Reportage dal Guatemala: Pablo e la sua incredibile voglia di farcela

Pablo ha 25 anni, è nato e cresciuto a San Pablo La Laguna, uno dei piccoli paesi che si trovano sul meraviglioso Lago Atitlan, nel Dipartimento di Sololá, in Guatemala. È uno degli utenti del

Pablo ha 25 anni, è nato e cresciuto a San Pablo La Laguna, uno dei piccoli paesi che si trovano sul meraviglioso Lago Atitlan, nel Dipartimento di Sololá, in Guatemala. È uno degli utenti del Centro Maya, dove lavora per il Servizio civile nazionale all’estero da ormai 5 mesi, ha una disabilità fisica e fa parte del progetto di inclusione lavorativa Alma de Colores. Al momento fa fatica a camminare mentre prima, quando la sua malattia è iniziata, non poteva muovere nessuna parte del suo corpo. Questa malattia è la sindrome di Barrel, colpisce il sistema nervoso e abbassa le difese immunitarie, impedendo da un giorno all’altro al corpo di reagire. Gli ho chiesto di raccontarci un po’ la sua storia.

Una piccola premessa: la disabilità in Guatemala è, più che in altri paesi, un tabù. La maggior parte delle persone che nascono con una disabilità, che sia fisica o intellettuale, è completamente escluso dalla vita sociale, non va a scuola e non lavora. Ci sono famiglie che credono sia una punizione che Dio ha dato loro perché hanno fatto qualcosa di sbagliato. È una cosa molto difficile da accettare.

 

Puoi raccontarci un po’ la tua storia?

«Sono nato a San Pablo, un paesino del Lago Atitlan, in una famiglia abbastanza povera e una mamma molto giovane (17 anni). Già quando ero piccolo si sospettava che avrei potuto avere una disabilità; ho fatto molta fatica a imparare a camminare e solo a 6 anni sono riuscito a stare in piedi da solo. Tutti pensavano che avrei avuto una vita difficile, che avrei fatto fatica a lavorare e ad essere indipendente. Ho iniziato a lavorare con mio padre quando avevo 14 anni, nella distribuzione di disinfettanti per tutto il Guatemala. Mi piaceva molto questo lavoro, soprattutto perché mi portava a girare per il paese. In poco tempo mi sono messo in proprio. A 19 anni ho conosciuto la mia attuale ragazza e siamo andati a vivere insieme anche se i soldi non erano molti, non ce ne preoccupavamo. Era tutto abbastanza regolare, fino a quando, nel 2012, è cominciata la malattia».

 

Ci racconti come si è sviluppata la malattia?

«Un giorno mi sono svegliato e mi sentivo strano. Volevo muovermi per alzarmi dal letto ma non riuscivo. Avevo sete e fame ma non riuscivo a bere e mangiare, non avevo la forza nemmeno per deglutire. Era come se il mio corpo fosse un estraneo, ero completamente paralizzato, non potevo muovere nessuna parte del mio corpo anche se volevo. Mio padre era molto preoccupato e cercò di capire cosa stava succedendo. Iniziarono a darmi degli antibiotici, poi delle pomate, ma non avevano nessun effetto. Dopo feci una visita all’ospedale a Sololá, dipartimento dove vivo, dove iniziarono a farmi degli esami, senza arrivare a nulla. Poi sono andato alla capitale a fare altri esami e la diagnosi fu la sindrome di William Barrel… e non ci sono cure per questa malattia».

 

Io ti ho conosciuto che potevi già muoverti, come ci sei riuscito?

«Un giorno, nell’ospedale della capitale in cui sono stato ricoverato per fare degli esami ho incontrato una fisioterapista che stava visitando alcuni pazienti. Conosceva la malattia e lavorava qui al Centro Maya. Mi consigliò di rivolgermi a loro. I miei genitori avevano paura di mandarmi li perché non conoscevano il posto ed essendo una malattia rara pensavano che non sapessero bene come trattare la cosa. Io però ero deciso a fare di tutto e ho insistito. Una volta uscito dall’ospedale ci sono andato e ho iniziato le terapie. Da questo, passo dopo passo e molto lentamente, sono iniziati i miglioramenti».

 

Cosa è stato più difficile da affrontare durante questa fase della malattia?

«La cosa più difficile in assoluto è stata perdere la mia indipendenza, per di più da un giorno all’altro. Necessitavo dell’aiuto di qualcuno per fare tutto, questa è stata la cosa più frustrante. Però, dopo il primo periodo di completa depressione, ho iniziato a darmi degli obiettivi. Utilizzare almeno una sedia a rotelle per potermi muovere, riuscire a salire sull’autobus. Insomma ritrovare un modo per essere il più indipendente possibile, mi sono concentrato su questo. Per raggiungere questi obiettivi ci ho messo più o meno due anni tra terapie e dieta, per rafforzare il mio sistema immunitario».

 

Pablo1Come sei riuscito a reagire?

«Non mi sono rassegnato a quello che mi stava accadendo. Ho iniziato a pensare che mi servisse per imparare qualcosa e questo atteggiamento mi ha aiutato molto. Ho valorizzato quello che avevo senza pensare a quello che non avevo, o meglio, non avevo più. Tutti gli sforzi e le grandi fatiche che ho fatto ora mi facilitano le cose».

 

Ora come va? Ci dici qualcosa del tuo lavoro?

«Io sento che non mi manca davvero nulla e sono contento di tutto quello che ho, che mi sono guadagnato. Nel progetto Alma de Colores mi occupo di diverse cose: ho iniziato nel laboratorio di artigianato, poi ho iniziato anche a consegnare il pane che produciamo nel laboratorio di panetteria ai clienti. Ora lavoro come cameriere nel ristorante che è stato aperto con il progetto, nei mercati dei nostri prodotti di artigianato e continuo con le consegne del pane. Mi occupo anche di vendere le verdure del nostro orto. È chiaro che non ho una mobilità perfetta, a volte faccio fatica, sono più lento degli altri a camminare. Ma ho molta pazienza, so che comunque arrivo a fare tutto e questo è quel che conta».

 

C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri lettori prima di chiudere?

«Qualunque cosa succeda nella vita, succede per un motivo specifico. La vita ti mette sempre davanti quello che devi imparare e la possibilità di apprendere. Tutto dipende da come reagisci, se vedi le cose come una risorsa o come un impedimento. Io ho pensato che tutto fosse accaduto per darmi la possibilità di apprendere… e ho imparato un sacco di cose».

Ringrazio di cuore Pablo per tutta la forza e la grinta che mette nelle cose che fa, nel progetto in cui lavoriamo e tutto quello che ci insegna ogni giorno!! Nella sua lingua maya tz’utujil: Maltiox, Pablo! (Grazie, Pablo!).

(Marzo 2016)

Elisa Paci, 24 anni, laureata in Comunicazione e Società (Scienze Politiche), blogger e fotografa, ha uno spirito internazionalista, che la porta a viaggare a Milano e nel mondo, in aiuto di chi non ce la fa, siano persone, interi popoli o piccole redazioni digitali. Per lei il reaggae è il massimo.

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