La sfida della Milano del dopo Covid-19: riorganizzazione degli orari della città, del lavoro e della mobilità

I segnali di arretramento dell’epidemia da Covid-19 ci consentono di intravedere la fine dei provvedimenti di chiusura e di isolamento forzato che stiamo vivendo. Ma le certezze che abbiamo, a partire dalla data in cui

I segnali di arretramento dell’epidemia da Covid-19 ci consentono di intravedere la fine dei provvedimenti di chiusura e di isolamento forzato che stiamo vivendo. Ma le certezze che abbiamo, a partire dalla data in cui quando questo accadrà, sono poche.

Le attuali scarse conoscenze mediche su Covid-19 impediscono per il momento di avere una terapia efficace per i malati e vaccini per evitare il contagio. Non si sa neanche se, una volta contratta la malattia, le persone sono immuni. La diffusione planetaria di Covid-19 rende più alto il rischio del ritorno di contagi e, allo stesso tempo, la teoria dell’immunità di gregge per miliardi di persone appare una chimera.

In questo difficile scenario abbiamo un’unica certezza: una volta tolto l’isolamento sociale e ripresa la maggior parte delle attività produttive, non vivremo una “normalità” uguale a prima. Distanziamento sociale, presidi sanitari, tamponi e test per individuare le persone immuni entreranno a far parte della quotidianità. Nei luoghi affollati indosseremo le mascherine, ci verrà provata la febbre agli ingressi nei locali, esibiremo certificati di presunta immunità.

Ma, detto questo, saranno sufficienti queste misure di carattere prettamente individuale, per tutelare la nostra salute e, allo stesso tempo, riprendere le attività lavorative? Probabilmente no. Sarà necessario uno sforzo di coraggio e creatività molto maggiore, che trasformi questa crisi epocale in opportunità, immaginando un modo diverso di vivere la città, di produrre e di stare insieme.

Il rischio, in caso contrario, è ricreare le condizioni che hanno favorito la diffusione del virus: trovarci in promiscuità sui mezzi pubblici, nei locali, nei negozi e sulle strade, essere fortemente esposti al rischio contagio e al diffondersi di un clima di paura e caccia all’untore, che mascherine e altri presidi non potranno scongiurare.

Milano ha le armi per combattere questo scenario e per assumere un ruolo di avanguardia. Lo stesso sindaco Beppe Sala ha cominciato a parlarne nei giorni scorsi. Competenze, infrastrutture tecnologiche e capacità innovative ci sono. Se a queste aggiungiamo la straordinaria prova di resilienza che la città ha mostrato in queste settimane di lockdown, in cui i milanesi sono stati capaci di adattarsi alla nuova situazione in modo ordinato, generoso e produttivo. Smart working e lezioni online si sono diffuse a una velocità straordinaria, così come le abitudini di acquisto e l’uso della rete ponendo le condizioni di base per un cambiamento radicale.

Comune e Regione, aziende, sindacati e università devono mettere in campo da subito una strategia per incentivare fortemente questo modo di vivere la città, trasformandolo da estemporaneo in strutturato.

Provvedimenti per favorire l’introduzione di almeno una volta alla settima dello smart working, anche per scuole superiori e università, una giornata produttiva più lunga e divisa in due turni di 8 ore, ingressi e uscite dai luoghi di lavoro scaglionati in più fasce, una settimana lavorativa che pur mantenendo i due giorni di riposo, includa anche il sabato, porterebbero a un significativo alleggerimento del traffico e del rischio contagio dato dalla promiscuità, in particolare sui mezzi pubblici.

Anche le modalità di acquisto sono cambiate enormemente in queste settimane. L’isolamento forzato, le file ai negozi, il distanziamento sociale e la chiusura di molti esercizi commerciali hanno spinto con forza l’uso dei pagamenti digitali e gli acquisti online. La novità è che i milanesi non hanno acquistato solo dalla grande distribuzione e da aziende online come Amazon, ma anche dalle piccole realtà commerciali di quartiere.

Se anche questa nuova propensione fosse sostenuta e allo stesso tempo la città si dotasse di sistemi che attraverso gli smartphone verificassero l’apertura dei servizi e della rete commerciale, del loro grado di affollamento e disponibilità e rendessero possibile prenotare acquisti e, sempre se possibile, riceverli a casa, attraverso un sistema di consegne coordinato, traffico e rischio contagi calerebbero ulteriormente e in modo significativo.

A questi due filoni deve affiancarsi un deciso intervento a sostegno della mobilità ciclabile, che in una città con meno traffico potrebbe crescere significativamente e conquistarsi finalmente gli spazi sulle strade cittadine.

Più facile a dirsi che a farsi? Ma il momento giusto per cambiare è ora. Se al posto di agire con coraggio subiremo passivamente i cambiamenti, la qualità della vita scenderà, sospinta da una crisi economica che si annuncia durissima. Se proveremo a cambiare avremo una chance in più per tornare a essere la città che eravamo: attrattiva, innovativa e dinamica. Male che vada avremo vinto la battaglia che conduciamo da decenni contro l’inquinamento della nostra città. Che comunque non è poco.

 

 

 

Giornalista dello scorso millennio, appassionato di politica, cronaca locale e libri, rincorre l’attualità nella titanica impresa di darle un senso e farla conoscere, convinto che senza informazione non c’è democrazia, consapevole che, comunque, il senso alla vita sta quasi tutto nella continua rincorsa. Nonostante questo è il direttore “responsabile”.

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