Non chiamiamolo condono: gli evasori si offenderebbero

Sapevate che cosa è un “condono usa e getta”? Io non lo sapevo, ma Matteo Salvini (a “Mezz’ora in più”, 15 gennaio) avrebbe potuto e dovuto spiegarmelo; e non ci è riuscito. Dice Salvini, a

Sapevate che cosa è un “condono usa e getta”? Io non lo sapevo, ma Matteo Salvini (a “Mezz’ora in più”, 15 gennaio) avrebbe potuto e dovuto spiegarmelo; e non ci è riuscito. Dice Salvini, a proposito dell’annunciato condono fiscale: «Io dico no al condono usa e getta. Io propongo una pace fiscale». Dunque c’è una differenza fra condono usa e getta e pace fiscale. E qual è?

Condono usa e getta

Cosa si proponevano i condoni fiscali (e limitiamoci a questi, tralasciando i non meno gravi condoni edilizi) di cui la storia patria è densa nell’ultimo ventennio? C’è qualche ministro dei governi condonatori (Dini nel 1995, Berlusconi nel 2003, ancora Berlusconi nel 2009) che accetterebbe di considerare il proprio condono “usa e getta”?

Indulgenza plenaria

Che scopo avevano quei condoni?
La remissione della colpa (l’evasione). E che risultato ottenevano? Fare un po’ di cassa. Forse per questo, perché fa sempre un po’schifo dover ammettere che chi ha lungamente peccato (l’evasore) se la cava con un pater, un’ave e un gloria (più qualche monetina nella cassetta delle elemosine) e ottiene in cambio l’indulgenza plenaria; forse per questo, dicevo, il maggior rovello cerebrale dei condonatori non è spiegare perché eccezionalmente (ma non tanto) uno stato di diritto ricorra a strumenti così iniqui, ma negare la consistenza della iniquità attraverso perversi giochetti lessicali.

La pace fiscale

Il condono fiscale che il centrodestra (se vittorioso) si accinge a varare, ha esattamente la stessa fisionomia, la stessa ragion d’essere di tutti i condoni che l’hanno preceduto. Non ha un filo di dignità in più. Ha le stesse vergognose sembianze dei precedenti. Solo che non lo chiamano condono. Salvini, dopo aver deplorato il condono usa e getta, lo chiama “pace fiscale”, Brunetta lo definisce “reset fiscale”, come in passato si cercava di sfuggire alla brutalità delle parole, parlando di “scudo fiscale”, di “protrazione dei termini”, di “sanatoria” nella più onesta delle ammissioni.

Trucchetti nominalistici

Ma il nominalismo non cancella la colpa di chi ha peccato né la responsabilità di chi vende le indulgenze per quattro talleri. Ancora una volta (e naturalmente ci dicono che sarà l’ultima volta) i grandi evasori la fanno franca. E continueranno a farla franca, perché una volta di più si sarà consolidata la certezza che basta resistere, opporsi, rifugiarsi nei paradisi fiscali o nelle false fatturazioni, prima poi arriverà un’altra pace fiscale, o un reset, se preferite.

Ventuno milioni di contenziosi?

Se parlo un po’ di questa “pace fiscale”, è perché fa tutt’uno col tema della politica tributaria che è diventata (soprattutto ad opera di Berlusconi) il tema centrale della campagna elettorale.

Uno degli argomenti forti dei condonatori è che lo stato non si può permettere di tenere aperti venti o ventuno milioni di contenziosi fiscali, con poche possibilità di riuscire a venirne a capo.

O ventuno milioni di voti?

In realtà i contenziosi tributari veri e propri sono poco meno di 470.000 (fonte la direzione Giustizia Tributaria del Dipartimento delle Finanze), mentre i 20 o 21 milioni di cui parlano Berlusconi e Brunetta sono i cittadini che a vario titolo hanno qualche pendenza fiscale. Ma si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di vicende di modesta entità (errori materiali, dimenticanze, contravvenzioni…) che fanno massa ma che non sono il nerbo dell’evasione. Il nerbo sono i grandi evasori, quelli che non fatturano mai o quasi mai, che usano i paradisi fiscali, che annegano le proprie dirette responsabilità fiscali nella catena delle società di comodo. Col senso pratico che lo contraddistingue, Berlusconi ha immediatamente tracciato l’equazione fra il condono e il voto del 4 marzo: «Ventuno milioni di persone che solo per questo dovrebbero votarci» (Uno mattina, 15 febbraio). Si tratterebbe del più oceanico voto di scambio che la storia ricordi.

