Le origini degli scacchi in Lombardia tra principi, artisti e scienziati del Rinascimento
di Adolivo Capece giornalista e maestro di scacchi Il Quattrocento e il Cinquecento furono un periodo storico straordinario per il nostro paese. Come le numerose mostre e allestimenti sul Rinascimento che stanno rivitalizzando Milano in questo periodo
di Adolivo Capece
giornalista e maestro di scacchi
Il Quattrocento e il Cinquecento furono un periodo storico straordinario per il nostro paese. Come le numerose mostre e allestimenti sul Rinascimento che stanno rivitalizzando Milano in questo periodo ci ricordano, la nostra città fu protagonista assoluta in moltissimi campi della del sapere, dell’arte e dell’economia. Tra i tanti primati c’è anche quello, in parte misconosciuto, di aver contribuito alla diffusione e sviluppo del gioco degli Scacchi.
Le prime notizie relative all’interesse per questo gioco in Lombardia risalgono al 1300 e parlano di una “scuola lombarda” ricca di forti giocatori, scuola le cui rigide regole facevano testo “in tutto il continente”. Appassionati giocatori, erano, stando agli “Annali milanesi dal 1230 al 1402”, tutti i membri della famiglia Visconti, da Azzone a Valentina, figlia di Gian Galeazzo che in dote nel matrimonio con Ludovico di Francia portò, tra l’altro, “una preziosa scacchiera con pezzi e pedine”. Il più accanito scacchista, però, stando alle cronache, fu Filippo Maria, che raccolse anche molti testi sul gioco, conservati nel Castello di Pavia. A Milano è conservata una scacchiera di Bernabò Visconti al Museo Poldi Pezzoli – purtroppo non esposta – e al Castello ci sono alcuni giochi completi.
Che gli scacchi fossero diffusi lo testimoniano anche le notizie riportate da Clelia Alberici in “Capolavori di arte decorativa del Castello Sforzesco”, che raccontano che “nelle piazze di Milano non era raro vedere, sotto costruzioni coperte esposte alla vista dei passanti, i nobili milanesi che giocavano a scacchi tra loro e con le loro dame, spesso tenendo accanto a sé i falconieri”. La passione continuò nel tempo e passò agli Sforza: si sa che nel 1472 il ventenne Ludovico il Moro perse ben 30 ducati con Galeazzo Maria Sforza, che aveva appreso il gioco da ragazzino, probabilmente dal padre Francesco; Galeazzo a 15 anni scrisse – 4 maggio 1459 – al padre e gli comunicò di aver visitato Cosimo de’ Medici e di aver ricevuto in dono, tra altri regali, “un tavoliere de osso con scacchi tucte intarsiate”.
Tale era la passione per gli Scacchi – oltre a una certa idiosincrasia per le sconfitte – che Galeazzo Maria, avendo trovato un ben più ostico avversario nel conte Galeotto Belgioioso, nel 1475, seccato per le continue sconfitte, decise di allontanarlo da Milano. A conferma della bravura di Galeotto, lo stesso anno, in una lettera (10 settembre 1475, conservata nell’Archivio Storico Lombardo) Galeazzo Maria scrive al visconte Ascanio Maria Sforza: “El conte Galeoto a Belzoioso ne ha richiesto licenza de venire a casa et non sapemo pensare la ragione se non è perché el voglia portare ad casa li dinari chel ha vinto ad zocare a scachi …. Et guardatevi bene dal zocare a scachi con lui perché è fatto così bon magistro che vincerà ad ogni partito”. Sempre nel 1475 Galeazzo ordinò una nuova scacchiera, avvertendo che la voleva “intarsiata e non dipinta” perché la pittura se ne andava troppo presto. Evidentemente non era pensata per essere un semplice soprammobile.
Per tornare a Ludovico il Moro, tale Bartolomeo Turco, castellano, nel 1498 fu chiamato a corte perché desiderava vederlo giocare a scacchi (Archivio Storico Lombardo). E Ludovico doveva essere sensibile agli scacchisti dato che in una supplica rivolta al duca si legge “Jacopo de Conti clarico milanese filio quandom da Maystro Ambrosio che zugava a scacchi a mente”.
Dalla lettura del libro “La corte di Ludovico il Moro” di Francesco Malaguzzi Valeri infatti si scopre che: “Nelle sala del Palagio sull’Adda i Da Ro riunivano amici e letterati e le partite a scacchi servivano da intermezzo per le poesie e le novelle che rallegravano Ippolita Sforza Bentivoglio”. Passione ulteriormente confermata in una plaquette del XV secolo, raffigura Galeazzo intento a giocare a scacchi, mentre la sua bella amante Lucia da Marliano, contessa di Melzo, lo guarda distesa su cuscini di velluto cremisi.
Ancora nella prima metà del Cinquecento va citato come appassionato scacchista l’eclettico Girolamo Cardano, scienziato, medico, filosofo, matematico, ecc., che in molte sue opere sottolinea la sua bravura di scacchista e giocò con molti nobili dell’epoca, tra i quali Francesco II Sforza.
