Intervista alla dottoressa Silvia Decarlis: «Ho una media di una decina di casi Covid alla settimana. L’epidemia è ormai ovunque, il territorio deve essere subito mappato e organizzato»

Abbiamo intervistato la dottoressa Silvia Decarlis, medico pediatra di famiglia convenzionato con studio alla Barona da 10 anni, abitante nel Municipio 5, per anni all’Ospedale San Paolo in Pediatria - Neonatologia. Una professionista che in

Abbiamo intervistato la dottoressa Silvia Decarlis, medico pediatra di famiglia convenzionato con studio alla Barona da 10 anni, abitante nel Municipio 5, per anni all’Ospedale San Paolo in Pediatria – Neonatologia. Una professionista che in questi ultimi mesi ha visto comparire e poi crescere l’epidemia di Covid-19 tra i suoi pazienti, lavorando sul territorio della nostra città, in quello che appare oggi come il maggior focolaio di contagio: le case dei milanesi.

Dottoressa, secondo la sua esperienza, anche lei ritiene che l’epidemia di Covid 19 sia iniziata molto prima di fine febbraio?

«È probabile che già nel mese di gennaio vi fossero alcuni pazienti con sintomi “sospetti” di Coronavirus, ovvero polmoniti che alcuni medici hanno definito “anomale”. A mio parere però sono state numericamente molto poche e nascoste nel mare dell’epidemia influenzale, che quest’anno è arrivata un po’ in ritardo ed è stata meno importante dell’inverno precedente. Le cose sono cambiate nel mese di febbraio, quando ho iniziato a visitare un numero crescente di bambini con sintomi che, col senno di poi, ora potrei attribuire a Coronavirus, ma senza eccesso di casi di polmonite».  

Con quante persone malate è entrata in contatto in queste settimane, quali caratteristiche comuni avevano i pazienti?

«Dal 21 febbraio penso di aver gestito, telefonicamente o in studio, circa una decina di casi a settimana. Calcoli però che per ogni caso con sintomi lievi ce ne sono stati sicuramente molti altri che non sono giunti alla mia osservazione, senza sintomi e senza febbre. Io mi occupo di una fascia di età, quella pediatrica, in cui il Coronavirus decorre nella stragrande maggioranza dei casi con sintomi lievi, che spesso non vengono neppure segnalati al pediatra. Talora con solo 1-2 giorni di febbre, malessere, mal di gola e poca tosse, altre volte con febbre vomito o diarrea.

In seguito alla chiusura degli asili e delle scuole dopo il 23 febbraio le patologie infettive come raffreddore, tosse e febbre, che normalmente entrano nelle case attraverso i bambini, si sono spente, ma i genitori hanno continuato a lavorare e molte famiglie purtroppo hanno affidato i bambini ai nonni, e così, finché non si è arrivato al lockdown vero e proprio, sono stati gli adulti a portare in casa il virus e a distribuirlo a bambini ed anziani.

Oltre a ciò nelle prime settimane di chiusura delle scuole i parchetti pullulavano di bambini, nonni e mamme, i giardini ed i Navigli di giovani che pensavano di essere in vacanza; anche questa è stata una via importante di diffusione del contagio da parte di soggetti giovani, molto abituati a stare in gruppo e asintomatici».

Come ha fatto le diagnosi?

«Per fare diagnosi clinica, dato che non ho a disposizione test diagnostici, indago sui sintomi di tutta la famiglia. Ho quasi sempre scoperto un genitore o un contatto esterno che nelle 2-3 settimane precedenti ha avuto un po’ di febbre, tosse o diarrea, e che ancora non è completamente guarito. Molti medici di famiglia stanno osservando casi di genitori con sintomi lievi, ma di lunga durata, anche di un mese. A tutti questi soggetti non è mai stato fatto il tampone, anche se bisogna dire che nel 30% dei casi risulterebbe falsamente negativo, viene consigliato di stare a casa per 2 settimane, ma senza alcun monitoraggio e pertanto senza indicazioni strette per l’isolamento».

Quindi il contagio si diffonde?

«Io come pediatra segnalo ad Ats il caso sospetto e do consigli di buon senso per l’isolamento a domicilio del bambino e del nucleo familiare; il problema è che non essendo avviata una quarantena obbligata per caso Covid accertato, il genitore è “autorizzato” ad uscire per fare la spesa o portare il cane a passeggio, e così facendo molti portano a spasso il Coronavirus e il contagio non si arresta. Un’altra grossa preoccupazione è che in alcuni soggetti adulti in buona salute la patologia, dopo un avvio lento e magari rassicurante può prendere una strada drammatica e inaspettatamente, senza preavviso, portare all’insufficienza respiratoria e al ricovero».

