L’Europa e il ruggito del topo: l’editoriale di Piero
È vero: una parte dell’Unione Europea (non tutta, anzi una parte minoritaria in termini di voti, ma economicamente decisiva) ci teme. Teme la nostra inaffidabilità. Qualche ragione può avercela. Non abbiamo un passato adamantino e
È vero: una parte dell’Unione Europea (non tutta, anzi una parte minoritaria in termini di voti, ma economicamente decisiva) ci teme. Teme la nostra inaffidabilità. Qualche ragione può avercela. Non abbiamo un passato adamantino e il nostro presente è un campionario di instabilità politico-istituzionale.
Nei momenti più tormentati la nostra politica si esprime attraverso le più viete rappresentazioni caricaturali: il contorsionismo lessicale in un dedalo di anglismi, tecnicismi e sigle usa e getta (forma deteriore di machiavellismo) e il ruggito del topo (sbraito, insulto, dichiaro guerra al mondo, tanto so che non la combatterò perché non ne ho né la voglia né la capacità).
Così ci vedono alcuni dei nostri soci europei.
E questo spiega in parte le difficoltà di raggiungere una intesa soddisfacente (e rapida, perché il tempo a disposizione è pochissimo) per finanziare un piano di enormi dimensioni che serva a fronteggiare la crisi sanitaria (in corso) e quella economica (in ingresso).
Come molti dei nostri lettori, anche noi abbiamo seguito e stiamo seguendo quello che avviene sullo scenario europeo in relazione ai provvedimenti anti-virus. Provvedimenti che dovrebbero essere presi comunitariamente e all’insegna della corresponsabilità.
Credo che il quadro resti tuttora confuso. E che le grida “abbiamo vinto” e “abbiamo perso” appartengano più alla convenienza propagandistica che ad un grado sufficiente di consapevolezza.
Cercando di sfuggire al fascino dell’inessenziale (il gioco delle sigle), tentiamo di individuare qualche punto fermo.
1 – L’Italia, per combattere la pandemia ed evitare il tracollo economico (due aspetti strettamente connessi) ha bisogno di ingenti risorse finanziarie. Quanto? Nessuno lo può dire con certezza. Nell’immediato sembrava che poche decine di miliardi fossero già un obiettivo stratosferico. Oggi potremmo dire 500, ma se lo dicessimo ci sarebbe sicuramente qualcuno (il ruggito del topo) che esclamerebbe: “Non basta, almeno il doppio”.
2 – L’Italia non è sola. Fa parte, anzi ne è la punta di lancia, di una vasta compagine di soci europei (e fra questi Francia, Spagna, Irlanda) che chiedono alla Unione Europea uno sforzo senza precedenti. Qualcosa hanno già ottenuto, a partire dal sostanziale accantonamento dei parametri di Maastricht, ovvero il Vangelo dei rigoristi.
3 – Qualcosa hanno ottenuto, dalla disponibilità (apparentemente incondizionata) della banca europea alla creazione di fondi per il finanziamento della cassa integrazione, a risorse (200 miliardi) della Banca europea di investimenti, all’utilizzo libero e incondizionato del cosiddetto Meccanismo europeo di stabilità (Mes) limitatamente alle spese in campo sanitario.
4 – Sono provvedimenti importanti, ma insufficienti, non solo perché il topo ruggirebbe comunque, ma perché per imponente che possa sembrare la mole di danaro da utilizzare, va considerato che sarà ripartita fra tutti gli stati che ne richiedano l’uso. E l’Italia, come si è visto, non è sola.
5 – La trattativa non è conclusa. Il compromesso raggiunto il 9 aprile deve ancora passare al vaglio dei capi di governo. Conte giura che all’odiato MES (perché poi venga odiato dai partiti – Popolo della Libertà di Berlusconi e Meloni e Lega – che erano al governo quando fu stipulato non è chiaro) non si farà mai ricorso. Vedremo. La partita è difficile.
6 – La soluzione ottimale sarebbe costituita da prestiti obbligazionari dell’Unione Europea a copertura dei debiti dei singoli paesi. Che si chiamino eurobond o coronabond o recoverybond, ha poca importanza: se passasse questa impostazione sarebbe un salto di qualità di enorme portata: sarebbe la condivisione del debito, ciò che finora è mancato e ciò che servirebbe a sottrarre i paesi inguaiati dai dolori del commissariamento.
