L’Osteria della Conca Fallata, da oltre un secolo sulla sponda del Naviglio Pavese

«Andare in pensione? Non ci penso proprio, se sto a casa divento vecchia. Certo la cucina è impegnativa, ma mi diverto e sto in mezzo alla gente, anche tanti giovani». Mamma Francesca, 72 anni, è

«Andare in pensione? Non ci penso proprio, se sto a casa divento vecchia. Certo la cucina è impegnativa, ma mi diverto e sto in mezzo alla gente, anche tanti giovani». Mamma Francesca, 72 anni, è già ai fornelli. Oggi “Busecca”, un classico della tradizione gastronomica lombarda e in particolare in quella milanese, «La trippa più cuoce a fuoco basso e con un coperchio, e più prende sapore, mi ha insegnato mia suocera Nunzia» (nella foto la famiglia al completo, avanti all’Osteria: in primo piano mamma Francesca con il padre Giuseppe. Dietro, da destra, il figlio Andrea con la sorella Chiara, la moglie Simona, e l’altra sorella Silvia). Le Cartellate al vin cotto di fichi, ancora calde, sono già sul carrello dei dolci. «Sono un tipico dolce della tradizione culinaria pugliese. Preparate soprattutto a Natale. Deve assolutamente provarle. Sottili, friabili e croccanti».

Siamo, quasi ai confini della città di Milano, tra lo strano contrasto delle torri bianche del Gratosoglio e delle casupole lungo il Naviglio Pavese. Fra le 35 botteghe storiche (quelle che “resistono” da più di 50 anni, che resistono e si innovano rappresentando la tradizione e la memoria) premiate dal sindaco di Milano Beppe Sala, con una cerimonia a Palazzo Marino, c’è anche L’Osteria della Conca Fallata in via della Chiesa Rossa al 113.

Il signor Giuseppe Mascoli con la figlia Chiara, ai lati il sindaco Beppe Sala e l’assessora al Commercio Alessia Cappello.

Rilevata nel 1969 da Giuseppe e Francesca Mascoli, pugliesi doc, milanesi di adozione. Soffitto a volta e storiche travi a vista, la sala principale con un camino riprende il fascino di quei luoghi ormai scomparsi. Appese alle pareti le foto della gara ciclistica Milano-Sanremo che partì proprio da qui il 14 aprile 1907, alle 4.30 del mattino, sotto una pioggia a dirotto e raffiche di vento gelido sulla testa dei 45 temerari che mossero le loro biciclette dall’Osteria della “Conca Fallata”. Ma c’è anche la foto di Cochi e Renato in bicicletta. «Venivano qui a mangiare da giovani, quando non erano ancora famosi», racconta la signora Francesca.

«Nell’era del mangiare veloce e del cibo “trattato e trasformato”, vogliamo riportare tutti alla cucina della tradizione, al mettersi a tavola come un luogo per il piacere di fermarsi, dello stare insieme, dalle cose semplici e sincere», ci racconta Andrea Mascoli, classe 1975, sposato con Simona, che gestisce l’Osteria dopo aver raccolto il testimone dal padre, succeduto al nonno, e rappresenta oggi la terza generazione (diploma all’alberghiero Amerigo Vespucci, ha fatto la gavetta nei cinque stelle Savini e Biffi Scala).

In menù, i grandi classici della cucina pugliese come le orecchiette fatte a mano, proposte con le cime di rapa di Fasano insaporite da aglio e acciuga di Cetara stemperata nell’olio di olive, e un sospiro di peperoncino. O la purea di fave abbinata all’amarognolo della cicoria esaltata dall’olio crudo di oliva 100% Coratina.

Parlano pugliese anche i formaggi, dalla Burrata alle treccine di Andria, e il pane di Altamura. «Le cime di rapa sono ortaggi invernali, le migliori – ricche di infiorescenze – si trovano fra dicembre e febbraio. Quelle che si trovano fuori stagione sono importate, coltivate in serra o conservate in frigo: in ogni caso non sono più al top della fragranza e del sapore. Meglio evitarle», suggerisce la signora Francesca. Risotto al salto con zafferano e la mitica cassoeula con verze e maiale, e molte altre specialità milanesi a rotazione, in alcuni giorni prestabiliti della settimana.

