di Fedora Ramondino
Cat. articolo
Quando una luce di un negozio si spegne, si spegne poco per volta un po’ di vita quotidiana.
Il negozio sotto casa è quello del latte all’ultimo minuto, del prosciutto che “come quello ti assicuro non lo trovi”, è quello del “me lo segna per favore, pago domani…” Si possono scambiare due parole con il vicinato, sentirsi parte integrata di una vita fatta di piccole cose, piccoli racconti. Il famoso “controllo sociale” dei tessuti di vecchi quartieri di Milano. Ora ci si conosce sempre di meno e si diffida sempre di più.
Sono tante le zone a Milano dove l’Aler (o chi per esso) ha un patrimonio di negozi sfitti. Non volendo addentrarmi nel pericoloso argomento “case sfitte”, proviamo con i negozi…
Sappiamo benone che le grandi catene di supermercati, (o catene di genere, ormai veri e propri Marchi) hanno mangiato negozi, botteghe e attività sino a farne indigestione. Che ci siano va bene, perché no? Anche loro danno lavoro (altro argomento che non toccherò al momento sulle “condizioni”). Comunque sia perché mai non dovrebbero/potrebbero coesistere?
Ma i miei voli pindarici sulle vette dell’utopia, mi spingono a pensare questo:
Chissà mai che queste idee balzane e utopistiche raggiungano menti illuminate e comprensive.
Anni fa si diceva – e ci credo ancora – “sarà una risata che vi seppellirà” – ora si spera che un negozio aperto ci aiuterà.