“Come muoiono le democrazie” per capire cosa ci sta succedendo (e come provare a evitarlo)
Due studiosi di Harvard analizzano il passaggio dalle forme democratiche a quelle autoritarie nei governi succedutisi nel mondo nell’ultimo secolo. E forniscono ai lettori una chiave per interpretare quanto accade, e capire se si è
Due studiosi di Harvard analizzano il passaggio dalle forme democratiche a quelle autoritarie nei governi succedutisi nel mondo nell’ultimo secolo. E forniscono ai lettori una chiave per interpretare quanto accade, e capire se si è di fronte a una deriva autoritaria
Cosa hanno in comune e in cosa differiscono le gesta di leader come Orban, Erdogan, Putin, Peron, Fujimori, Castro, Chavez, Maduro, Trump, i nostri Mussolini, Berlusconi e Salvini? Sono un pericolo per la democrazia come l’abbiamo finora conosciuta? E soprattutto, nel caso lo fossero, come si riconoscono e combattono? Sono questi i temi che Steven Levitsky e Daniel Ziblatt, professori di Harvard, affrontano nel loro libro “Come muoiono le democrazie”. Poco più di 300 pagine in cui i due docenti di Scienza del Governo analizzano con acume critico e grande conoscenza storica il passaggio dalle forme democratiche a quelle autoritarie nei governi succedutisi nel mondo nell’ultimo secolo e, in perfetto stile anglosassone, con un linguaggio chiaro e diretto, forniscono ai lettori una “Cassetta degli attrezzi” per interpretare quanto accade e capire se si è di fronte a una deriva autoritaria. La tesi di Levitsky e Ziblatt, suffragata da decine di esempi che vanno dall’avvento del fascismo in Italia, passando per le dittature sudamericane fino all’America di Trump, è che il passaggio dalla democrazia ai regimi autoritari avviene sempre più in modo graduale. Basta attacchi militari alle sedi del governo o carri armati per strada, ora i pericoli per la democrazia sono i leader autoritari che, dopo aver vinto le elezioni, forzano e corrompono le regole democratiche.
Steven Levitsky e Daniel Ziblatt al Center for European Studies at Harvard University. Foto di Stephanie Mitchell
I due docenti americani propongono uno schema di valutazione attraverso il quale verificare il tasso di autoritarismo di un governo. Il primo indicatore è il grado di delegittimazione dell’avversario politico. Se viene indicato come nemico e traditore del popolo, non riconoscendogli la buona fede nelle proposte politiche avanzate, siamo di fronte a un leader potenzialmente autoritario. Stesso discorso se il capo del governo mette in atto, giustifica o tollera atteggiamenti violenti, contro categorie di persone o istituzioni. Il terzo indicatore è il rispetto delle regole e delle consuetudini democratiche e se queste sono violate o forzate al proprio interesse di parte. Un leader autoritario appena al potere si scaglia contro la divisione dei poteri, fa di tutto per contrastare e occupare gli organi di controllo e i corpi intermedi, che garantiscono il funzionamento di uno stato democratico. Stampa e magistratura, forze dell’ordine ed esercito, sistema bancario e sindacati, parlamento e corti costituzionali sono minacciati o blanditi. Il tutto in nome di un mandato del “popolo”, che si pretende di rappresentare in toto. La quarta verifica del tasso di autoritarismo di un leader riguarda il grado di sostegno a leggi e politiche che limitano le libertà civili e minacciano chi, nelle società o nei mezzi di informazione, contesta l’azione del governo. Se tutti i quattro indicatori segnalano un grado alto di autoritarismo, il sistema democratico è agonizzante e il rischio di dittatura è molto alto. Con il loro approccio da storici e scienziati politici, i due studiosi americani provano a indicare le azioni di contrasto per evitare che una democrazia faccia la fine della rana di Chomsky, che senza accorgersene finì bollita. Gli anticorpi principali devono crescere attraverso un’opposizione decisa a ogni forma di azione antidemocratica. In questa battaglia il ruolo più importante lo devono svolgere partiti e movimenti che per ideologia sono affini al leader autoritario. Sono loro che devono isolarlo e combatterlo, anche a costo di allearsi con partiti che, prima dell’emergenza democratica, erano considerati avversari. A questo proposito Levitsky e Ziblatt fanno diversi esempi di situazioni realmente avvenute, in cui leader autoritari, con programmi riconducibili alla destra o alla sinistra, sono stati combattuti e sconfitti dall’azione decisa di politici i cui programmi contenevano alcuni punti in comune, ma che all’interesse di parte hanno anteposto le regole democratiche. Allo stesso tempo il libro è pieno di esempi di partiti a vocazione democratica che, convinti di poter controllare il leader populista, vi si sono alleati, conducendo se stessi e il proprio paese alla rovina. Visti i tempi, un libro fortemente consigliato.
Stefano Ferri
(Luglio 2019)
Steven Levitsky e Daniel Ziblatt
Come muoiono le democrazie (How democracies die)
Editori Laterza;
pag. 328
20 euro