Milano ricorda Arpad Weisz, campione di Inter e Bologna
IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DELLA MEMORIA RIPUBBLICHIAMO QUESTO ARTICOLO DEL FEBBRAIO 2017.Nel ricco calendario “Milano è Memoria” ha trovato spazio un doppio, anzi triplo appuntamento con Arpad Weisz, campione magiaro di origine ebraica, prima calciatore e
IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DELLA MEMORIA RIPUBBLICHIAMO QUESTO ARTICOLO DEL FEBBRAIO 2017.
Nel ricco calendario “Milano è Memoria” ha trovato spazio un doppio, anzi triplo appuntamento con Arpad Weisz, campione magiaro di origine ebraica, prima calciatore e poi allenatore, vincitore di scudetti e coppe, morto con la famiglia ad Auschwitz nel 1944 .
Uno dopo l’altro, dal 24 al 26 gennaio, la proiezione di un documentario, un torneo di calcio e un convegno con esposizione di un libro – hanno celebrato di questo campione. Minimo comune denominatore dei tre appuntamenti, l’esigenza di mantenere viva la memoria dell’Olocausto, a maggior ragione ora che i testimoni sono sempre meno e che le nuove generazioni si allontanano sempre più da quei tragici eventi. Con l’intuizione di farlo però attraverso la storia di un personaggio come Arpad Weisz, immigrato in Italia per fare il calciatore, assolutamente integrato, ebreo non praticante e con i due figli battezzati, con l’unica “colpa” di essere di “razza ebraica”. Una storia tremenda e paradigmatica che, sfruttando la popolarità del calcio, può arrivare alle coscienze di tutti, evidenziando ancora una volta l’assurda inumanità delle persecuzioni razziali. D’altronde basta un semplice collegamento tra la storia di Weisz e, per esempio, i recenti provvedimenti del presidente Trump o gli odiosi cori dei nostri stadi, per comprendere che intolleranza e razzismo siano mostri sempre protagonisti dei nostri tempi. Il primo degli eventi in ricordo di Weisz, organizzato da Daniele Nahum (nella foto in alto a destra, accanto Beppe Bergomi, Michele Sarfatti e Billy Costacurta), presidente dell’associazione #MilanoMia e già vicepresidente della Comunità Ebraica, si è svolto al Teatro Dal Verme il 24 gennaio.
L’occasione è stata la proiezione del bellissimo documentario sul campione magiaro, realizzato da Federico Buffa per Sky Sport, partendo dal libro di Matteo Marani “Dallo scudetto ad Auschwitz. Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo”, pubblicato nel 2007 e che ha contribuito a riportare alla luce la storia di Arpad. Documentario che Sky Sport al termine dell’incontro ha donato al Comune di Milano e alla Comunità ebraica, perché li portassero nelle scuole milanesi. La discussione che è seguita alla proiezione ha visto gli interventi di due “bandiere” di Inter e Milan, Beppe Bergomi e Billy Costacurta. Presente all’incontro, tra gli altri, anche il professor Michele Sarfatti, che ha illustrato come – a seguito delle leggi razziali del 1938 – furono tantissimi gli italiani di origine ebrica, costretti a lasciare tutte le attività pubbliche, nello sport, nel giornalismo, nell’insegnamento e negli enti pubblici legati allo Stato fascista. E come di tutte queste persone, proprio come Weisz, se ne fossero perse le tracce. Il professor Sarfatti ha chiuso il proprio intervento, esortando le società sportive e gli enti pubblici a cercare nei propri archivi, per ricostruire le storie di chi, oltre alla persecuzione ha subito l’oblio. Richiesta raccolta subito dalla consigliera comunale presidente della Commissione Pari opportunità e Diritti civili Diana De Marchi, che due giorni dopo ha presentato In Consiglio comunale un ordine del giorno urgente, votato all’unanimità, che impegna il Comune a cercare nei propri archivi traccia di dipendenti e consulenti di Palazzo Marino, allontanati a causa delle leggi razziali e, con l’aiuto del Cedec (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), scoprire chi di loro fu deportato. I risultati di questo lavoro saranno resi noti il 27 gennaio dell’anno prossimo.
Il secondo appuntamento si è svolto il 26 gennaio all’Arena civica. Qui si è giocata la quarta edizione del Trofeo Arpad Weisz, patrocinato dai comuni di Milano e Bologna, e organizzato da “W il Calcio – Milano. «Siamo una nuova associazione – ha spiegato Daniele De Luca, uno dei fondatori di W il Calcio – Milano –. Il nostro obiettivo è utilizzare lo sport più bello del mondo per veicolare valori importanti, come l’integrazione e la democrazia. Siamo preoccupati dal riemergere di pericolose tendenze xenofobe, che spesso trovano terreno fertile negli stadi e nella sottocultura del disagio giovanile. E il calcio, giocato con lo spirito giusto – ha concluso De Luca – può fare moltissimo per il progresso sociale».
