In realtà il passaggio dal muto al sonoro inventa nuovi generi o li cambia radicalmente, la commedia fra questi.

Nel cinema degli albori la commedia aveva innanzi tutto una vis comica. A contrapporsi ai grandi drammi lacrimosi erano soprattutto le comiche. Il frenetico movimento della macchina da presa giocava a rincorrere le gag di figure leggendarie che rivaleggiavano con le avventure romantiche di Rodolfo Valentino.

Erano l’acrobata Harold Lloyd, il clown triste Buster Keaton, il vagabondo di Chaplin, la stralunata coppia formata da Oliver Hardy e Stan Laurel. Nessuno di loro sembrava aver bisogno della parola, bastavano quegli inseguimenti folli, le catastrofiche cadute, le immancabili torte in faccia.

Nella rivoluzione dei primi anni trenta molti di loro erano destinati a scomparire. Chaplin cercava per anni di resistere al nuovo per poi arrendersi e ritrovarsi grande inventandosi ruoli diversi, i più bravi a riciclarsi erano Stanlio e Ollio, veri giganti tropo spesso frettolosamente confinati in un’idea di cinema per soli bambini.

Per loro la parola diventava un valore aggiunto anche grazie al buffo accento che da noi aveva il timbro inconfondibile di un giovane Alberto Sordi. A far loro da contraltare a un livello più raffinato erano i fratelli Marx, capeggiati dall’impareggiabile Groucho, maestro della battuta e del nonsense.

Perché il vero protagonista del nuovo cinema era la parola. E niente meglio della commedia riusciva a darle valore. Così i ritmi rutilanti delle comiche venivano trasferiti nei dialoghi veloci e spumeggianti della slapstick o della screwball comedy, la commedia a volte sofisticata e a volte pazza diretta con mano sicura da registi spesso d’importazione che mescolavano intelligenze e culture diverse.

Il capofila ineguagliabile di una ricca schiera era l’austriaco Ernst Lubitsch, maestro della commedia apparentemente frivola, che sapeva coniugare situazioni surreali a dialoghi brillanti che tentavano di superare le severe norme dei nuovi codici censori. Lubitsch proiettava i suoi lavori in ambienti raffinati e spesso lontani, le location potevano essere le esotiche (per gli americani) Vienna o Parigi. Le ambientazioni sontuose volevano far dimenticare i duri momenti della vita quotidiana nel decennio drammatico seguito al crack di Wall Street. Così gli americani tornavano a sognare con le loro eroine e quelle storie dall’ andamento da favola che li riportava a un’atmosfera di moderne Cenerentole o Biancaneve.

Se la commedia di Lubitsch appariva sin troppo leggera e staccata dalla realtà si poteva optare per una commedia che potremmo definire sociale. Il maestro di questa scuola era Frank Capra, approdato in America dalla lontana Sicilia a nove anni e totalmente immerso nel mito americano tanto da farne diventare ad Hollywood il cantore del new deal roosveltiano.

Il suo eroe era il cittadino medio, con le tipiche virtù yankee e i valori alti della costituzione repubblicana, mai disposto ad abrogarne i sacri principi. Erede dei pionieri che avevano colonizzato il grande paese, capace di lottare con forze apparentemente invincibili e alla fine trionfatore su ogni avversità. Spesso sullo schermo assumeva le sembianze di James Stewart, fosse il mister Smith (un nome così comune non era scelto a caso) che andava a sfidare la corruzione che si annidava a Washington o meglio ancora il George Bailey della ‘La vita èmeravigliosa‘, forse il film ideale dove drama e comedy si toccano, dove il sogno sfiora pericolosamente l’incubo ma alla fine il bene trionfa in un happy end scontato che non deve far dimenticare una mezzora oscura quando il film virava verso le zone più buie.

Perché la commedia mantiene tutta intera la sua duttilità, riuscendo a stemperare anche i venti di guerra senza però nasconderli. Lo stesso Lubitsch riusciva a sorridere e far sorridere sulle paure dell’orso sovietico in Ninotchka o sugli orrori nazisti in Vogliamo vivere, Chaplin si reinventava sosia di Hitler sbeffeggiandolo nel Grande Dittatore. Senza dimenticare altri grandi autori, da Howard Hawks a Preston Sturges, da George Cukor a Greg La Cava. Corrosiva o ingenua, dolce o mordace la commedia sposava perfettamente la ragion d’essere di Hollywood nella comune incrollabile fede di mantenere vivo il sogno americano.

Bibliotecario approdato finalmente alla pensione cerco di coltivare e condividere con maldestri tentativi di scrittura le mie mille passioni. Dalla letteratura allo sport, dalla storia alla musica, tutto con la stessa onnivora curiosità inversamente proporzionale alla competenza. Al primo posto l'amore per il cinema, nato a sei anni dalla folgorazione in una sala buia e mai più abbandonato.

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