Intervista – Parla Lopez Nunes, il padre delle ciclabili in città: «Rendere ciclabile un centro urbano non è solo realizzare piste»

La rivoluzione ciclistica milanese di queste settimane nasce qualche anno fa. «Nel 2013 Il Comune di Milano cerca un direttore del progetto ciclabilità. Partecipo al bando e vengo scelto: per i successivi tre anni sono

La rivoluzione ciclistica milanese di queste settimane nasce qualche anno fa. «Nel 2013 Il Comune di Milano cerca un direttore del progetto ciclabilità. Partecipo al bando e vengo scelto: per i successivi tre anni sono il responsabile della progettazione e realizzazione di nuove piste ciclabili in città». L’uomo che ha fortemente contribuito a dare una diversa mentalità e modalità al pedalare urbano è Fabio Lopez Nunes, classe ‘53, figlio di Guido Lopez, scrittore, per 12 anni responsabile dell’ufficio stampa Mondadori e, tra i vari accadimenti, testimone di incontri importanti come quello tra Arnoldo Mondadori, Ernest Hemingway e Eugenio Montale. Guido Lopez è anche autore di libri su Milano di cui Fabio diventa curatore delle successive riedizioni, per dire di un senti- mento per la città autentico e antico, elevato e profondo. Sentimento che per tre anni è stato declinato nel pensare dal punto di vista dei ciclisti urbani. Accade nel suo piccolo ufficio di piazza Beccaria: ogni mattina ci arriva su una bici che poi, piegata su sé stessa, lo aspetta vicino alla scrivania fino a sera.

«Milano in quegli anni ha tutto da fare, me lo ricordo. Gli ingegneri del Comune lavorano ad alcuni progetti, in parte realizzati e in parte no. C’è bisogno di far capire all’interno della struttura cosa vuol dire andare in bicicletta». Lui pedala da quando fa avanti e indietro casa-scuola, Porta Venezia-Porta Vittoria, con un discreto traffico ma, rispetto a oggi, meno auto in seconda fila e più rispetto per tutti. «Milano ha un’ossatura della macchina comunale complessa, e per quel che vedo, obsoleta: non nelle singole persone, intelligenti e colte, tecnicamente preparate. È che la macchina funziona per competenze e non per obiettivi, almeno in quel periodo è così. Si apre quindi una discussione gigantesca tra chi in Comune progetta le strade secondo i vincoli normativi della sola correttezza progettuale ingegneristica e chi invece ritiene che ci possano essere soluzioni semplici, di trasformazione copernicana della piattaforma urbana: cose che, dai e dai, adesso vediamo mettere in campo, anche sotto la spinta delle varie associazioni ciclo-ambientaliste».

Il lavoro comincia con viale Marche. Molto contestato e molto rispettato dagli automobilisti. «Andate a vedere: le auto sono fuori dalla pista ciclabile. Semmai l’indisciplina è dei motociclisti che non hanno capito la differenza e la pericolosità della loro massa e velocità rispetto a chi va in bicicletta». Quella di viale Marche è una ciclabile che si definisce in segnaletica, tracciata con una riga di vernice gialla e bianca, continua e invalicabile. Altre sono invece in struttura: un’opera pubblica che separa tramite barriera fisica le biciclette dalle automobili.

«Con l’ultimo decreto ministeriale è stata inserita una nuova figura ibrida di corsia ciclabile, che si sta ancora cercando di definire poiché enunciata in maniera pasticciata». Il decreto dice due cose: che si possono tracciare corsie ciclabili a tratteggio discontinue, valicabili solo dando la precedenza ai ciclisti. Proprio per questo può essere tracciata per lunghi tratti». La seconda novità introdotta è la cosiddetta Casa avanzata, «realizzata in piazza Lima: un’area in corrispondenza del semaforo in cui i ciclisti possono stare davanti alle macchine. Vuol dire che al verde la ripartenza delle auto non può avvenire come al Gran Premio di Monza perché hanno davanti le bici: vedendole non le travolgono».