Sul campo dell’Arena si sono affrontate le rappresentative giovanili di Inter, Milan e Bologna. A seguire, la formazione composta dai rappresentanti del Consiglio comunale di Milano, Radio Popolare e della Camera del Lavoro di Milano e di Bologna (nella foto a sinistra) ha sfidato i Black Panthers, squadra formata dai richiedenti asilo della caserma Montello. Per la cronaca il trofeo è stato vinto dagli under 14 del Milan, che hanno sconfitto l’Inter 3 a 2 ai rigori, mentre le Black Panthers hanno stracciato i loro avversari 5-0. «Ringraziamo l’assessora allo Sport Roberta Guaineri per la sua partecipazione. La presenza del Comune è stata fondamentale anche per ribadire la nostra proposta: chiediamo una pietra di inciampo fuori da San Siro, in ricordo di Weisz», hanno fatto sapere attraverso la pagina Facebook di W il Calcio – Milano. Ultimo appuntamento, la sera del 26, in Sala Appiani, sempre all’Arena civica, dove Matteo Marani ha raccontato il libro su Weisz “Dallo scudetto ad Auschwitz”. Per tutta la giornata è stata esposta una copia originale de “Il giuoco del calcio” del 1930, scritto da Arpad Weisz e Aldo Molinari, dirigente dell’Ambrosiana, prefazione di Vittorio Pozzo. Un vero manuale, con tattiche – viene spiegato il famoso schema WM –, metodi di allenamento e suggerimenti di carattere piscologico per la gestione della squadra. Un compendio prezioso, caduto nell’oblio e ora, come il suo autore, tornato finalmente alla ribalta.
Dallo scudetto al campo di concentramento
La svolta cruciale per Arpad Weisz è il 7 settembre 1938, quando in Gazzetta Ufficiale viene pubblicato il decreto 1381, che vieta alle persone di razza ebraica straniere giunte in Italia dopo il 1919 di restare nel nostro Paese. Prima di quel fatidico settembre, Weisz era stato un’ala sinistra di livello, nazionale ungherese, in Italia aveva giocato nel Padova, nell’Alessandria e nell’Inter. Ma il grande successo lo raggiunge da allenatore. Dopo l’Alessandria, a soli 34 anni vince uno scudetto con l’Ambrosiana Inter (1929-30). Dopo una parentesi al Bari, ancora all’Inter e poi al Novara, approda al Bologna. Qui è l’artefice de “Lo squadrone che tremare il mondo fa”, vince due scudetti (1935-36 e 1936-37), e nel 1937, a Parigi, il Trofeo dell’Esposizione Universale (la Champions League dell’epoca) battendo i maestri del Chelsea 4-1. Nella stagione 1938-39 lascia il Bologna dopo cinque giornate (la squadra felsinea vincerà ancora lo scudetto), e nel mese di ottobre, fugge in treno a Parigi, con la moglie e i due figli. Dopo tre mesi nella capitale francese accetta di allenare il Dordrecht, squadra di seconda divisione olandese. Nei Paesi Bassi si toglierà diverse soddisfazioni, raggiungendo una insperata salvezza e battendo, con una formazione semidilettantistica, squadre titolate come il Feynoord e l’Ajax. Ma anche qui la situazione precipita. Nel 1940 la Germania Nazista invade l’Olanda, a Weisz viene impedito di lavorare. Nell’agosto ’42, le SS costringono l’intera famiglia a trasferirsi a Westerbork, nella zona nord dell’Olanda (lo stesso campo di smistamento in cui arriverà due anni dopo Anna Frank). Da qui moglie e figli saranno subito traferiti ad Auschwitz, dove a novembre troveranno la morte nelle camere a gas. Arpad Weisz viene dirottato a Cosel, campo di lavoro dell’Alta Slesia. Poi anche lui ad Auschwitz. Qui, dopo 16 mesi, la mattina del 31 gennaio 1944, lo troveranno morto di stenti e disperazione.
Quando la storia non insegna niente
Historia magistra vitae, diceva Cicerone. Evidentemente, però, non lo è per tutti. Dopo il caso dell’assessora alla Cultura Rosa Di Vaia del Municipio 5, che su Facebook inneggiava al Duce, attribuendogli poteri taumaturgici, è ora la volta del presidente del Municipio 4, Paolo Bassi, leghista, che per celebrare il Giorno del Ricordo, ha pensato di patrocinare una manifestazione alla Palazzina Liberty, con relatori vicini all’ultra destra. Tra questi anche un cantante di rock identitario, che di solito si esibisce in raduni organizzati da formazioni dichiaratamente fasciste. Ignoranza o gusto per la provocazione? Non lo sappiamo, di certo inadeguatezza per il ruolo ricoperto. Consigliamo la lettura della Costituzione.