Cosa devono fare le persone che iniziano ad avere sintoni Covid 19 e come possono essere curate e si possono curare in casa?

«Tutte le persone devono a questo punto considerarsi potenzialmente infette, per il bene degli altri, e pertanto applicare correttamente e con massimo rigore le indicazioni date: uso di mascherina, distanza di almeno 1 metro all’aperto, 2 metri al chiuso, lavaggio delle mani e guanti al supermercato o in luoghi pubblici. In secondo luogo tutti devono fare molta attenzione ai sintomi lievi e iniziali: al minimo segnale di malessere, come cefalea, mal di gola, tosse anche leggera, febbricola o diarrea, bisogna sospendere ogni uscita da casa, ogni attività lavorativa e qualsiasi contatto con anziani e soggetti a rischio; bisogna subito contattare il curante che potrà avviare un monitoraggio ed eventuali terapie, che cominciano ad essere disponibili anche al domicilio; è indispensabile che il soggetto malato si isoli subito dagli altri conviventi all’interno della casa. Nella maggior parte dei casi è possibile restare a casa, ma con stretto monitoraggio anche telefonico da parte di un medico, per cogliere tempestivamente un possibile peggioramento. Segnalo anche che esiste un sintomo molto particolare e specifico solo dell’infezione Coronavirus ed è la scomparsa quasi totale di gusto e olfatto».   

Come pediatra conferma che i bambini sono molto meno vulnerabili, ma da malati lievi o asintomatici, possono comunque trasmettere i sintomi?

«I bambini non sono meno vulnerabili, hanno la stessa probabilità di ammalarsi ma hanno un decorso breve o lieve e guariscono molto spesso senza complicanze, a meno che non presentino problemi di salute preesistenti. Sono però molto contagiosi perché per natura interagiscono fisicamente con altri bambini e adulti, toccano tutto e non sono in grado di rispettare le regole di distanziamento. Un rischio collaterale di questo periodo di epidemia è quello di non riconoscere le altre patologie dell’infanzia o di non ricorrere al pediatra per i controlli di salute dei primi 2 anni di vita: spesso il genitore per timore di uscire rinuncia a queste visite e così diventa impossibile per il pediatra di famiglia prevenire molte patologie infantili. La visita di controllo nei piccoli può essere fatta con le dovute precauzioni anche in tempo di Covid 19». 

Quale idea si è fatta di questa pandemia?

«Il coronavirus è ancora un nemico sconosciuto, io non sono una ricercatrice e posso solo raccontare l’impressione che mi sono fatta sul territorio, confrontandomi spesso con la collega di studio che è un bravissimo medico di Medicina Generale: questo è un virus subdolo, con un tempo di incubazione – per intenderci il periodo cui non si ha alcun segnale di malattia ma si può essere contagiosi -, di circa una settimana, ma a volte anche 2. Subdolo perché talora si presenta con febbre alta e altre volte con febbricola e leggero malessere; subdolo perché nei bambini spesso può dare solo diarrea e poca febbre, o a volte mal di gola e poca tosse.

Una delle accuse che viene rivolta Regione Lombardia e di aver smantellato negli anni il sistema sanitario nelle ramificazioni territoriali e che questo è uno dei motivi principali dei numeri tragici della pandemia in Lombardia, è d’accordo?

«La situazione della Lombardia, tuttora molto allarmante, ha moltissime cause e responsabilità, alcune hanno origini lontane, altre meno e non è semplice farne un quadro completo. A mio parere è stata centrale la mancanza di preparazione su molti fronti: chi era responsabile e doveva attivarsi per tempo forse non ha consultato le persone giuste o se lo ha fatto non li ha ascoltati, sottovalutando il problema. Le chiusure sono state tardive e graduali, si è deciso di concentrarsi principalmente sul potenziamento dei posti di rianimazione e sulla riorganizzazione degli ospedali e si è trascurato il territorio. I medici di famiglia si sono ritrovati senza mascherine, senza protezioni, senza linee guida, senza coordinamento, senza possibilità di proteggere se stessi e i propri pazienti; non è stato possibile non tanto curare quanto “prendersi cura” dei pazienti, dare loro non tanto una diagnosi quanto un supporto e delle indicazioni; adesso qualcosa si sta muovendo, ma troppo lentamente e troppo in ritardo. I medici di famiglia non mancavano – Ora vi sono molte criticità perché continuano ad ammalarsi e, ahimè, a morire -, ma non hanno avuto una cabina di regia competente.

