Parla Dario Mastrocola, soccorritore del 112: «Portiamo i pazienti Covid negli ospedali del sud Milano e i contagi, purtroppo, non diminuscono»
Dario Mastrocola, soccorritore professionista della Croce Rossa di Buccinasco, primissima linea dell’emergenza Coronavirus, da oltre un mese “copre” turni di 12 ore per raggiungere in casa le persone a cui inizia a mancare il respiro,
Dario Mastrocola, soccorritore professionista della Croce Rossa di Buccinasco, primissima linea dell’emergenza Coronavirus, da oltre un mese “copre” turni di 12 ore per raggiungere in casa le persone a cui inizia a mancare il respiro, che in poche ore devono arrivare in ospedale per evitare il peggio. Una media di due – tre corse giornaliere contro il tempo, che purtroppo hanno dovuto registrare diversi decessi. Alcuni dei quali a casa. Altri durante il tragitto casa – ospedale, nonostante gli interventi di rianimazione cardiopolmonare compiuti in autoambulanza.
Allora è vero che non sempre riuscite ad assicurare interventi tempestivi?
«No, non è vero. C’è però una procedura più lunga, determinata dalla situazione. Lo smistamento delle chiamate viene fatto sulla base delle informazioni che l’operatore del 112 riceve. Rispetto a prima dell’emergenza vengono fatte una serie di domande per capire se si tratta di persone potenzialmente infette, in che stato di salute sono o se hanno altre patologie.
Se si tratta di un caso grave o di infetti che presentano sintomi preoccupanti i tempi di risposta sono brevi, tenendo conto anche della preparazione dei mezzi e dell’equipaggio. Purtroppo è la malattia che, da quando iniziano le difficoltà respiratorie, soprattutto nei soggetti più fragili, ha un decorso molto veloce».
In cosa consiste la preparazione dell’equipaggio di cui parli?
«Quando si soccorre una persona a rischio Coronavirus che non è in grado di deambulare tutto l’equipaggio si veste completamente con i presidi per trasportarla dall’alloggio all’ambulanza. Se invece riesce a camminare, sale al domicilio solo un soccorritore e gli altri stanno nella cabina di guida. Poi una volta in ospedale tutti i presidi vengono buttati e il mezzo viene sanificato completamente con alcol 90 gradi. E per fare questo ci vuole tempo».
Avete sufficienti dispositivi di sicurezza?
«Abbiamo tutti i presidi che servono, anche perché abbiamo capito subito l’importanza di mascherine, tute, copriscarpe e guanti e siamo corsi a comprarle un po’ ovunque, anche nei Bricocenter».
State uscendo più frequentemente in questo periodo?
«Facciamo meno interventi di prima dell’emergenza Coronavirus. Sono sparite tutte quelle richieste “leggere” e sono rimasti solo gli interventi urgenti. Per questo, tra sanificazione del mezzo e importanza degli interventi, usciamo meno ma la pressione lavorativa è molto più alta e senza pause».
Quando arrivate al domicilio delle persone a rischio Covid-19 come vi comportate?
«Arrivati in casa per prima cosa forniamo i pazienti di mascherina e guanti. Poi misuriamo febbre, pressione e la saturometria, per capire lo stato di salute. Ci sono stati casi in cui abbiamo convinto le persone a rimanere a casa, visti i riscontri e consultatici con la centrale. Abbiamo anche avuto casi in cui il passaggio delle informazioni tra chi ha chiamato e chi ha raccolto la telefonata non è stata corretta e ci siamo trovati di fronte una persona a rischio Covid-19. Questo ha comportato che la sanificazione nostra e dei mezzi successiva è stata molto più impegnativa e che abbiamo dovuto adottare per due settimane misure di contrasto al contagio più stringenti, anche a casa. Poi una volta sul mezzo, se necessario, ai pazienti vengono fornite le prime cure».
In quali Pronto soccorso andate di solito e cosa succede una volta arrivati?
«Portiamo i pazienti al San Paolo, San Carlo, Humanitas e San Giuseppe. Qui dopo i primi giorni di confusione i triage sono stati differenziati tra chi è a rischio Covid-19 e chi non lo è. Quindi attendiamo il via libera dal personale sanitario e consegniamo il paziente, ci allontaniamo e iniziamo la sanificazione».
Secondo te stanno diminuendo i contagi?
«Dal nostro punto di vista, che è molto parziale, non mi sembra in modo significativo, purtroppo».
Che misure di prevenzione del contagio adottate una volta a casa?
«Abbiamo paura. Basta un minimo starnuto per creare un po’ di preoccupazione da parte di tutti, anche se siamo tutti professionisti e io è da vent’anni che faccio questo lavoro. Sulle misure di attenzione una volta a casa io vivo una situazione particolare, perché la mia compagna Stefania (nella foto sopra insieme a Dario. NdR) lavora con me come soccorritore, quindi vivendo la stessa situazione quando siamo in casa non attuiamo alcuna misura particolare, se non nei confronti di nostro figlio, che però è molto piccolo e, per quanto si sa, molto meno vulnerabile. Altri colleghi invece tengono un comportamento molto più impegnativo, per esempio indossano la mascherina in casa e dormono da soli, quasi sempre sul divano del salotto».
C’è qualcuno malato alla Cri di Buccinasco?
«Attualmente c’è un collega in quarantena perché ha avuto febbre, noi secondo le indicazioni del ministero della Salute continuiamo a lavorare, proteggendoci con i presidi sanitari. Di tamponi non se ne parla. Per noi tantomeno».
Perché tantomeno?
«Perché i soccorritori di emergenza non fanno parte del personale sanitario, per un evidente buco normativo, quindi non rientriamo negli interventi dei recenti decreti del governo e, anche se si decidesse di fare tamponi a tappeto, noi non ci saremmo. Né esiste una scuola nazionale, che certifichi le competenze, ogni Regione fa da sola. Lo Stato riconosce solo il volontariato, che per evidenti motivi in situazioni come queste non può essere il pilastro su cui posare l’assistenza sanitaria. Né esiste un contratto nazionale, ogni croce applica quello che ritiene più opportuno, né un sindacato. Insomma non esistiamo…».
Una situazione molto difficile…
«Sicuramente e anche frustrante. L’invito che mi sento di fare ai cittadini che ora ci salutano con affetto e riconoscenza è che, una volta finita questa situazione, ci aiutino a far valere i nostri diritti e, conseguentemente, a fornire un servizio sempre più professionale».