7 – Che il “fronte del nord” sia ostile a questa soluzione non è sorprendente: non solo per eccesso di autostima di questi paesi “virtuosi”, ma anche per eccesso di disistima nei confronti di paesi (Italia inclusa) dal “debito facile”.
8 – Questa complessa e tormentata vicenda mette in luce la reale consistenza della vocazione europeista delle forze politiche. Per debole che possano apparire (e secondo noi non lo sono) l’impegno e la capacità del governo, si deve riconoscere che ci stanno provando e, finora, non hanno alzato bandiera bianca.
9 – Ma inveire contro l’Europa nemica, negando qualunque passo avanti sia stato fatto in questa trattativa a cosa può portare? Alla caduta del governo? Lo vogliono davvero Meloni e Salvini? All’uscita dall’Unione e al ritorno alla Lira? Noi siamo convinti che i primi a non volerlo, siano proprio quei partiti che oggi con il solito stucchevole linguaggio da fine del mondo parlano di Caporetto, di “alto tradimento” e non so che altro. Ma quante stupidaggini consente la libera circolazione del libero pensiero!
10 – Il punto è che i signori Salvini e Meloni una trattativa di qualunque tipo non l’hanno mai fatta. Credono che basti alzare la voce, twittare, arringare, esecrare, ma chi li ha mai visti a un tavolo a discutere seriamente di problemi seri con persone che non è facile gabbare? Fare propaganda è semplice; fare gli accordi è sempre complicato. E se l’interlocutore è di diverso avviso, due sono le possibilità: o il compromesso (Caporetto!, alto tradimento!) o la rottura, cioè fuori dall’Europa. È questo che vogliono: lo dicano espressamente.
11 – Parliamo dei sondaggi. Brevemente. Solo per renderci conto che, diversamente da ciò che si potrebbe pensare, in una situazione tanto drammatica (innanzitutto l’emergenza sanitaria) i consensi del governo, per infelice che possa apparire la sua conduzione, non calano. Al contrario. E questo avviene anche in paesi come gli Usa e la Gran Bretagna, dove Trump e Johnson, responsabili di una scriteriata politica, al cui confronto quella di Conte appare un modello di saggezza, guadagnano punti nei sondaggi. Tutta colpa del “collaborazionismo” debbono aver pensato Meloni e Salvini (non Berlusconi che pare soprattutto preoccupato dalla minaccia di una forte tassazione di “solidarietà”). E allora: “alto tradimento”, “Caporetto”, “Conte dittatore”!
12 – Il deprecato Mes nasce col governo Berlusconi e a ratificarlo in Parlamento (luglio 2012) c’era il Popolo della Libertà, di cui faceva ancora parte la pattuglia meloniana che di lì a poco avrebbe dato vita a Fratelli d’Italia. Votò invece contro la Lega, che però quando era al governo l’aveva condiviso.
13 – Insomma basta con queste pagliacciate. Si è parlato di condivisione e di collaborazione con le opposizioni. Conte non le garantisce a sufficienza? È possibile, ma da qui a parlare di dittatura ce ne corre. Dittatura è quella dell’amico Orban, che ha risolto il problema chiudendo il parlamento. Ma la signora Meloni non ne parla.
14 – Chiedere, pretendere tanto, tutto, di più. E va bene. Il paese rischia il collasso dopo aver mostrato tutte le falle delle cosiddette “eccellenze” regionali in campo sanitario. Occorrono enormi risorse finanziarie. Ma i finanziamenti che verranno, in qualunque forma e con qualunque sigla ci verranno corrisposti, non saranno regalie, non saranno prestiti a fondo perduto: a tassi convenienti, magari con modalità generose di dilazione (come i 49 milioni che la Lega restituirà in 81 anni), con conversioni del debito o con escamotages di bilancio che potranno essere studiate, o con riduzioni o sconti; ma alla fine il nostro ameno paese, che ha già un debito pubblico di circa 2.500 miliardi, dovrà provvedere a quella spiacevole operazione che si chiama restituzione. Ci deve essere molto ottimismo nella capacità di ripresa del nostro sistema in chi ad ogni cifra che sente ventilare scuote la testa e dice: “il doppio”.