Ritratti dalla Volga: i protagonisti della scuola di lingue di Cheboksary

I viaggi sono fatti anche dei volti che incrociamo, delle esperienze che scambiamo lungo il percorso nella vita di tutti i giorni. La mia esperienza qui in Ciuvascia è stata oltremodo felice anche grazie alle

I viaggi sono fatti anche dei volti che incrociamo, delle esperienze che scambiamo lungo il percorso nella vita di tutti i giorni. La mia esperienza qui in Ciuvascia è stata oltremodo felice anche grazie alle persone che ho incontrato, ed alla loro generosità nel mostrarmi una nuova realtà attraverso i loro occhi, accompagnandomi passo dopo passo in questo percorso. Per questo ho chiesto ad alcune di loro di raccontarmi le loro esperienze prima che ci incontrassimo a Cheboksary, e che hanno plasmato, a loro volta, il loro sguardo sul mondo.

 

La direttrice: Aleksandra

aleksandraInstancabile, energica, forte: questi aggettivi forse non bastano a descrivere la personalità della direttrice e fondatrice della scuola di lingue presso cui ho lavorato, ma ben si avvicinano alla sua incredibile voglia di fare. Una serie di viaggi all’estero e lo studio delle lingue straniere (tra cui l’italiano, di cui sono stata, per un breve periodo la sua insegnante) le hanno fatto capire l’importanza di oltrepassare le frontiere, fisiche e mentali. Tutto è iniziato dai campi per ragazzi di Sodruzhestvo, diversi anni fa.

 

Come è nato questo progetto?
«Il progetto di Sodruzhesvo è iniziato nel 2003: ci eravamo resi conto che a Cheboksary molti bambini non avevano mai visto stranieri nella loro vita, e non tutti avevano le risorse finanziarie per poter viaggiare all’estero. Abbiamo pensato, quindi, che sarebbe stato bello portare qui dei volontari da diversi paesi all’interno dei campi estivi. Nel 2003, abbiamo organizzato il primo: sapevamo dell’esistenza delle associazioni Service Civil International e Alliance of European volunteer organisation, e ci siamo appoggiati a loro per invitare i primi volontari stranieri. L’esperienza è stata molto positiva per tutti, tanto da spingere nuovi volontari a venire e altri a tornare: così, oltre ai campi estivi, abbiamo aggiunto anche l’esperienza dei campi invernali. Poi, nel 2007, abbiamo aperto la scuola. All’inizio è stato tutto piuttosto semplice, anche grazie ai contatti che il mio collega Aleksandr Blinov aveva per assicurarsi ottimi insegnanti e promotori dell’iniziativa».

 

Come vedi il mondo dell’insegnamento delle lingue straniere in Russia?
«Ai russi interessa moltissimo studiare le lingue straniere e conoscerne le culture relative. L’animo delle persone è in realtà molto aperto a questo tipo di apprendimento. L’isolamento deriva dalla politica e dalla nostra condizione geografica. Però, al giorno d’oggi, anche su questo fronte si fanno dei passi avanti: ad esempio, dal 2020, verrà introdotto nelle scuole un test di inglese obbligatorio per tutti alla fine del percorso scolastico». Quali sono le lingue più “popolari” tra quelle insegnate? «L’inglese è sicuramente la principale; poi il cinese, che ha avuto una crescita molto forte in questi anni. Direi anche spagnolo, tedesco e italiano. Inoltre le scuole linguistiche private giocano un ruolo fondamentale nell’apertura del paese: qui si insegnano lingue che a scuola non vengono prese in considerazione».

 

C’è molto interesse per l’italiano?
«Assolutamente! L’italiano è una lingua molto amata qui in Russia. Oltre al fatto che tra i due paesi ci sono importanti rapporti commerciali, c’è anche uno spirito di collaborazione che non esiste invece con gli altri paesi in Europa. Forse con la Spagna si potrebbe fare un paragone. Anche con loro siamo in ottimi rapporti. Però l’Italia ha moltissimo da offrire: le bellezze naturali, la moda, il cibo. Ci affascina molto il vostro paese, in moltissimi vogliono visitarlo e imparare la vostra lingua!».

