Le chiamavano botteghe
Ci ricordiamo dei vecchi negozi di un tempo? Quel commercio faccia a faccia, quello scambio di oggetti, di parole, di consigli, perfino di notizie che è parte integrante della vita di tutti noi.La vita di
Ci ricordiamo dei vecchi negozi di un tempo? Quel commercio faccia a faccia, quello scambio di oggetti, di parole, di consigli, perfino di notizie che è parte integrante della vita di tutti noi.
La vita di chi vendeva si mischiava con quella di chi comprava. Amico o almeno conoscente, il negoziante sotto casa era un po’ quel vigile di quartiere promesso tante volte ma poco visto, era una rassicurazione, un punto minuto di informazione, un crocicchio comunicativo. In una metropoli sempre più anziana e sempre più popolata da singoli, scendere al negozio era rompere una solitudine, dieci minuti di libera uscita dalla TV. Qualcuno ti riconosceva, talvolta ti chiedeva come stavi. Milano s’impoverisce dove i suoi negozi scompaiono e le strade sono sempre più vuote, trascurate, alla mercé di piccole bande di sfaccendati. Nella nostra zona la nascita di molti centri commerciali ha cancellato la parte più tradizionale delle botteghe. Certo il centro commerciale ha il merito di aver sostituito il centro sociale. Gli anziani, privati dei luoghi a loro destinati vi trascorrono interi pomeriggi, pure quelli della domenica, dove anche nel giorno di festa puoi fare la spesa. Una volta, di domenica, le botteghe restavano chiuse; tutte le famiglie si riposavano. La festa non aveva milanesi di serie A e di serie B, gli uni a godersi il riposo, gli altri a faticare.
La città ha smarrito la sua domenica. La globalizzazione del calendario degli acquisti stimola un egoismo di massa. Si frantuma il senso sociale e comunicativo del fare la spesa. La domenica anonima del grande magazzino accentua il fenomeno già preoccupante della rarefazione del commercio personalizzato. Non è soltanto un fatto di calendario, segnato da una cadenza che per i cristiani credenti ha un significato forte. Nella metropoli una parte cospicua della popolazione è estranea alla pratica religiosa, alla messa va una minoranza di milanesi. E poi ci sono gli ebrei con il loro sabato, i musulmani con il loro venerdì. Importante è condividere l’idea che c’è un tempo da rispettare, per un Dio, per una diversa disposizione degli animi, per fare vacanza. A questa visione dei giorni propri e di quelli altrui corrisponde una struttura degli scambi a misura della gente. Si potrebbero trovare soluzioni che non penalizzino nessuno, garantendo il rispetto delle tradizioni pure per chi fa festa in un giorno diverso. Venerdì, sabato o domenica, a ciascuno la sua festa, ma anche a ciascuno il suo riposo. Dove si può, a ciascuno pure il suo negoziante.
Anna Muzzana