Non sono progetti di opera pubblica e quindi non prevedono un procedimento specifico, ma solo un intervento nel quadro del corrente appalto per la segnaletica: «sono modifiche che metti in strada subito, ne verifichi la consistenza, le utilizzi per un determinato periodo di tempo, oppure se funzionano le puoi mantenere, modificare, migliorare». Viceversa l’opera pubblica, la messa in strada di una nuova piattaforma, è per una città come Milano una cosa complessa. «Perché quando tu modifichi il sopra devi modificare anche il sotto e ridisegnare tutto. La ciclabile che da piazza Conciliazione arriva a San Siro tramite piazzale Lotto deve tenere conto che ci sono dei vincoli molto complessi soprattutto sotto, dalle condotte alla metropolitana».

Il sindaco Sala ha avuto coraggio a tracciare una corsia ciclabile nel cuore di Milano. È stato il primo segno di riscatto della città post- Covid. «Questa di Sala è stata una mossa coraggiosa con Granelli, assessore alla mobilità e lavori pubblici, che lo sta aiutando egregiamente; non posso che essere favorevole. Il futuro ci dirà se abbiamo innestato una marcia in più. I primi indizi sono molto positivi. Stiamo passando da 1.500 a 6.000 ciclisti su Buenos Aires – forse anche di più –. È che il Comune di Milano si è messo di buzzo buono e, anticipando il decreto stesso, ha fatto una cosa, la ciclabile che da San Babila arriverà a Sesto San Giovanni, che magari non è perfetta ma è un primo passo. Soprattutto ha un costo minimo. Si è messo giù un progetto in via transitoria, in mera segnaletica, per vedere e casomai correggere, eventualmente rifare – esattamente come è successo in piazza Oberdan – è stata fatta una prova, si è capito che aveva alcuni difetti, l’hanno rettificata; un metodo sperimentale, pratico».

Ma rendere ciclabile un centro urbano non è solo realizzare piste ciclabili. «La città diventa ciclabile se un insieme di provvedimenti la rendono agibile a chi non usa l’auto: ciclisti e pedoni. Bisogna avere la visione di una città del futuro con meno auto e più spazio, in cui la gente possa muoversi e incontrarsi. E poi scendere nel concreto, con quello che si può fare e non si può fare, muovendosi al- l’interno delle norme. Perché non è solo questione di mettere una firma, ma di responsabilità e coscienza. Occorrerebbe però accorciare i tempi della burocrazia».

Il sogno: corso Buenos Aires pedonale

Eppure Lopez un sogno ce l’ha. Che poi sarebbe anche un progetto concreto. «Qui lo dico: l’obiettivo per corso Buenos Aires non è la pista ciclabile, ma transenne e rendere la via completamente pedonale. Come l’İstiklal Caddesi – Viale Istiklal – di Istanbul. La soluzione c’è: bisogna eliminare il traffico di passaggio. Va fatto un investimento, piccolo o grande che sia, ma a volte le visioni bisogna averle. C’è un asse parallelo non usato se non come parcheggio, viale Andrea Doria, che si può rendere percorribile per accedere in centro, risolvendo il nodo di piazza Luigi di Savoia; da lì c’è via Vittor Pisani, con tre corsie per senso di marcia, vuote. Non passa nessuno. Le auto di corso Buenos Aires le portiamo lì, c’è già la pista ciclabile separata. In corso Buenos Aires si realizzano la corsia per i mezzi d’emergenza e per i ciclisti, mentre tutto il resto diventa pe-do-na-le. Perché il corso ha bisogno di pedonalità non di automobili. La smettano di dire che non c’è commercio se non c’è l’auto in seconda fila: lo shopping si fa a piedi, non in macchina».

Milanese, giornalista e TV producer. Per lavoro vive a Los Angeles, tocca Cape Town e Tokyo, scopre angoli nascosti d’Italia e d’Europa. Per curiosità si perde nelle strade e tra le storie della sua amata città.

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