Per le istituzioni repubblicane l’antifascismo non è facoltativo
Da mesi siamo costretti ad assistere a un profluvio di manifestazioni di stampo fascista. Provocazioni continue, sollecitate
Le corone di carta realizzate dai bambini in sostituzione di quella bruciata nottetempo dai fascisti.
Da mesi siamo costretti ad assistere a un profluvio di manifestazioni di stampo fascista. Provocazioni continue, sollecitate dall’atteggiamento del ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini, sempre più tollerante nei confronti dei gruppi neofascisti, che l’hanno eletto esplicitamente a loro idolo, sin dalle elezioni di un anno fa. Una piena sintonia di parole d’ordine, gesti e simboli, che il vicepremier padano non esita a diffondere su tutti i mezzi di comunicazione, sollecitando gli istinti più bassi degli italiani. Una banalità del male, che mescola disprezzo e invidia, machismo e carità pelosa, orgoglio, autocommiserazione e ricerca continua del capro espiatorio, cui additare tutte le colpe. In un gioco di cortine fumogene, che invece di risolvere i problemi li utilizza come strumenti di propaganda. Lo striscione inneggiante Mussolini, esposto in piazzale Loreto alla vigilia della Festa della Liberazione, e la pubblicazione di un libro intervista con una casa editrice dichiaratamente contro l’antifascismo, sono gli atti più evidenti di questa escalation. Gli ultimi frutti di una politica che ha come obiettivo la delegittimazione del significato istituzionale 25 del Aprile, della Repubblica e della Costituzione.
Un attacco condotto scientificamente contro le Istituzioni, perfettamente riassumibile nella battuta – “è derby tra fascisti e comunisti” – con cui il ministro Salvini ha giustificato la sua assenza (e di tutti i ministri della Lega) dalle celebrazioni ufficiali del 25 Aprile. Una vera e propria diserzione che è figlia di una sorta di negazionismo storico, che tende a nascondere agli italiani che la Liberazione dell’Italia fu un movimento di popolo, a cui parteciparono comunisti, socialisti, repubblicani, cattolici, liberali, azionisti, anarchici, monarchici, semplici combattenti per la democrazia, financo preti. Molti dei quali non esitarono a imbracciare le armi, sostenuti dal contributo fondamentale della potente macchina bellica alleata, i cui soldati hanno combattuto e sono morti, così come i partigiani, non certo per il derby evocato da Salvini, ma per far prevalere la democrazia sulla dittatura.
La lapide bruciata il 25 Aprile.
Purtroppo la visione essenzialmente sovversiva del 25 Aprile, alimentata dal vento populista che soffia dal Viminale, dalle sedi della Lega e dalle formazioni neofasciste, fa proseliti anche tra i rappresentanti non leghisti delle istituzioni locali ed è arrivata fino al Municipio 5. Nelle settimane scorse, avvolto dalle spire della propaganda salviniana, anche il presidente del Municipio 5, Alessandro Bramati, è caduto in questa trappola, facendo propria la visione negazionista che riduce la Liberazione a un derby tra chi è pro e chi è contro.
L’11 aprile, durante un Consiglio di Municipio, ha respinto, assieme alla sua maggioranza, un ordine del giorno di condanna degli sfregi sulle lapidi di via Bonghi e via Spaventa, poste dal Comune e poi rimesse dai bambini della scuola Brunacci, in ricordo di due partigiani uccisi dai fascisti. La richiesta di condanna di questi atti era stata presentata dalla consigliera Michela Fiore, sottoscritta dal Centrosinistra e votata anche dal M5S. Quasi un atto dovuto nei confronti della Repubblica e di coloro che hanno sacrificato la vita per farla nascere dalle ceneri della dittatura.
La motivazione della maggioranza con cui è stato respinto l’ordine del giorno si fondava su una surreale riduzione di atti di palese marca neofascista a semplici vandalismi, facendo finta di non sapere che questi si ripetono da anni, sempre più frequentemente, accompagnati da scritte e atteggiamenti inequivocabili. Un rifiuto a prendere atto della realtà e ad assumere comportamenti coerenti con il suo ruolo di rappresentante di istituzioni nate dalla Resistenza, che ha avuto una conferma nei giorni seguenti. Il presidente Bramati infatti, all’indomani di una nuova profanazione della lapide del partigiano Mario Peluzzi, avvenuta nella notte tra il 27 e il 28 aprile (prima ancora il 25 aprile era stata bruciata la corona del partigiano Carlo Ciocca, in via Palmieri), pur di non recedere da una linea di condotta che si faceva sempre più insostenibile, ma dovendo “dire qualcosa”, ha diramato un comunicato di condanna, dove però continuava a non definire i fatti per quello che erano e cioè provocazioni fasciste.
Come per le tre famose scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano, per lui questi continuavano a essere semplici atti vandalici. Un atteggiamento questo, come la cronaca di tutti i giorni ormai dimostra, che ha come effetto di alimentare, sia pure indirettamente, l’onda nera che sta ammorbando il paese, rendendo i gruppi neofascisti sempre più arroganti e violenti. Anche nel nostro Municipio.
Stefano Ferri
(Maggio 2019)