Intervista alla maestra Giulia: «Le tecnologie hanno grandi potenzialità, ma la relazione con i bambini non può essere sostituita»
Giulia Pipitone, 26 anni, laureatasi in Scienze della Formazione con una tesi su intercultura e plurilinguismo entrata a far parte di una ricerca universitaria, da tre anni è insegnante di sostegno in una scuola primaria
Giulia Pipitone, 26 anni, laureatasi in Scienze della Formazione con una tesi su intercultura e plurilinguismo entrata a far parte di una ricerca universitaria, da tre anni è insegnante di sostegno in una scuola primaria della zona San Siro. Quest’anno scolastico ha iniziato seguendo tre bambini di terza elementare, con programmi differenti, definiti sulla base delle caratteristiche e fragilità peculiari di ognuno. Poi è arrivato il Coronavirus e tutto è cambiato.
Arriva il Coronavirus, chiudono le scuole: in che modo hai avviato la didattica con i tuoi bambini?
«Per i miei bambini la difficoltà maggiore della didattica a distanza è legata alle condizioni della famiglia. All’inizio non sapevamo se avevano la strumentazione, se c’erano gli spazi adeguati, poiché capita spesso che i bambini sono molti, si trovano a far lezione nello stesso momento e hanno un solo dispositivo. A questo abbiamo provveduto, perché la scuola ha acquistato 94 tablet che ha distribuito a partire da metà aprile. Rimane il problema delle connessioni, non sempre esistenti o stabili, che purtroppo non è ancora risolto del tutto».
Come vi state organizzando con le lezioni?
«Ce le stiamo reinventando. All’inizio la comunicazione avveniva attraverso Whatsapp, anche perché c’erano delle famiglie che non avevano neanche una mail. Si mandavano i compiti e la didattica si fermava lì. Poi, anche in ragione della distribuzione dei tablet, abbiamo iniziato a utilizzare Zoom, come piattaforma per fare lezione, anche perché era indispensabile che i bambini rivedessero i volti delle loro maestre e dei loro amici».
Riuscite a incontrarvi online tutti i giorni?
«I primi tempi ci vedevamo tre volte alla settimana e ogni classe aveva adottato una sua modalità, a seconda delle esigenze e delle difficoltà dei bambini. Poi abbiamo iniziato a vederci tutti i giorni, all’inizio con delle chiacchierate di un’oretta, in cui ci raccontavamo delle storie, per ricostruire la relazione. Adesso siamo passati a delle lezioni, prendiamo i libri di testo. Leggiamo la paginetta e andiamo avanti così».
Come fai con i bambini che segui con i programmi di sostegno?
«Abbiamo scelto di tenere i bambini presenti in tutti gli incontri di classe, per favorire l’inclusione e dare il senso di comunità. Ma oltre a questi incontri ne tengo altri individuali con i tre bambini più fragili. Inizialmente erano incontri più di intrattenimento ora più legati alla didattica. Questo comporta trattare lo stesso argomento due volte, uno sforzo maggiore che ha il vantaggio di consentire una migliore interazione e approfondimento degli argomenti».
Secondo te cosa funziona e cosa invece non funziona dell’insegnamento a distanza, anche nella prospettiva di un prossimo anno scolastico?
«La didattica a distanza non può in alcun modo sostituire l’aspetto relazionale, che è fondamentale, perché l’apprendimento passa attraverso la relazione, a maggior ragione con i più piccoli e ancor di più con i bambini che hanno delle fragilità e bisogno di maggior sostegno. Detto questo, lo strumento digitale ha delle potenzialità che sarebbe un errore non sfruttare. Penso di potrebbero tenere le classi virtuali».
Cosa sono le classi virtuali?
«Utilizzando Google classroom, per esempio, si possono creare classi virtuali, cioè degli spazi online in cui si riuniscono docenti e studenti, grazie ad una piattaforma dove è possibili interagire attraverso chat, forum di discussione, quiz e anche condividere file e video (vedi sotto due esempi realizzati da Giulia Pipitone – NdR). Esiste inoltre una libreria di documenti digitali disponibili fatti molto bene, per capire come funzionano processi più complessi come il ciclo dell’acqua. Questa potrebbe essere una modalità che si può mantenere e sviluppare dal prossimo anno scolastico».
Credi dunque sia possibile, per mantenere il distanziamento sociale, organizzare dall’anno prossimo classi dimezzate e alternate a scuola, facendo didattica anche con strumenti con Google classroom?
«Secondo me sì, sarebbe una giusta via di mezzo per mantenere comunque, sia pure dimezzata, la relazione studente – docente e il senso di comunità scolastica nei bambini. In questo modo i bambini tornerebbero a scuola, potrebbe essere tre giorni su sei. Si possono anche organizzare lezioni in classe in diretta streaming, per coloro che stanno a casa, magari seguiti da un docente che opera esclusivamente online con coloro che non sono fisicamente in classe. Certo ci vuole un grande sforzo organizzativo, oltre che tecnologico».
I docenti sono preparati per questo passo?
«La scuola avrebbe dovuto compiere prima questo passo verso la digitalizzazione prima, a prescindere dalla pandemia. Comunque già si sono attività molti corsi di formazione, attraverso webminar. Il preside della mia scuola, per esempio, sta spingendo molto in questa direzione. Il punto è che molti docenti sono ancora un po’ restii, anche perché molti partono da competenze digitali molto basse. Per esempio ci sono diversi i docenti che non si immaginavano nemmeno di poter fare delle videochiamate. Sembra assurdo ma è così. Ora l’hanno scoperto, ma svolgono lezioni frontali, con lunghe videochiamate registrate».
E così non funziona?
«Non funziona in presenza, figuriamoci a distanza».
Ultima domanda, sei di ruolo?
«No sono con “messa a disposizione”, attendo di entrare in graduatoria quando sarà aggiornata. Dovrebbe esserci anche un concorso per entrare di ruolo, ma ancora non è uscito. Intanto mi porto avanti a studiare».
Auguri maestra Giulia, per te e per i bambini che ti avranno come insegnante!