Le disgrazie della lingua italiana
Scopro colpevolmente in ritardo che una polemica sulla lingua italiana, che avevo distrattamente orecchiato negli anni scorsi, ha avuto una portata e un significato che vanno al di là delle normali querelle linguistiche fra puristi
Scopro colpevolmente in ritardo che una polemica sulla lingua italiana, che avevo distrattamente orecchiato negli anni scorsi, ha avuto una portata e un significato che vanno al di là delle normali querelle linguistiche fra puristi e novatori.
Me ne ha sollecitato l’attenzione la lettura del libro-intervista di Claudio Marazzini, il presidente dell’Accademia della Crusca.
Unicamente corsi di inglese
Marazzini rievoca il caso avviato dal Politecnico di Milano, che nel 2012 aveva istituito “unicamente corsi di inglese nei dottorati e nelle lauree magistrali”. Inglese obbligatorio, dunque. E l’italiano? Chi non avesse accettato questa drastica impostazione sarebbe stato retrocesso “alla didattica della sola laurea triennale”. Contro questa decisione del Politecnico milanese, purtroppo condivisa dal Miur (ovvero quello che un tempo era il Ministero della Pubblica Istruzione) ci furono ricorsi che, vittoriosi in prima istanza al Tar, dovettero attendere fino al 2018 il pronunciamento del Consiglio di Stato, che, forte di una sentenza della Corte Costituzionale sui “diritti della lingua italiana nella didattica universitaria”, poneva fine alla polemica respingendo (definitivamente?) il tentativo del “sovranismo” linguistico britannico di impadronirsi dei nostri atenei.
La somma e la rinuncia
Questa vicenda è sicuramente destinata ad avere un seguito. Perché il legittimo e doveroso obiettivo di familiarizzare con lingue (l’inglese fondamentalmente) che esercitano una innegabile egemonia negli scambi culturali, economici e commerciali porta sempre più frequentemente ad una aprioristica rinuncia all’uso della nostra lingua e particolarmente alla possibilità di formulare convincenti adattamenti e traduzioni di almeno una parte del lessico straniero. Un conto è aprirsi e sommare conoscenza a conoscenza; un altro è rinunciare completamente al senso della propria identità linguistica.
L’idea di una ottusa e xenofoba conservazione della nostra lingua è assolutamente arbitraria. Questa rigida conservazione non esiste affatto.
Indagine fra i quindicenni: solo il 5% sa leggere e comprendere un testo
Quanto fragili siano le barriere difensive della nostra lingua e quanto poco si avverta il peso di una didattica conservatrice, incarnata per esempio dalla Crusca, lo prova anche l’ultimo rapporto del PISA (Programme for International Student Assessment), “un’indagine triennale che valuta in quale misura gli studenti di quindici anni nel mondo hanno acquisito le conoscenze e le competenze chiave essenziali per la piena partecipazione alla società”. I campi di indagine sono tre: lettura, scienze e matematica. Ebbene, mentre in matematica i quindicenni italiani tengono la media dell’OCSE (in sostanza dei paesi sviluppati), c’è una debolezza crescente nelle scienze e soprattutto nella lettura: solo il 5 % è in grado di comprendere e valutare appieno un testo e sa distinguere i fatti dalle opinioni!
È una impietosa fotografia del grado di impoverimento culturale di una generazione, che trascorre molta parte del proprio tempo a leggere e imparacchiare su smartphone et similia l’americanese, di cui il linguaggio scientifico, che il Politecnico milanese voleva inalberare a lingua madre, è solo l’espressione più nobile ed evoluta.
Dinamismo della conoscenza e funzione dell’Accademia della Crusca
Io credo che ogni branca del sapere umano sia sottoposta alle leggi del dinamismo, del cambiamento e del progressivo arricchimento. La lingua non sfugge a questa condizione. Pena il deperimento e la morte. Che la lingua italiana sia deperita al punto da essere in buona parte surrogata da un’altra lingua mi pare assai difficile da credere. Le regole cui è stata soggetta nella sua lunga storia possono in qualunque momento essere sottoposte a revisione, anche in modo radicale. E questo avviene.