La Regione è stata accusata di aver abbandonato i pazienti a casa.

«Non è stato organizzato tempestivamente un sistema efficace per tracciare l’andamento dei contagi sul territorio, isolare per tempo i casi sospetti e fare una seria quarantena dei contatti domestici e lavorativi. Non parliamo poi delle Rsa che sono state gestite ancor peggio. A ciò si aggiungono i tagli che sono stati fatti sul comparto ospedaliero: io ho lavorato per 20 anni in Ospedale e a malincuore ho dovuto decidere di lasciare, poiché le continue carenze di organico e i turni disumani di guardie e pronto soccorso non erano più sostenibili per la salute mia e della mia famiglia. Come cittadino e come  collega di tanti medici e operatori che hanno perso e continuano a perdere la vita in questa pandemia mi  aspetto – anzi pretendo – di essere  governata ed amministrata  da persone competenti, disposte a mettere al primo posto il bene comune, sacrificando il successo  personale».

Da noi l’epidemia cala lentamente, nonostante sei settimane di lockdown, perché e cosa bisognerebbe fare secondo lei?

 «L’epidemia è ormai ovunque sul territorio ed il territorio va mappato e organizzato al meglio con urgenza. Inutile pensare di poter rimediare agli errori e ai ritardi perché non si può tornare indietro, impensabile pensare di proseguire allungando continuamente il lockdown. Si deve accelerare per effettuare a tappeto test sierologici e tamponi e bisogna pensare a una totale riorganizzazione del modo di vivere per ricominciare a uscire e lavorare, gradualmente e senza riaccendere focolai. La Lombardia ha ogni eccellenza in campo medico, universitario, imprenditoriale, ha una forte rete di volontariato, ci sono le risorse per elaborare strategie efficaci».

Secondo lei, chiusa questa dolorosa pagina, come dovrebbe riorganizzarsi la Sanità nella nostra città?

«Devono essere create le condizioni perché i medici di famiglia possano curare i loro assistiti, in sicurezza. Esistono le tecnologie per farlo anche da remoto, verificando con apparecchi appositi alcuni parametri come temperatura, battito cardiaco, l’ossigeno nel sangue e altro ancora. Ci sono le risorse umane e le intelligenze necessarie per realizzare un sistema sanitario organizzato che lavori in modo coordinato sul territorio e negli ospedali.

Ci vogliono però le capacità e la volontà di chi sta al vertice. Ci vuole maggiore competenza. Un esempio: a partire dal 20 marzo Ats ha predisposto per Medici di base e Pediatri di famiglia il  portale Covid per raccogliere informazioni e agevolare il monitoraggio di tutti gli assistiti con l’infezione e  anche  dei soggetti anziani o con patologie croniche a rischio di contrarre il Coronavirus; purtroppo il portale è stato avviato in ritardo, non è ancora aggiornato in tempo reale ed è evidente che chi lo ha pensato non ha esperienza del lavoro sul territorio; la presa in carico da parte dei servizi preposti è spesso difficile, quasi impossibile via telefono o mail. Il portale avrebbe potuto semplificare la richiesta di intervento delle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) per curare i pazienti Covid. Era una buona idea, ma è tuttora un progetto incompleto».

Cosa ci aspetta nei prossimi mesi?

«Siamo in un momento di grande confusione. Se come si dice ci sarà una riapertura graduale delle attività come cittadino e medico pediatra mi chiedo dove andranno i bambini quando i genitori saranno al lavoro. A scuola? Dicono saranno chiuse. E se anche fossero aperte, durante i mesi estivi li mandiamo all’oratorio, in colonia, dai nonni? Se la pandemia non è finita tutto questo non sarà possibile, sarebbe tragico riaccendere i contagi». 

 

Giornalista dello scorso millennio, appassionato di politica, cronaca locale e libri, rincorre l’attualità nella titanica impresa di darle un senso e farla conoscere, convinto che senza informazione non c’è democrazia, consapevole che, comunque, il senso alla vita sta quasi tutto nella continua rincorsa. Nonostante questo è il direttore “responsabile”.

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