L’Europa non è morta e non deve morire

La triste Europa dei separatismi

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La triste Europa dei separatismi…

L’Europa ha molti nemici: pochi quelli dichiarati, molti quelli dissimulati. Ma ha anche moltissimi amici, probabilmente in numero assai superiore ai nemici, anche se l’amicizia è, nella maggior parte dei casi, masticata con amarezza, rancore e delusione. Sapremo fra pochi giorni, il 27 maggio, quando la conta delle schede sarà ultimata in tutta Europa, se l’amicizia ha ancora ragion d’essere o se dovremo rassegnarci a rinunciare definitivamente, non tanto a questa Europa, sulla quale si sprecano fondatissimi giudizi di insoddisfazione e richieste di cambiamento, quanto all’idea stessa di Europa: un continente che diventa nazione, con un governo politicamente autorevole (e necessariamente sovranazionale), un unico regime fiscale, una visione unitaria in politica estera, regole bancarie unidisciplinate, un unico codice dei diritti e dei doveri, un’assoluta mutualità nel fronteggiare le emergenze, la libera mobilità che incoraggi soprattutto i giovani a considerare inessenziali le frontiere, un’armonizzazione almeno tendenziale di sistemi scolastici e di processi di avviamento al lavoro. Credere in queste cose è credere nel futuro e lavorare per i nostri figli.

 

Il sovranismo dei poveretti
Ma siamo realisti. Questa non solo non è l’Europa di oggi, ma, comunque vadano queste elezioni, non sarà neppure l’Europa del futuro prossimo.
Sappiamo che è un obiettivo né facile né vicino. Ne siamo troppo distanti. Epperò è l’Europa che deve diventare, quella per cui bisogna impegnarsi e per cui vale la pena di faticare e di investire. E non solo per amore dei tanto conclamati (e assai poco vissuti) valori giudaico-cristiani, ma per la necessità di sopravvivere al confronto con i giganti dell’economia (a est come a ovest), che se ne strabattono dei valori identitari delle piccole realtà nazionali, delle nostre bandierine e dei sovranismi di nicchia, e con i quali si può competere solo sommando e fondendo le molte risorse di cui dispone il vecchio continente, che singolarmente prese e gloriosamente ostentate, rischiano solo di essere stritolate. Non reggono l’urto, per quanto possano essere apprezzabili per qualità, per talento e per inventività.

 

Autonomie regionali: come?
Che questa Europa debba cambiare, lo vogliamo tutti. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo. Ma cambiamento non significa, per noi, regressione al nazionalismo vecchia maniera, che è poi quello che, in salsa ungherese o lepenista o salviniana (o in quella dei tedeschi di Alternativa per la Germania), ci viene riproposto ad ogni tornata elettorale e che sarà certamente e robustamente presente nelle urne del 26 maggio. Spira tuttora un vento che non è il vento degli euroscettici (locuzione di estrema ipocrisia), ma degli euronegazionisti, tanto poco amici dell’Europa, di qualsiasi idea di Europa-stato, da lavorare per regionalizzare all’interno degli stati attuali i sistemi scolastici, sanitari e fiscali. Perché questo è, in buona sostanza, al di là delle rassicurazioni di maniera, il vero obiettivo di quelli che predicano le cosiddette “autonomie regionali”. Lavorare, nel 2019, per regionalizzare scuola e sanità, è compatibile con l’idea di Europa sovranazionale? Evidentemente no. Di questo si tratta e di questo dobbiamo farci carico quando pensiamo, votando il 26 maggio, all’Europa, diversa e migliore, che vogliamo costruire.

 

C’è un’Europa che reagisce
Ma non lasciamoci prendere dallo sconforto. La buriana sovranista fa chiasso, fragore, ma è meno forte di quello che vuol far credere. Vogliamo dare un’occhiata a quello che è avvenuto nelle ultime settimane in Europa, in termini di espressione di voto? Facciamolo, non per fornirci di motivi autoconsolatorii, ma perché la conoscenza è sempre meglio della propaganda.

  • In Spagna, elezioni politiche anticipate e netta vittoria del partito socialista. Ma soprattutto ridimensionamento delle aspirazioni antieuropeistiche, agitate dal movimento di estrema destra Vox. Questo movimento, che i sondaggi (accidenti a loro!) davano vicino al 20%, si è accontentato del 10. Che è sempre tanto per un partito xenofobo, ma che è ben distante dal costituire una minaccia (almeno per ora) alla vocazione europeistica degli spagnoli.
  • In Estonia ha vinto il Partito riformatore, liberale e di centrodestra, convintamente europeista, in opposizione all’Ekre, partito “euroscettico”, che avanza parecchio, ma non sfonda.
  • In Finlandia, tornano al primo posto i socialisti. Balzo in avanti anche dei “Veri finlandesi” (definiti “amici di Salvini”), che raccattano tutti i voti antieuropeistici. Sarà un problema per i finlandesi formare un governo, ma il 17,4 %, trasferito da Helsinki al Parlamento di Strasburgo, è tutto quanto la destra finnica antieuropea può mettere in campo.
  • Anche in Slovacchia, vittoria degli europeisti. Al ballottaggio la liberal Zazuna Caputova vince con oltre il 58% dei voti. Molto distanziate, e frammentate, le formazioni antieuropeistiche.
  • Non privo di significato anche il successo del candidato di centrosinistra (Stevo Pendarovski, convinto europeista), nelle prime elezioni in Macedonia del Nord.

 

Avere sempre un nemico
Tutto qui. Nulla di sensazionale e di definitivo, ma la consapevolezza che, quando vanno bene, i nemici dell’Europa arrivano al massimo al 20%. Una percentuale inquietante, ma molto al di sotto di quanto il frastuono che sollevano potrebbe far temere. In Italia, quasi certamente la Lega andrà al di sopra di quella soglia, passerà probabilmente il 30%. E poi? Salvini fa credere ad una opinione pubblica scientificamente disinformata ed educata al culto delle fobie (gli immigrati, i rom, i centri sociali, gli stupratori nigeriani, l’Europa delle banche, Soros, gli euroburocrati di Bruxelles, le ong e in generale tutte le associazioni di volontariato: che bello avere sempre qualche nemico da odiare!), fa credere, dicevamo, che dopo il 26 maggio tutto cambierà, che l’Europa sarà completamente diversa.

 

Patacche e sesterzi
Europa diversa? Salvini deve solo sperare che i suoi amici Orban (il paradespota ungherese) e Kurz (il cancelliere austriaco) non prendano le leve del comando, perché nessuno più di loro è ferocemente ostile (altro che Juncker!) alla “flessibilità”, alla politica “irresponsabile” del debito, come quella attuata in Italia (Kurz lo ha detto esplicitamente, non sotto metafora) e che Salvini vorrebbe moltiplicare, lanciando l’abominevole flat tax (quanto di più iniquo si possa concepire sul terreno fiscale), senza avere neppure i soldi per evitare l’aumento dell’Iva. Pensiamoci, noi poveri italiani, sia quelli convinti che la politica del debito si possa protrarre all’infinito, sia quelli non ancora sedotti dal verbo salviniano. Dopo il 26 maggio, comunque vada, sarà ancora più difficile spacciare patacche per sesterzi.

Piero Pantucci
(Maggio 2019)

Giornalista dello scorso millennio, appassionato di politica, cronaca locale e libri, rincorre l’attualità nella titanica impresa di darle un senso e farla conoscere, convinto che senza informazione non c’è democrazia, consapevole che, comunque, il senso alla vita sta quasi tutto nella continua rincorsa. Nonostante questo è il direttore “responsabile”.

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