Può non piacere la Crusca, ma una qualche istituzione deputata a mantenere e rinnovare la lessicografia dovrà pur esserci. Ignoro se esista una Accademia della geometria. Ma immagino e spero che se a qualcuno salta in mente di pubblicare un libro di testo che per amore di novazione stabilisca che l’area del cerchio si ottiene moltiplicando il raggio per se stesso e poi per 3,18 (anziché 3,14), qualcuno ne impedisca l’adozione nelle aule scolastiche.
Autorità e autorevolezza
L’Accademia della Crusca, la più antica società al mondo di tutela del patrimonio linguistico nazionale (fu fondata nel 1585), è stata spesso accusata (anche da illustri autori) di conservatorismo: in realtà da molti anni appare più vulnerabile sul fianco del permissivismo che su quello della rigidità. Chi ne segue i lavori, ne registra di continuo “aperture” sul piano grammaticale, su quello sintattico, su quello ortografico.
Solo uno sciocco pregiudizio fa credere che sia una consorteria di barbassori ostinatamente abbarbicati a forme linguistiche ossificate.
Se ne può disconoscere l’autorità (perché, al di fuori della scuola, il diritto a sbagliare nella parlata e nella scrittura è indisponibile), ma non l’autorevolezza. E io gliela riconosco. Soprattutto perché è in atto da tempo un vorticoso rinnovamento gergale, col dilagare di moduli linguistici mutuati o direttamente e acriticamente importati da altre lingue.
Eppure proprio la vicenda del Politecnico di Milano (e del Ministero che ha disinvoltamente tentato di farcire di linguaggio di marketing i percorsi didattici nella scuola) ha mostrato la fragilità delle nostre strutture linguistiche, tempestate di forestierismi e anglismi spesso di oscuro significato e comunque in larga misura non necessari.
Chiudere la Crusca?
Il presidente della Crusca Marazzini segnala come quella vicenda abbia provocato espressioni polemiche eccessive, come quella del Foglio che, per la penna del suo vicedirettore Maurizio Crippa, invocava la chiusura della Crusca.
Le polemiche giornalistiche sono spesso volutamente ridondanti e provocatorie e forse varrebbe lasciarle cadere. Ma questa di Crippa è particolarmente insensata, perché accusa la Crusca di chiusura all’innovazione (e non è vero: si leggesse nel sito dell’Accademia la rubrica di consulenza linguistica); insensata e mendace: sostiene infatti che per la Crusca “gli studenti del Poli non possono studiare in inglese”. E chi glielo vieta? Vorremmo piuttosto che a chi studia in italiano non fosse inibito l’insegnamento.
Un corsivismo lezioso e seriale
Per capire qualcosa di più di questa spropositata polemica, ho consultato il sito di Crippa e ho visto che si diletta in quel genere di giornalismo che è il corsivismo seriale lezioso, quello che protegge la debolezza argomentativa con moine linguistiche, per la gioia dei lettori meno avvertiti. Uno dei suoi bersagli preferiti è la scrittrice Michela Murgia. Ignoro le ragioni di tanto accanimento, se non la convinzione che la Murgia sia campionessa del “politicamente corretto”, una formuletta, mi si consenta, un po’ cretina, che oltre a legittimare l’avversione a tutto ciò che odora di sinistra o sinistrismo o similsinistra, considera intelligente e commendevole ogni forma di trasgressione alle regole della buona educazione. La libertà di dire stupidaggini e volgarità “politicamente scorrette” è ad esempio quella di Vittorio Feltri, che si compiace in tv del solluccheroso consenso che ottiene rivendicando il proprio diritto di chiamare gli omosessuali “froci e culattoni”.
Banalità triviali, che però, bisogna riconoscerlo, fanno breccia in un pubblico che, dal Vaffa in poi, è disposto a digerire tutto.
In nome del politicamente scorretto
Se il Crippa scrive che la Murgia è “una sorta di approssimazione per difetto del grado zero della scrittura”, il lettore semicolto, meno erudito del Crippa, ma analogamente “politicamente scorretto”, che avrebbe prosaicamente scritto che la Murgia vale meno di niente, resta abbacinato da quella involuta formuletta. “Approssimazione per difetto del grado zero”: che dotta eleganza! Non c’è da stupirsi se questo ginnasiale fuori corso dichiari guerra all’Accademia della Crusca e ne chieda la chiusura.