Maratown, 42 km in 24 ore per conoscere l’anima di Milano
È possibile parlare di Milano cambiando prospettiva, sperimentando punti di vista inediti e provando a guardarla con delle lenti che ne depotenzino gli stereotipi? Gli organizzatori della prima Maratown (lo scrittore Gianni Biondillo, il trekkinista
È possibile parlare di Milano cambiando prospettiva, sperimentando punti di vista inediti e provando a guardarla con delle lenti che ne depotenzino gli stereotipi? Gli organizzatori della prima Maratown (lo scrittore Gianni Biondillo, il trekkinista Gianluca Migliavacca e il fotografo Max Franceschini per Sentieri Metropolitani e il giornalista Gianmarco Bachi di Radio Popolare per Piacere Milano) ne sono più che convinti e infatti hanno dato vita a uno straordinario evento che ha coinvolto centinaia di persone in giro per la città, per ben 42 chilometri in 24 ore.
Un viaggio sentimentale e una scommessa podistica intorno alla città, un tentativo di riportare la marginalità delle periferie milanesi al centro dell’attenzione, una contronarrazione che ha cercato di ridare significato a quartieri, strade, edifici e simboli di una Milano che vuole parlare di periferia con parole nuove. Di questi luoghi se n’è raccontato il passato, si è toccato con mano il presente e in qualche modo si è immaginato il futuro. Percorrendo l’enorme anello che abbraccia la città, da Niguarda al Monte Stella passando per l’Ortica, Lambrate, Cascina Monluè (dove per un paio di ore si è dormito nella vecchia stalla), il Corvetto e la Barona, i maratoneti hanno preso parte ad un itinerario di consapevolezza urbana e sociale che potrà essere annoverato tra le cosiddette “buone pratiche” socioculturali che migliorano la qualità della vita e aumentano il senso di appartenenza e di cura dei luoghi.
In questo percorso abbiamo visto intreccarsi a doppio filo la Storia con le storie che costellano la quotidianità dei luoghi della periferia, come ad esempio il quartiere Niguarda (tappa di partenza della maratona) che reca ancora impressi nella memoria collettiva i giorni della Resistenza e che oggi resiste alla frammentazione sociale grazie anche al lavoro del Teatro della Cooperativa e al ruolo della cooperativa Abitare. Emblematica è pure la storia della scuola che sorge all’interno del parco Trotter che negli anni Venti ospitava i bambini malati di tubercolosi ed è via via diventata un laboratorio di sperimentazione pedagogica e oggi con una forte presenza di studenti stranieri è il luogo in cui crescono i cittadini della Milano di domani. Preponderante per Maratown è stato il ruolo dei libri come strumento di conoscenza di sé e dell’altro.
Due tappe sono state dedicate alle biblioteche di quartiere: quella di via Oglio, punto di riferimento culturale per gli abitanti del quartiere Corvetto con con una grande sezione dedicata a ragazzi e bambini, e quella di Chiesa Rossa in cui Gianni Biondillo ha presentato il suo nuovo libro accompagnato dalle musiche di Alessio Lega, pugliese che canta anche in dialetto milanese. L’atmosfera che si è venuta a creare è stata quella della condivisione spontanea di storie, racconti, aneddoti e ricordi legati ai luoghi, ha preso forma una sorta di topografia del vissuto di ogni partecipante, una narrazione collettiva che fa sì che l’immagine delle periferie che ne scaturisce sia sempre diversa, plurale e a più voci. Interessante, anche da un punto di vista simbolico, è stato percorrere la via dell’Assunta che segna il limite tra la città e l’estrema periferia sud costituita perlopiù dal Parco Agricolo Sud, da un lato palazzi dall’altro campi. Come tutte le vie di “frontiera” anche questa è segnata dal degrado e dall’abbandono, zona franca per lo svolgimento di attività che proliferano laddove il disinteresse la fa da padrone.
A proposito di simboli del confine città-campagna, resiste, nonostante la mano mozzata, il cosiddetto Cristun de cement di via Dionigi di cui la simpatica leggenda narra che le tre dita benedicenti fossero interpretate come monito per i contadini che intendevano lasciare la campagna, dove i canoni di affitto erano annuali, per la città dove invece erano trimestrali; questa opposizione città-campagna oggi può apparire datata invece potrebbe rivelarsi utile al fine di capire quali sono le antinomie del presente. Così come lo scorcio bucolico del borgo del Castellazzo, tra il Vigentino e Ripamonti, con resti, un ponticello sul cavo Ticinello e una foresteria di un convento ora ristorante, e storie che risalgono al Quattrocento. Accanto case, campi e una tettoia in eternit che non si riesce a far togliere. Di queste antinomie il quartiere Sant’Ambrogio può essere un visto come esemplificativo poiché agli inizi degli anni Sessanta venne concepito dall’architetto Arrighetti come un quartiere autosufficiente e in un certo senso introverso, con all’interno tutti i servizi necessari. Una piccola città nella città insomma. Uno di quegli esperimenti che in Italia ha molti omologhi che però non hanno avuto la stessa fortuna di quello milanese, basti pensare a Corviale a Roma, le Vele di Scampia e Librino a Catania, esperienze di edilizia sociale che non sono riuscite a realizzare appieno gli intenti originari. Tuttavia anche il quartiere Sant’Ambrogio oggi non gode di ottima salute come nel passato e infatti c’è in programma un progetto di riqualificazione in particolar modo con l’incremento degli alloggi sociali.
La forza di questa prima edizione di Maratown è stata quella di essere riuscita a mettere insieme e a far dialogare le diverse realtà periferiche della città ognuna delle quali è portatrice di istanze diverse ma che messe una accanto all’altra contribuiscono a formare una visione altra della città: inclusiva, partecipativa, moderna ma che non dimentica le importanti tracce del proprio passato, fatta di persone che danno valore ai luoghi che vivono.
Salvatore Costantino
Foto di Max Franceschini
(Novembre 2015)