Brunetta: guerra agli evasori

Costoro, gli evasori, saranno (se vincesse il centrodestra, naturalmente) i grandi beneficiari della “pace fiscale”. Ma stiano attenti – ammonisce l’implacabile Brunetta – «con la flat tax evasori ed elusori avranno una vita difficilissima, e soprattutto non avranno più alcuna convenienza». Infatti, è con e per l’avvento della flat tax che il centrodestra intende voltare radicalmente pagina e, alla luce di questa “rivoluzione” giustificare l’adozione del “reset fiscale”.

Una “rivoluzione”

Rivoluzione, la flat tax è definita dai suoi promotori una autentica rivoluzione. È vero: se adottata, farà dell’Italia il primo paese del cosiddetto Occidente (giudaico- cristiano per chi crede alle radici culturali; capitalista per chi crede alle vocazioni economiche) a negare progressività al sistema tributario.

E un primato dell’Italia

La tassa piatta, la flat tax, non ce l’ha nessuno nella comunità dei paesi ai quali siamo soliti fare riferimento. Ma lo sventolare una aliquota bassa ingolosisce. È probabile che qualche effetto la faciloneria del propagandista riesca a produrlo. Ma di ciò si è detto nel numero scorso. Non ci ritorniamo (per leggere “Il no detto (e le balle) della flat tax”, clicca qui).

Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto

Colpisce invece la motivazione di diritto che giustifica il condono: una legge nuova impone l’azzeramento del passato. “Quel sistema lo rivoluzioneremo ed è quindi giusto ripartire da capo, anche per concentrare le forze sui potenziali evasori del futuro” (sito di Renato Brunetta). Come dire: il reato (l’evasione) c’è stato; ma siccome c’è una nuova legge, perdoniamo il peccatore.

Qualche volta retroattivo è bello

È un ragionamento ben curioso: che stabilisce effetti di retroattività rispetto a colpe commesse prima della nuova legislazione. Doppiamente curioso se si pensa che sulla perversità delle leggi retroattive si basa il ricorso di Berlusconi, condannato a quattro anni per frode fiscale da una legge (la Severino) approvata prima della sua condanna, ma che colpiva reati precedenti la vigenza della nuova normativa.

Una forte, forte riduzione dell’evasione

Ma lasciamo perdere la coerenza. Qualche serio dubbio sulla serietà degli intenti degli aspiranti condonatori ci viene quando apprendiamo da Berlusconi (video su facebook il 30 gennaio) che le risorse per coprire il minor gettito tributario indotto dalla flat tax verranno «soprattutto con una forte, forte riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale».

La redenzione

È un caso di redenzione quasi senza precedenti. Chi, fra quelli che vantano antica e non dismessa dimestichezza con l’evasione, prenderà sul serio l’impegno di un signore, che ha grandi meriti imprenditoriali, ma anche una pesante condanna per frode fiscale? E sarà soprattutto la lotta all’evasione a garantire la copertura del drastico calo di entrate che la flat tax provocherebbe?

Ma sinora nessuno ci è riuscito

Ironie a parte, qui non si parla di fake news o di eccessi propagandistici. L’applicazione della flat tax, in qualunque versione la si intenda (dal 15 di Salvini al 23 per cento del più recente Berlusconi), comporta un calo di gettito di decine di miliardi.
Si calcola che le evasioni costino annualmente allo stato non meno di 110 miliardi. Nessun governo, sino ad oggi (compresi quelli presieduti da Berlusconi) è riuscito anche solo ad avvicinare il recupero di questo enorme patrimonio.

Evviva la “compliance”

È sì lecito ipotizzare una maggiore fedeltà dei contribuenti (la “compliance”, la fiduciosa condiscendenza, come ci spiegano i dotti sovranisti leghisti), ma si può iscrivere a bilancio, come risorsa fondamentale, il recupero dell’evasione, quando lo stesso economista di fiducia di Salvini, Armando Siri, stima prudenzialmente in 63 miliardi il calo delle entrate? Su questo terreno le leggerezze non sono ammissibili.

Piero Pantucci
(Marzo 2018)

Giornalista dello scorso millennio, appassionato di politica, cronaca locale e libri, rincorre l’attualità nella titanica impresa di darle un senso e farla conoscere, convinto che senza informazione non c’è democrazia, consapevole che, comunque, il senso alla vita sta quasi tutto nella continua rincorsa. Nonostante questo è il direttore “responsabile”.

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