Ristoranti al tempo del Coronavirus. “Asso di fiori, trattoria dei formaggi”, da oltre 35 anni al 54 dell’Alzaia Naviglio Grande

«Nelle consegne lavoriamo con guanti e mascherina: il cliente deve sentirsi sicuro». Da inizio giugno l’apertura al pubblico. Per molti l’incognita sono i pannelli di plexiglas». Annullata fino al 31 ottobre la Tosap

Serrande alzate. Luci accese. Tavoli apparecchiati. E chiavi consegnate al Sindaco. Lo scorso 29 aprile ristoranti e bar sono stati aperti dai proprietari e messi simbolicamente nelle mani dell’Amministrazione comunale – presente l’assessore alle Politiche per il Lavoro, Attività produttive e Commercio, Cristina Tajani – come gesto di protesta affinché il Comune stimoli il Governo sulle problematiche che i pubblici esercizi devono affrontare al tempo del Coronavirus.

«Abbiamo aperto anche noi. E anche noi siamo molto delusi e arrabbiati da come stanno gestendo le cose», annuncia Mattia Bilotta di Asso di fiori, trattoria dei formaggi, da oltre 35 anni al numero 54 dell’Alzaia Naviglio Grande. Un nome che riprende una bettola di tre sale dove si giocava a carte in tre modi diversi, e un’idea che i nonni materni di Mattia mutuano da un locale visitato in Francia. Oggi il ristorante ha due ambienti. Soffitto in legno per quello al piano terra, in volte di mattoni per la taverna. Vecchi mobili in legno, una radio a valvole. «Vedere il ristorante vuoto stringe lo stomaco», ammette. «Il delivery ha risposto bene: siamo convenzionati con Deliveroo ma il 90% delle consegne le facciamo noi, con i dovuti accorgimenti, e la clientela apprezza. L’asporto non cambia molto le cose mentre la riapertura al pubblico dovrebbe avvenire per fine maggio. Nel frattempo sistemiamo i tavoli a distanza di sicurezza, riduciamo i coperti da 50 a circa 20, posizioniamo una colonna di sanificante all’ingresso e una nei pressi della toilette. Lavoriamo con guanti e mascherina: il cliente deve sentirsi sicuro». L’incognita sono i pannelli di plexiglas. La ferita sono le tasse. «Affitto, Iva, rifiuti, suolo pubblico: tutte solo posticipate. Queste ultime due pare si debbano pagare per intero anche se siamo fermi da marzo e chissà quando ripartiremo davvero. I quattro dipendenti che supportano la gestione familiare sono in cassa integrazione, ma non hanno ancora visto un euro».

Ripartire è vitale per tutti, ognuno facendo il suo. «Abbiamo adibito una parte del locale a “bottega” – chiude Mattia – con prodotti di alta qualità a prezzo davvero contenuto: diamo ai piccoli produttori artigiani la possibilità di lavorare e ai clienti di assaggiare prodotti eccellenti».

«Affitto. Personale. Tasse e tributi locali. Sono queste le voci sensibili per i pubblici esercizi in questo momento di chiusura forzata, ma che saranno attuali anche nei mesi successivi alla riapertura», elenca Carlo Squeri, segretario di Epam, l’Associazione Provinciale Milanese dei Pubblici Esercizi di Confcommercio Milano. «Per esempio l’affitto: impensabile rimanga una questione tra privati, non è corretto. A guardare, di queste carte l’unica nelle mani dei ristoratori è quella del personale, ma non vorremmo essere messi nelle condizioni di dover licenziare una volta terminati gli ammortizzatori sociali». Dalla Darsena a via Valenza, dai baretti a ristoranti eleganti, sul Naviglio Grande si contano circa 130 di queste attività, «ferme di fatto dal 24 febbraio, giorno della chiusura forzata alle 18». L’incognita è quanti riapriranno. «Il dubbio è se da parte della clientela prevarrà una certa psicosi piuttosto che uno slancio di euforia. La previsione è che i turisti si affacceranno a Milano solo l’anno prossimo, ma per vedere i numeri degli ultimi anni dovremo aspettare di più».

La stima dell’Ufficio studi della Confcommercio milanese (confcommerciomilano.it) calcola che, su un’ipotetica ripresa del 18 maggio, l’area Milano-MonzaBrianza-Lodi perderà 4,9 miliardi di Euro del volume d’affari, -40% rispetto a un periodo di normalità, di cui 4,2 solo a Milano e area metropolitana. Le attività commerciali al dettaglio completamente ferme sono oltre 22.700 per 123mila addetti e 42.300 lavoratori stimati già in cassa integrazione.

«Al Ministero abbiamo presentato una serie di richieste. Tra cui: indennizzi a fondo perduto per il periodo di chiusura e agevolazioni per quando si riaprirà. Prolungamento degli ammortizzatori sociali fino al termine 2020, azzeramento di contributi come quello relativo all’occupazione del suolo pubblico e un’azione per calmierare gli affitti. Per riaprire garantendo la sicurezza di dipendenti e clienti abbiamo proposto un protocollo redatto da professionisti tra cui gli esperti dell’istituto per le malattie infettive Spallanzani».

Dopo la manifestazione del 29 aprile c’è stata quella del 6 maggio, quando i ristoratori si sono presentati all’Arco della Pace con le sedie vuote, come vuote rischiano di rimanere, per essere poi inevitabilmente multati dalla Polizia per assembramento.

Qualcosa però cambia due giorni dopo: «La Giunta ha approvato oggi una delibera che prevede l’ampliamento delle concessioni di occupazione di suolo pubblico per l’esercizio di somministrazione di cibi e bevande e la semplificazione delle procedure per ottenerle entro 15 giorni, nonché la temporanea sospensione del pagamento della tassa di occupazione Cosap» fa sapere Palazzo Marino tramite una nota dell’8 maggio, cominciando così  sciogliere i nodi di una situazione oggettivamente ingarbugliata. Il 14 maggio il Consiglio comunale ha infine approvato una delibera toglie fino al 31 ottobre la tassa per l’occupazione del suolo pubblico, rendendo gratuita e possibili le occupazioni di spazi esterni per gli esercizi commerciali, come bar ristoranti.

Milanese, giornalista e TV producer. Per lavoro vive a Los Angeles, tocca Cape Town e Tokyo, scopre angoli nascosti d’Italia e d’Europa. Per curiosità si perde nelle strade e tra le storie della sua amata città.

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