Inaugurato il laboratorio artigianale dello yogurt della Cascina Campazzo. Ne parliamo con l’agricoltore Andrea Falappi

Sul brunire  arrivo alla Cascina Campazzo, 'roccaforte' del Parco agricolo Ticinello, percorrendo di buon passo la stradina sterrata secondaria che diparte dalla via Dei Missaglia. C'è ancora luce, sulla destra intravedo le marcite con l'erba

Sul brunire  arrivo alla Cascina Campazzo, ‘roccaforte’ del Parco agricolo Ticinello, percorrendo di buon passo la stradina sterrata secondaria che diparte dalla via Dei Missaglia. C’è ancora luce, sulla destra intravedo le marcite con l’erba tagliata di recente, il canale Scarpogna che le irriga ora in asciutta. Sulla sinistra costeggio il lungo muro di cinta a mattoni rossi della cascina. Supero il cancello in ferro battuto che dà direttamente alle stalle delle bovine, e intravedo attraverso una finestrella il luccichio dell’impianto in acciaio del laboratorio dello yogurt. Arrivo al cancello padronale, supero la Chiesetta di Sant’Ignazio di Antiochia appena ristrutturata e mi dirigo verso la casa padronale dove dal 1952 abitano Andrea e Nazzareno Falappi con le famiglie: gli agricoltori, conduttori dell’omonima azienda agricola. Andrea mi attende seduto sotto il portico di casa, da cui domina tutta la cascina: la corte con l’ampia aia rettangolare con i trattori, in fondo le grandi stalle, sulla destra l’ala di ricovero degli attrezzi agricoli e sulla sinistra quella un tempo adibita alle abitazioni dei salariati. È qui che è stato ricavato lo spazio per il laboratorio artigianale dello yogurt della Cascina Campazzo,  inaugurato domenica 9 ottobre. Uno yogurt prodotto dal latte appena munto delle bovine di razza frisona, pezzate bianche e nere, ottime produttrici di latte, e jersey, dal manto marrone fulvo che producono un latte ricco di grassi e proteine. Tutte alimentate dal foraggio ricavato dalle quattro marcite e dal mais coltivato nei 24 ettari di pertinenza della Cascina Campazzo.
La serata ottobrina ci permette di restare seduti fuori mentre Andrea ci parla della nuova esperienza, il laboratorio dello yogurt appunto, dove il latte appena munto fluisce direttamente dalla sala mungitura per essere processato e dosato in vasetti di carta ecologica.

Andrea, allora domenica 9 ottobre c’è stata l’inaugurazione del laboratorio dello yogurt della Cascina Campazzo.

Sì, finalmente, dopo i rallentamenti dei lavori dovuti all’epidemia da Covid-19, siamo riusciti a ultimare l’impianto e a effettuare i primi test e le analisi fisico-chimiche e qualitative. È stata una festa ‘bagnata’ eppure molto sentita e partecipata da tutti, istituzioni e cittadinanza, indifferenti alla pioggia torrenziale.  Ci ha fatto molto piacere la presenza di  Anna Scavuzzo, vicesindaco di Milano con delega FoodPolicy  e di   Andrea Magarini, direttore servizi agricoltura e FoodPolicy. Da martedì 11 ottobre apriamo  il laboratorio anche ai cittadini che così potranno approvvigionarsi sia del latte fresco crudo dal distributore automatico, sia dello yogurt confezionato in vasetti ecologici: uno yogurt fresco, saporito, cremoso, ricco di vitamine e di fermenti lattici vivi. Un servizio comodo per i cittadini essendo la cascina inserita nel tessuto urbano, a pochi passi dalla stazione della metropolitana di piazza Abbiategrasso e a 4 km dal Duomo.

Da dove nasce la scelta di allargare l’attività dell’azienda?

Il laboratorio dello yogurt è un’attività complementare, che arricchisce la produzione agricola di nostra competenza; ci sembrava logico, visto che produciamo latte, poter trasformare noi stessi una quota parte, circa un dieci per cento della produzione giornaliera.

Lo possiamo considerare un ulteriore sviluppo dell’agricoltura intorno a Milano?

Poiché le terre di certo non possono aumentare, si lavora su interventi che valorizzino il prodotto attraverso l’allargamento dell’attività. Senza dimenticare altre valenze che ha l’agricoltura a livello sociale e di conservazione del territorio e del paesaggio. L’amministrazione comunale, con il Piano di sviluppo rurale 2014-2021, ci ha spinto a prendere iniziative simili soprattutto riguardo le strutture di sua proprietà, come la cascina Campazzo di cui siamo conduttori, per tutelarle, valorizzarle e migliorare la produzione. Ha dato a noi agricoltori un supporto tecnico nell’ambito della strutturazione dei progetti, della loro gestione amministrativa e della presentazione alla Regione Lombardia che gestisce i fondi della Comunità Europea per l’agricoltura. Finanziamenti che incentivano varie iniziative di trasformazione per far sì che i territori abbiano un’agricoltura più viva e vicina ai cittadini, grazie alla trasformazione dei prodotti. Le nostre proposte sono state accolte, ovviamente abbiamo dovuto anticipare tutto e se sarà tutto in regola arriverà una quota di finanziamento.

Milano Metropoli rurale è un progetto partito con Expo nel 2014, mentre il Dam  é un’associazione di cui sei stato presidente.

