L’eroismo del popolo albanese nel difendere gli ebrei: nel Paese delle aquile non vi furono deportazioni naziste

«Non c’è traccia di discriminazione nei confronti degli ebrei in Albania, perché l’Albania è uno dei rari paesi in Europa dove i pregiudizi religiosi e l’odio non esistono, anche se gli albanesi professano tre fedi

«Non c’è traccia di discriminazione nei confronti degli ebrei in Albania, perché l’Albania è uno dei rari paesi in Europa dove i pregiudizi religiosi e l’odio non esistono, anche se gli albanesi professano tre fedi religiose diverse». Questa dichiarazione, fatta nel 1934 da Herman Bernestein, Ambasciatore Usa in Albania, racconta in poche parole il significato più profondo del Giorno della Memoria e l’eroismo, per decenni misconosciuto, del popolo albanese.

Ancora pochi sanno infatti che dopo la caduta della dittatura comunista di Enver Hoxha, che non consentiva libertà personali e ancor meno contatti con l’estero, è emerso progressivamente che l’Albania è stato l’unico paese europeo nel quale “tuttigli ebrei sono stati salvati durante le persecuzioni (si conoscono solo due casi di famiglie ebree catturate e deportate). Sulla base di documenti e testimonianze, si è scoperto che nel piccolo paese balcanico, durante l’occupazione prima italiana e poi tedesca, vivevano più di duemila ebrei, a cui se ne aggiunsero via via che crescevano le persecuzioni razziali in Europa molti altri (secondo stime recenti da 800 a 1800 persone) provenienti da Germania, Austria, Serbia, Grecia e Yugoslavia, che scappavano dai loro paesi, nella speranza di raggiungere Israele o altri posti in cui rifugiarsi.

Come è potuto succedere questo, mentre nel resto dell’Europa occupata aumentavano le deportazioni? Secondo gli storici e gli studiosi dell’Olocausto, è potuto accadere perché il popolo albanese ha una fortissima cultura basata sull’accoglienza. In particolare all’origine di questi comportamenti eroici vi è un codice morale che risale al Medioevo, chiamato Besa, che significa “parola d’onore e fedeltà”. Secondo questo codice è un dovere inderogabile difendere la vita umana di chiunque, anche a costo della propria incolumità.

Questo accadde anche durante l’occupazione nazista, quando il pericolo di ritorsioni fu molto alto, ma i cittadini e le autorità albanesi, che non consegnarono mai le liste dei cittadini ebrei residenti né agli italiani né ai tedeschi, difesero gli ebrei senza ripensamenti: nascondendoli nelle case, procurando loro documenti falsi, travestendoli da contadini e spostandoli sul territorio, permettendo loro di sfuggire alla morte certa. E ciò nonostante – o forse proprio per questo – al tempo dell’occupazione, gli albanesi erano per circa il 70 per cento musulmani e solo il 30 per cento di religione cattolica od ortodossa.

Sono tantissime le storie che potremmo raccontare. Come quella di Ali Alia, proprietario di un piccolo negozio, che per salvare un ebreo fa ubriacare il nazista che lo ha catturato, permettendo così al perseguitato di scappare. O quella di Dhorka Kobaci Kolonja che ospita Mark Menahemi nella sua casa facendolo passare per suo marito. O quella di Lime Bala (nella foto in alto), musulmana, che nel 1943 ospitò fino al dicembre 1944 tre fratelli ebrei di nome Lazar, in fuga dai nazisti. O dei fratelli Refik, Hamid (nella foto in alto, il primo a sinistra) e Xhemal Veseli (nelle stessa foto a destra), musulmani, che ospitarono per 36 mesi le famiglie di Joseph Ben Joseph e di Moshe Mandil. Intervistati nel 2009, ricordando quei giorni, Hamid e Xhemal dichiararono: «I nostri parenti erano musulmani devoti e credevano, come lo crediamo noi, che chiunque bussi alla nostra porta è una benedizione di Dio. Non prendemmo denaro dai nostri ospiti ebrei. Tutte le persone vengono da Dio. Besa esiste in ogni anima albanese». Ai fratelli Veseli e come alla signora Lime Bala, l’organizzazione Yad Vashem (vedi box in questa pagina) ha attribuito l’ambito riconoscimento di Giusto tra le nazioni.

Rivivendo queste ingiustizie e questi atti di eroismo, condivido con orgoglio la storia della mia famiglia, quella di mio nonno Asip,  commerciante di Tirana (nella foto sotto insieme a me in Albania molti anni fa…) che mi raccontò che nel 1943, dopo l’armistizio proclamato l’8 settembre, gli italiani erano ricercati e perseguitati dai tedeschi, perché ritenuti disertori o peggio ancora partigiani. Nonostante gli italiani fossero stati fino a poco tempo prima oppressivi invasori, mio nonno come molti altri, ebbe l’opportunità di salvare una vita umana e lo fece senza esitazione. Questo il suo racconto:

«In una notte d’inverno bussarono fortemente alla mia porta, davanti a me un giovanissimo soldato italiano, Antonio, che mi chiedeva di farlo entrare; era inseguito dai tedeschi e quindi in grave pericolo di vita. Non ci pensai due volte e invitai quel giovane terrorizzato a entrare nella mia casa, dove stavo cenando con i miei quattro figli. Immediatamente lo nascosi nella botola che si trovava sotto il tavolo della cucina, sicuro che anche i tedeschi avrebbero bussato alla mia porta. Infatti poco dopo arrivarono. Contando sul mio sangue freddo e sulla mia grande determinazione nel salvare quella vita, riuscii a convincerli che eravamo semplicemente una tranquilla famiglia che cenava. Negli anni ho spesso considerato che in quella situazione nessuna differenza passava tra la vita di quel ragazzo e la vita di ogni essere umano». Ogni qualvolta chiedevamo al nonno di ripeterci questa bella storia, ricordo con emozione e riconoscenza quello che leggevo nei suoi occhi: l’orgoglio per quella sua scelta, che gli ha consentito di vivere in pace con la sua coscienza di uomo giusto. Quale l’insegnamento da queste storie? Quello che ho imparato io è che l’accoglienza è un valore fondamentale e che le dittature, che tanto dolore provocano, debbono essere sempre ricordate e raccontate. Non si deve mai dimenticare, perché razzismo ed egoismo sono sempre in agguato, subdoli e multiformi, pronti a far emergere il peggio che c’è in noi.

Enkeleda Koshaj

popolo albanese

Yad Vashem, custode della Shoah

Fondata nel 1953, Yad Vashem è l’organizzazione americana che si occupa di salvaguardare la Memoria dell’Olocausto, attraverso ricerche, raccolta di documentazione, iniziative educative e commemorative. Yad Vashem è l’organizzazione che attribuisce il titolo di Giusto tra le nazioni. Sulla base di ricerche e testimonianze, in oltre 60 anni, Yad Vashem ha attribuito 25.271 titoli di Giusto tra le nazioni. Le foto e le fonti per questo articolo, non direttamente riconducibili all’autrice Enkeleda Koshaj, sono tratte dal sito www.yadvashem.org

Il significato di una ricorrenza

Il 27 gennaio, giorno in cui nel 1945 l’Armata Rossa liberò i prigionieri del campo di sterminio di Auschwitz, è stato designato dalle Nazioni Unite Giorno della Memoria. La ricorrenza, istituita per ricordare il dramma delle persecuzioni razziali durante la seconda Guerra Mondiale, è stata adottata anche in Italia: la Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Legge 20 luglio 2000, n. 211, art. 1.

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