Pantucci risponde sulla “zuppetta semantica” fatta da Feltri sul suo articolo “diritto a odiare”
Il 9 dicembre su Libero Vittorio Feltri ha pubblicato un articolo “Odiare non è un reato ma un diritto”, a cui risponde Piero Pantucci con la consueta precisione."Se sfoglio i giornali trovo paginate dedicate all’odio,
Il 9 dicembre su Libero Vittorio Feltri ha pubblicato un articolo “Odiare non è un reato ma un diritto”, a cui risponde Piero Pantucci con la consueta precisione.
“Se sfoglio i giornali trovo paginate dedicate all’odio, come se fosse un’emergenza nazionale. Se guardo la tv, noto che, su qualsiasi rete, si discetta con toni allarmati di questo sentimento. Ogni discussione pubblica e privata finisce per trattare il tema dell’acredine crescente nel nostro Paese che pure ha ben altri problemi.
Intanto vorrei puntualizzare che detestare una persona o un partito o un gruppo di individui non è vietato. Infatti non esiste il reato di odio per cui ciascuno di noi è libero di disprezzare a piacimento chiunque senza incorrere nei rigori della legge. Gli odiatori hanno il diritto di esercitarsi quanto garba loro nell’esecrazione, sia rivolta alla moglie, ai figli, ai parenti tutti o ad altri, tra i quali gli avversari politici.
Impedire a un uomo o a una donna di avere in forte antipatia un proprio simile è insensato, così come lo sarebbe vietargli di amarlo e di sacrificarsi per lui. Quello che cova nell’animo di un essere vivente può talvolta essere disdicevole o addirittura turpe, però è insindacabile se non si traduce in azioni violente e contrarie alle disposizioni dei codici penale e civile.
Se a me stanno sulle balle Di Maio e Scanzi non me ne vanto, tuttavia non per questo devo essere censurato. È affare mio e soltanto mio, non perseguibile in termini normativi. Tra l’altro mi sembra di aver capito che, in questa congiuntura, sia lecito maledire Matteo Salvini e Giorgia Meloni, cosa che fanno tutti quelli di sinistra, mentre sia proibito disdegnare i pesci in barile, cioè le sardine, oppure Zingaretti e la sua troupe di ex e post comunisti. Perché due pesi e due misure? Non riesco a convincermi che esista un livore buono e uno cattivo. Io aborrisco tutti quelli che odiano eppure non li condanno”.
Vittorio Feltri
(Libero 9 dicembre 2019)
La risposta di Pantucci
La zuppetta semantica
Acredine, detestazione, disprezzo, esecrazione, antipatia, maledizione, disdegno, livore, stare sulle balle. Queste le parole usate sinonimi da Feltri per mischiare le carte e “addolcire” la carica violenta dell’odiare
Non è la legge che impedisce di odiare. La legge può semmai perseguire le conseguenze dell’odio, ad esempio la diffamazione, la calunnia, le lesioni, l’omicidio.
Ma questo anche un cialtroncello (uno qualunque, a caso) lo sa.
Esiste una vasta gamma di sentimenti che caratterizzano l’avversione. Di questi il più intenso e radicale è l’odio, che nell’accezione generalmente condivisa ha come obiettivo la distruzione, l’annientamento della persona odiata.
In questo senso non è in alcun modo assimilabile o identificabile con le altre manifestazioni di ostilità che nella zuppetta di Feltri vengono artatamente miscelate e omologate: l’acredine (animosità), la detestazione (rimozione), il disdegno (carenza di stima), il disprezzo (profonda avversione, più forte di disdegno), l’esecrazione (deprecazione, biasimo), l’antipatia (insofferenza istintiva), la maledizione (anatema, sulla soglia dell’odio), il livore (astio, acrimonia).
In questo breve prontuario dell’odiatore non mancano alcuni significativi distinguo che persino un disabile della lingua come Feltri conosce. Ad esempio, mentre “tutti quelli della sinistra” (tutti, sia chiaro) maledicono Salvini e la Meloni, quelli della destra (che però non sono indicati come tali) si limitano a disdegnare le sardine e Zingaretti. Maledizione contro mancanza di stima: la differenza semantica è chiara persino a Feltri.
Quanto allo “stare sulle balle”, è la forbita locuzione dei cialtroncelli per indicare l’antipatia.
Se l’odio si limitasse a questo, saremmo tranquilli. Un po’ di osteria, un po’ di etilismo, qualche sconveniente eruttazione, turpiloquio d’ordinanza…
In taberna quando sumus, non curamus quid sit humus.