Il tenero sguardo di Sorrentino sullo scorrere della vita. Youth? Un’occasione di libertà

Presentato il 20 maggio e uscito nelle sale italiane lo stesso giorno, in concorso alla 68a edizione del Festival di Cannes 2015, il film di Paolo Sorrentino“Youth – La giovinezza”, sta dividendo la critica italiana. Ancora

youth_sorrentinoPresentato il 20 maggio e uscito nelle sale italiane lo stesso giorno, in concorso alla 68a edizione del Festival di Cannes 2015, il film di Paolo Sorrentino“Youth – La giovinezza”, sta dividendo la critica italiana.

Ancora una volta (dopo The must be the place) il regista partenopeo opta per un cast internazionale.

Protagonisti della pellicola  l’hollywoodiano Harvey Keitel e il britannico sir Michael Caine, a cui si aggiungono la bella Rachel Weisz, una Jane Fonda caricaturale e determinante, e Paul Dano. Parti minori ma significative sono attribuite all’uomo dal celebre passato calcistico, Diego Armando Maradona (omaggiato dal regista alla premiazione della Notte degli Oscar 2014), interpretato da Roly Serrano, e una “divina” Madalina Ghenea.

Con un chiaro omaggio alla musica (bellissime le musiche di David Lang e Mark Kozelek) e al cinema (che non è televisione), la pellicola è dedicata al regista Francesco Rosi, che ha dato spunto al film, come ricorda lo stesso Sorrentino: «Ho dedicato Youth a Francesco Rosi per due motivi sostanziali: il primo è semplice, perché è stato ed è un punto di riferimento per me e per molti miei colleghi. Italiani e non solo. Il secondo è più intimo: non molto tempo fa sono stato a cena a casa sua, mi ha raccontato un aneddoto riguardo a un suo amico e una ragazza della quale sono stati innamorati entrambi», è da qui che parte l’idea della sceneggiatura.

Tema centrale del film lo scorrere del tempo, un universale che viene trattato da Sorrentino attraverso le parole e gli occhi malinconici dei suoi protagonisti, intenti a osservare il proprio passato, farsi di anno in anno sempre più ingombrante e sfuocato. Ma nei due personaggi, il compositore Fred Ballinger (Michael Caine) e il regista ancora in attività Mick Boyle (Harvey Keitel), lo sguardo verso il futuro, nonostante quest’ultimo si offra sempre più incerto e vago, non manca e viene affrontato in modo diverso, dai due amici, così come il loro passato.

Il film è ambientato in un perfetto hotel spa, nelle splendide e silenziose alpi svizzere, contesto volto alla “preservazione” del corpo e al relax. Ottima scenografia di riflessione e osservazione, in cui il tempo sembra fermarsi. Un luogo dove immancabili celebrità e comuni borghesi sfilano meccanicamente vestiti della loro solitudine, in inquadrature felliniane di corpi e volti, che mostrano processioni robotiche fatte di carne, ossa e silenzi.

Persone con un grande passato si domandano se e quanto rimarrà delle proprie faticose gesta. Ognuno reagisce diversamente, osservando con tenerezza e disincanto le realtà altre che li circondano. Le vite degli altri.

Sorrentino ci offre un osservatorio ricco e significativo di storie: il giovane attore californiano frustrato (Paul Dano) che verrà piacevolmente sorpreso dalla ragazzina che desidera solo rosicchiarsi le unghie in pace; la figlia che teme di non essere all’altezza e quella che si prostituisce e che viene accompagnata dalla madre; la coppia che sembra non comunicare e la giovane massaggiatrice che balla sola davanti a uno schermo, nulla ha da dire, ma tutto capisce al tatto; la Miss Universo (Madalina Ghenea), che non vuole adagiarsi sulla propria bellezza e stupisce tutti rispondendo a una provocazione; la pop star insignificante che con le sue doti, non certo intellettuali, sottrae il marito alla bella Lena e infine Maradona che nonostante la sua condizione vive ogni giorno con alle spalle, oltre a Marx, il suo ingombrante passato fino a spingersi a una goffa auto-dimostrazione per sentirsi vivo.

Il film ci racconta dell’amore, dell’amicizia, della giovinezza perduta, altra faccia della vecchiaia e della memoria che ne è protagonista assieme alle due arti: musica e cinema, che pur cambiando e rinnovandosi, sopravvivono nel tempo. Sorrentino non vuole raccontare l’orrore, la morte (come conclude il giovane attore californiano dentro i panni scenici di Hitler), ma i desideri le emozioni che restano il motore della vita e che il tempo non può vincere.

La pellicola procede con l’intento di esorcizzare gradualmente il timore della vecchiaia, motivo per cui il titolo è “la giovinezza”, e affronta anche il tema del cambiamento e di ciò che ci sopravviverà, come i figli. Quello che spaventa è la routine come ci fa capire l’estremo gesto in stile comenciniano di Mick.

Bisogna intestardirsi e concentrarsi per poter procedere come per potersi sollevare da terra e sentirsi liberi con i propri mezzi, come fa il monaco buddhista ospite della spa svizzera, che in contrapposizione al bisogno tipicamente occidentale di moti dell’animo, ricerca quell’atarassia che gli permetterà di trovare la serenità.

«Raccontare il futuro è una grande occasione di libertà – ha spiegato Sorrentino – un sentimento naturale della giovinezza. Youth è un film estremamente ottimista…» e molto tenero, come l’alpinista folgorato dalla bellezza dell’altitudine e da Lena (Rachel Weisz), figlia di Fred.

Il film nonostante il suo indiscutibile tratto estetico, la fotografia (di Luca Bigazzi) estremamente metaforica e l’accompagnamento sempre partecipante e descrittivo della colonna sonora (mai monotona e molto varia), sembra farsi più semplice come le composizioni, le Simple songs, del protagonista Fred Ballinger. E procede verso un finale commovente e leggero come la vista di quei paesaggi svizzeri.

E se la trama può apparire debole per alcuni, per altri è un pretesto per ammirarne la ricchezza e la possibilità che il regista offre al pubblico di partecipare attivamente al significato e all’interpretazione dei suoi lavori. Ogni personaggio nasconde un mondo dentro di sé, in un continuo alternarsi di immagini che evocano giovinezza e vecchiaia, come lo stacco dalle labbra carnose e colorate della superba cantante lirica, al volto della paralisi.

Il punto è mettersi in gioco con i propri mezzi, le proprie emozioni e i propri desideri. Ci sarà chi, inizialmente privo di pathos, ritroverà quel che aveva abbandonato, chi invece rifiuterà di prenderne coscienza proprio per paura dell’apatia.

Anita Rubagotti

(giugno 2015)

Laureata in Comunicazione politica e sociale, blogger e fotografa d’assalto, aggredisce la cronaca spregiudicatamente e l’html senza alcuna reverenza (e il sito talvolta ne risente), ma con la redazione è uno zuccherino. La sua passione è il popolo.

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