Di quel secolo va ricordato il dipinto “La partita a Scacchi” della pittrice cremonese e nobile Sofonisba Anguissola (nell’immagine il suo famoso quadro), anch’essa appassionata di Scacchi e testimone della diffusione del gioco.
Altra grande giocatrice rinascimentale fu Isabella d’Este Gonzaga, marchesa di Mantova, che amava anche possedere giochi di artistica fattura e ne commissionò ai più famosi maestri intagliatori del tempo (tra i più noti, il milanese Cleofas Donati). Da notare che Isabella ospitò tra il 1499 e il 1503, anche fra’ Luca Pacioli (matematico, economista, inventore della Ragioneria), famoso cultore del gioco e autore di un volume, contenente una ricca raccolta di posizioni, nel quale è stato dimostrato esserci anche la mano di Leonardo da Vinci, pure ospite a Mantova assieme al frate; Leonardo realizzò personalmente alcuni diagrammi e disegnò i pezzi che poi servirono da modello per realizzare i diagrammi stessi (vedi anche “Quando Leonardo inventò l’arrocco” in questa pagina NdR).
Una passione per il gioco degli Scacchi dunque, che aveva contagiato i protagonisti del Rinascimento, uomini e donne che fossero. Nobili famiglie, intellettuali, artisti, artigiani si cimentavano alla scacchiera, tanto che, al pari di pittori e poeti, per le corti italiane giravano veri e propri professionisti ante litteram, segnale inequivocabile della diffusione e importanza del gioco. Da una lettera del 1493, conservata all’Archivio di Stato, apprendiamo che un tale Zoane Lombardo (appellativo dal luogo di origine), come altri girava di città in città e viveva giocando a Scacchi con i signori. Ci racconta infatti Sivieri, segretario di Eleonora d’Este , che il Duca Ercole d’Este, “Sua Excellentia”, stava “troppo tempo” a giocare a scacchi contro il maestro Zoane Lombardo, suo avversario preferito, tralasciando gli affari di Stato.
Quando Leonardo inventò l’arrocco
C’è un aspetto del genio di Vinci ancora praticamente inedito, a cui però sembra che nessuno si interessi: Leonardo come giocatore di scacchi. Aspetto non così banale come potrebbe sembrare a prima vista, poiché Leonardo appare come uno degli artefici della modifica nel movimento dei pezzi, che si verificò alla fine Quattrocento.
Non si sa quando Leonardo abbia appreso il gioco degli scacchi, ma sapeva sicuramente giocare già quando era a Milano. Lo si deduce dal fatto che nei Fogli di Windsor, al nr 12692r (nell’immagine) datati tra il 1484 e il 1487 c’è un suo “rebus” scacchistico la cui soluzione è “io arroccherò”. E l’arrocco “moderno” ancora non esisteva: lo spagnolo Lucena nel suo testo del 1496 o 1497 prevedeva infatti una combinazione di due mosse successive: prima si muoveva la Torre, poi alla mossa immediatamente seguente il Re la scavalcava muovendo di due caselle. Ma si trattava di due mosse e non di una sola come avviene oggi. Si può pensare che sia stato proprio Leonardo, contagiato dalla “atmosfera scacchistica” della corte, a proporre di farlo in una mossa sola e che l’idea piacque. Ovvio che una volta accettata l’idea presso la corte di Isabella, poi la diffusione in tutta Europa da parte dei “professionisti” che la frequentavano, avvenne di conseguenza.
Dopo la cacciata da Milano, Leonardo si rifugiò assieme a fra’ Luca Pacioli presso la corte di Isabella d’Este (che desiderava le facesse il ritratto), la cui corte era all’epoca il fulcro europeo degli scacchi. La marchesa di Mantova era grande appassionata: faceva venire i migliori giocatori “professionisti” dalla Spagna per giocarci e prendere lezioni e si faceva intagliare i pezzi dai Maestri Campionesi (a volte “tirando sul prezzo”, come mostrano alcune lettere pervenuteci).
Qui Leonardo trovò una “atmosfera scacchistica” molto intensa e ricca. Leonardo e Pacioli soggiornarono presso la corte di Isabella d’Este tra il 1499 e il 1503 e fra’ Luca Pacioli, quando arrivò, aveva con sé un suo testo scacchistico, “De ludo scachorum”, sul quale lavorava con l’idea di farne omaggio a Isabella. A questo testo sicuramente mise mano anche Leonardo, che non solo realizzò metà dei “diagrammi” con le varie posizioni (lo si evince dal fatto che sono disegnati con la mano sinistra e che riportano le classiche “crocette” di Leonardo), ma realizzò anche dei pezzi di nuova concezione, molto più leggeri e artistici di quelli allora in voga, e fatti per essere prodotti in serie!
Infine, anche se la cosa non è documentata, è possibile che Leonardo abbia giocato quando era a Roma da papa Leone X (Giovanni, figliodi Lorenzo de’ Medici), che era noto a tutti come appassionato di scacchi, tanto che fu mecenate di alcuni dei migliori giocatori dell’epoca. La passione per il gioco degli scacchi di Leone X fu tale da essere segnalata perfino nell’opera “Storia dei Papi” del Pastor.
(giugno 2015)