Milano Metropoli rurale è una definizione che abbiamo dato noi agricoltori, attraverso la quale volevamo significare che Milano oltre a essere una metropoli della moda, del commercio, del terziario, ha una componente agricola molto interessante. Il Dam, ‘Distretto Agricolo Milanese’, è un’associazione di imprese agricole attive, impegnata a salvaguardare la loro sopravvivenza nel territorio milanese. Nonostante mille difficoltà ha favorito il consolidamento del rapporto con l’amministrazione comunale: ha permesso di ristrutturare le cascine e di differenziare le attività. Sono rapporti complessi ma in una città come Milano è importante avere la possibilità di ottenere dei risultati certi.

Parco Agricolo Sud Milano è un aiuto concreto per la difesa di voi agricoltori?

Sono stato uno dei fondatori con mia moglie nel lontano 1984, eravamo in sette! La presenza del Parco Sud ha tutelato il territorio rispetto agli sviluppi immobiliari e talora speculativi dell’epoca e dei tempi successivi. Ci ha dato l’opportunità di difenderci anche dal punto di vista legale, legislativo e parlamentare. Ci sono delle problematiche insorte ancora negli ultimi anni, ma spero che vengano risolte mantenendo questa forma di difesa dell’attività agricola. Invece, nella provincia di Pavia, quindi fuori dal Parco Sud Milano, sono sorte delle aree logistiche allucinanti, navi mostruose perse in mezzo alla campagna, come a Landriano. Questo è merito del Parco sud, la tutela ha funzionato.

C’è ancora il rischio che portino via terre all’agricoltura, ossia del ‘consumo di suolo’? La vostra è una storia di resistenza rurale, di lotta serrata contro un’operazione speculativa, quando i proprietari della cascina Campazzo tentarono di cacciarvi via.

Rispetto all’epoca precedente, lo sviluppo dissennato si è abbastanza bloccato grazie alle politiche di contenimento del Parco Sud. I terreni oggi sono tutti coltivati, fertili, irrigui. Non ci sono terreni trascurati, le potenzialità sono tante, anche se le difficoltà ci sono sempre. La possibilità di creare delle attività multifunzionali come la commercializzazione, trasformazione e ristorazione, sono opportunità accessorie complementari positive, anche se in parte potrebbero frantumare l’attività agricola. È positivo perché le dimensioni aziendali in un territorio metropolitano sono più ridotte rispetto ad altre della pianura padana. A difesa di queste criticità dell’agricoltura, abbiamo l’opportunità di svolgere delle attività multifunzionali essendo vicini a un polo abitativo così grande. Certo, a Milano le ristrutturazioni sono più care perché non si possono modificare le strutture, come il cambio della copertura dei coppi, a volte non viene concessa l’opportunità di realizzare delle strutture più ampie, e poi si è sottoposti alla sovrintendenza delle belle arti…

Voi siete i custodi di terreni e cascine, che sono un bene che rimane alla città metropolitana.

Certo, se le aziende agricole hanno degli sviluppi economici che le rendano sostenibili. Le strutture non possono essere mantenute da un ente pubblico. Quindi, se hai più opportunità di investire avrai maggior reddito e ulteriori risorse per mantenere le strutture. Il comune di Milano ha cercato di innestare questo processo, e in parte c’è riuscito. Certo che se l’agricoltura viene in parte dismessa diventa difficile mantenere le strutture inutilizzate: spesso sono abbandonate dallo stesso agricoltore non solo se affittuario che è obbligato a mantenerle, ma anche se proprietario. Se non ha una redditività che gli consente di mantenere le strutture è inevitabile che le lasci andare.

Dopo il Covid, la guerra e l’aumento del costo delle materie prime agricole, come è andata l’annata agricola che sta per chiudersi?

La situazione è pessima per l’agricoltura, soprattutto per le aziende zootecniche per la concomitanza di tre fattori: l’aumento del costo delle materie prime e dell’energia a causa della guerra e poi la siccità, che da sola ci ha fatto perdere il 50% della produzione di mais e il 60% del fieno. La concomitanza di questi fattori è drammatica, una batosta soprattutto per le aziende agricole che allevano bovine da latte, come la nostra. Perché sono strutture complesse con macchinari e impianti perennemente attivi e quindi con un maggior consumo di energia, rispetto a chi fa monocultura di mais e che ha un consumo di energia elevato solo in periodo di raccolta per gli essiccatoi. Inoltre, avendo prodotto la metà del foraggio e del mais, per dar da mangiare alle mucche il prossimo anno li dovremo ricomprare. Solo che il fieno che costava 12-15 euro al quintale ora viaggia a 30-35 perché non ce n’è da nessuna parte.

Dicono che l’economia ha ripreso a marciare

È vero, dopo gli aumenti fino al 100% del ferro, rame, stagno, raggiunto un certo picco i prezzi hanno cominciato a scendere. Anche il mais era aumentato, ma con la guerra e i porti bloccati dell’est, ha continuato ad aumentare del 20-30%. Tuttavia, per la zootecnica il colpo di grazie è arrivato dalla siccità che ha colpito soprattutto la Pianura padana: per noi allevatori la situazione è gravissima e difficile da gestire. Qui chi aveva un fatturato di cereali di 80-90mila euro, quest’anno se va bene porterà a casa meno di 40mila. Se va bene! Per noi allevatori la situazione è gravissima.

 

Giornalista per caso… dal 1992, per una congenita passione per la fotografia. Dalle foto ai testi il passo è breve: da riviste di viaggio e sportive ai più quotati femminili e quotidiani nazionali sui temi del mondo del lavoro. Ho progettato e gestito newsletter di palestre e centri fitness. Ora faccio parte degli intrepidi inviati di Milanosud.

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