Neofascismi intollerabili

Parto da un episodio, a metà fra la cronaca giudiziaria e il fatto di costume, apparentemente secondario e destinato ai margini degli interessi generali, per una riflessione sul 70º della Liberazione e i neofascismi intollerabili

PartigianiParto da un episodio, a metà fra la cronaca giudiziaria e il fatto di costume, apparentemente secondario e destinato ai margini degli interessi generali, per una riflessione sul 70º della Liberazione e i neofascismi intollerabili di questi tempi. Un tribunale ha assolto alcuni tifosi del Verona che, durante una partita della loro squadra a Livorno, contro la squadra locale, avevano risposto alla tifoseria opposta (in fama di “comunista”) esibendosi in saluti romani: cioè la più classica e ostentata manifestazione di un credo fascista.

Non si conoscono ancora le motivazioni dell’assoluzione, ma è verosimile che aderiscano alle tesi della difesa, ovvero che “si confrontavano due tifoserie che sono ideologicamente avverse, dunque nessuno dell’altra fazione avrebbe potuto aderire a dettami fascisti”. Che è un ben bizzarro ragionare, se si pensa che il saluto fascista è apologia di reato in qualunque contesto lo si esibisca: in uno stadio, come in una piazza in cui sta concionando Salvini, di fronte a una gigantografia di Mussolini che si rivolge all’oratore con un perentorio “Salvini, ti aspettavo”.

Sul significato politico del saluto romano credo ci sia poco da discutere. Si può pensare che occorra essere benevoli verso delle zucche vuote e, se la legge lo consente, depenalizzare la sanzione, derubricando l’ostentazione da apologia di fascismo a quella di grulleria paragoliardica. Ma non ne sarei tanto sicuro. Nel calcio l’insinuarsi di logiche violente che rimandano a scontri politici di più vasto significato è sempre più frequente. Anni fa fece scalpore la vicenda del giocatore laziale Paolo di Canio, protagonista di ripetuti e grintosi saluti romani, rivolti alla curva dei propri tifosi (quindi una manifestazione identitaria, non contestativa). Il giocatore subì vari richiami, qualche multa e anche una squalifica: ma da parte della giustizia sportiva, non da quella ordinaria.

La quale giustizia ordinaria sembra in generale procedere con estrema souplesse nei confronti delle crescenti manifestazioni di aperta o implicita esaltazione del fascismo e dei suoi metodi e delle sue finalità, a principiare dal razzismo.

Nessuno ha mai abrogato le norme costituzionali, ribadite dalla giurisprudenza e da pronunce della Corte Costituzionale, sul divieto di riproporre metodi e principi della propaganda fascista, quand’anche non siano direttamente correlati a progetti organici di ricostituzione del partito fascista.

Nessuno ha mai abrogato quelle norme, eppure è in atto una deriva – esaltata purtroppo da compiacenti palcoscenici televisivi – che ignora la sostanza di quel fondamento dell’Italia repubblicana, dando libera cittadinanza a ogni forma di insolenza e che rappresenta – al di là della volontà esplicita dei protagonisti – l’humus più fecondo di tutte le culture dell’intolleranza, della segregazione, della violenza verbale (per ora), cioè di ogni tipologia di fascismo. L’indulgenza, per un peloso senso di rispetto di tutte le manifestazioni del pensiero, anche delle più becere e ostili ai principi della democrazia, verso le reiterazioni di una cultura politica che la storia ha condannato e che la nostra Costituzione bandisce, non ha giustificazioni, se non nella fisiologica smemoratezza di un popolo (la memoria è la radice del nostro futuro) e nel facile ricorso ad esorcismi, a fobie e a riti apotropaici (la demonizzazione del diverso), indotti dalla insicurezza economica e dal disagio sociale. È una vecchia liturgia.

Che esistano guitti del razzismo virulento e smodato come il leghista Buonanno è desolatamente inevitabile. Che il sistema mediatico li innalzi a protagonisti della scena politica consentendogli ripetutamente il proscenio e la claque, per ripetere con Goebbels che i rom sono la feccia della società e rieditare oscure (ma non tanto) insinuazioni antiebraiche, questo è il male che una società seria (dico seria, non imperativa o coercitiva) potrebbe o dovrebbe evitare. Che i fascisti di Casa Pound cerchino uno spazio politico all’ombra del Carroccio è più che naturale. Che questo spazio venga loro consentito in nome di una indistinta liquidazione di ogni identità valoriale o semantica, è meno inevitabile.

Ma sta avvenendo. Sotto gli occhi intorpiditi di una società che si proclama stanca delle ideologie e per questo si mostra vulnerabile alle più insidiose forme di contagio della intolleranza. Esistono gli anticorpi. Il primo dei quali è il rispetto delle leggi. In attesa della improbabile conversione alla serietà di sconsiderati arringatori come il conduttore della “Gabbia” (ma non lui solo), è lecito ricordare che sanzionare un reato non è una limitazione della libertà. Come viene punita la “libertà” di furto, non vedo perché la “libertà” di esaltare principi antidemocratici, razzistici, segregazionistici, di incitamento all’odio, debba essere impunemente consentita. Questa non è tolleranza. Nella migliore delle ipotesi è amnesia.

Piero Pantucci

Laureata in Comunicazione politica e sociale, blogger e fotografa d’assalto, aggredisce la cronaca spregiudicatamente e l’html senza alcuna reverenza (e il sito talvolta ne risente), ma con la redazione è uno zuccherino. La sua passione è il popolo.

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