«I miei nonni prima dell’Osteria gestivano un bar tabacchi alla Bovisa», continua Andrea. «Quando vide il locale, mio nonno se ne innamorò: “da qui non me ne vado”, e così e stato. Nonostante lo scetticismo dei milanesi. Pensavano: ma cosa ci fanno qui questi terroni? Nel ‘98 i miei genitori subentrano nella gestione del ristorante di famiglia e comprano anche i muri. Ancora adesso viviamo proprio sopra l’Osteria. Questa è una casa della vecchia Milano, ha più di 200 anni e l’osteria c’è sempre stata… per dirla con Giorgio Gaber, era un trani».

Nella Milano che fu, il ‘Trani’ era l‘osteria, la cantina, il ritrovo popolare per eccellenza. Il nome deriva proprio dalla cittadina pugliese da cui arrivava il vino rosso sfuso. I pugliesi che arrivavano a Milano aprivano locali alla buona, in cui cantare e giocare a carte, bevendo il vino delle campagne pugliesi e mangiando piatti casalinghi. E da lì passare al più veloce “vado al trani” è stato naturale. Oggi i trani sono scomparsi, ma la matrice pugliese è più che viva. La prima associazione pugliese di Milano nasce infatti nel 1921 e già nel 1930 si contavano in città più di 45mila emigrati. Oggi i pugliesi sono la più grande comunità regionale della metropoli lombarda. E hanno poi insegnato ai milanesi a mangiare le orecchiette.

Il primo ricordo della sua Osteria?

«Sono cresciuto qui, scuola elementare alla San Giacomo e quando tornavo a casa facevo i caffè durante la pausa pranzo. Ricordo che venivano persino da Lodi in motorino per mangiare i maccheroni al salto. La zona è cambiata molto, una volta qui c’era la cartiera Binda (ha cessato definitivamente la produzione nel 1998 –NdR) e da noi venivano a mangiare tanti operai. Adesso la zona è più residenziale, e onestamente anche più bella. Il corpo della ex fabbrica è stata riconvertita nei primi anni del 2000 in circa 420 nuovi alloggi, un asilo nido e un parco ciclo pedonale».

A chiudere ci ha mai pensato? Prima il Covid, poi l’aumento delle materie prime, ora le bollette, molti ristoratori sono costretti a chiudere.

«No, no (risposa secca, sicura). Nemmeno adesso con le bollette impazzite. Rispetto a un anno fa le bollette di luce e gas si sono quadruplicate: il gas è passato da 23 centesimi a 2,58 euro. La soluzione non può essere nemmeno aumentare il prezzo del menù ai clienti. Senza un intervento, però, in tantissimi si arrenderanno».

Andrea, con cosa annaffiamo la “Busecca”?

«Una Bonarda vivace va bene, un vino rosso frizzante piacevole, fruttato, meglio ancora un Inferno della Valtellina. Un inferno da coltivare, per l’asperità e la ripida pendenza dei vigneti, e all’alta temperatura estiva, causata dal riverbero del sole sulle rocce, ma veramente paradisiaco da assaporare».

Aprile 1947, partenza della prima Milano – Sanremo alla Conca Fallata.

Si occupa della sezione Cultura e Società per donneinsalute.it; da free lance ha collaborato con le maggiori riviste femminili (Anna, Donna Moderna, La Repubblica delle donne, Glamour, Club 3). È stata redattore del mensile Vitality di Psychologies magazine e Cosmopolitan, occupandosi di attualità, cultura, psicologia. Ha pubblicato le raccolte di poesie “Come un taglio nel paesaggio” (Genesi editore, 2014) “Sia pure il tempo di un istante” (Neos edizioni, 2010).

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