 

La collega: Olga

olgaInsegnante e responsabile di uno degli uffici di Language for success (quello in cui ho lavorato di più), Olga ha girato il mondo e vorrebbe presto ripartire alla volta della Svezia, paese di cui si è innamorata dopo averci vissuto per tre anni e aver lavorato anche con i cani da slitta. Ama però molto anche il suo paese natale e le sue tradizioni. Una guida preziosa verso un altro lato della Russia e, soprattutto, alle golosità locali, come i biscotti con latte condensato e syrniky, e le frittelline dolci al formaggio.

 

Hai vissuto in Svezia per diversi anni: quali sono le differenze che hai visto nella vita di tutti i giorni rispetto alla Russia o ad altri paesi in cui sei stata?
«Una delle prime cose che mi viene in mente è che in Svezia le persone sembrano godersi realmente la vita. Nonostante i problemi, gli svedesi mantengono molto di più una mentalità positiva. Nulla a che fare con i sorrisi tirati nei miei ricordi degli Stati Uniti. Inoltre, penso che questa positività si traduca anche in un atteggiamento più aperto verso gli stranieri, specialmente di fede musulmana, che in altri contesti sono invece più stigmatizzati. La seconda differenza è il modo di vivere. In Russia teniamo molto a lavorare per poter acquistare una casa, una bella macchina, anche se questo risulta molto difficile con i nostri salari. In Svezia, invece, si tende ad affittare un appartamento, ad avere una macchina meno costosa, investendo i propri guadagni in viaggi e tempo libero. A livello urbanistico, tutto è più a misura d’uomo: si investe molto nella costruzione di parchi, musei interattivi, strade perfette per biciclette e pedoni…un posto fantastico anche per i bambini! E sono molto più attenti a preservare la natura e all’ecologia, cosa che in Russia manca totalmente».

 

Dall’esterno noi vediamo la Russia come un paese abbastanza chiuso: tu cosa pensi a riguardo?
«(Ride) Questo a me sembra più uno stereotipo tipico degli stranieri. Mentre viaggiavo, ho chiesto spesso alle persone che incontravo perché così poche persone visitassero la Russia e la risposta è sempre stata la stessa. Penso che l’immagine data dai notiziari sui continui cambiamenti delle relazioni politiche tra di noi, l’Europa e gli Stati Uniti influenzi molto l’opinione pubblica internazionale e il ricordo della corruzione e “mafia” dell’Unione Sovietica non è sicuramente un punto a favore. Purtroppo, come se non bastasse, pochissimi russi parlano inglese e questo logicamente spaventa molti stranieri che però vorrebbero venire a visitare il nostro paese. Una delle altre risposte che ho sentito è stato che i russi sono così tetri, non sorridono mai… Questo però non è vero! Noi sorridiamo, ma solo a chi ci piace davvero. Altrimenti non sarebbe un sorriso sincero».

 

Da insegnante e viaggiatrice, che ruolo pensi abbiano le scuole di lingue in Russia? Come vedi il futuro in questa prospettiva?
«Le lingue straniere hanno un ruolo importantissimo in tutto il mondo. Come ho detto, i russi non sono proprio eccellenti in questo campo. Nelle città come Mosca e San Pietroburgo puoi trovare sicuramente qualche persona che parli inglese, ma andando verso Est diventano sempre più rare, la situazione è abbastanza triste. Penso che sia importante per il mio paese e per la mia città che si cominci finalmente a parlare lingue straniere affinché ci si possa aprire al mondo senza che ci sia paura di venire qui e senza più essere fraintesi. Oggi le scuole di lingue sono sempre più numerose, così come le lingue insegnate. Le persone sono più interessate ad apprendere, e abbiamo la possibilità di scambiare i nostri patrimoni culturali, storici e linguistici. E sono sicura che tutto ciò potrà solo migliorare. Benvenuti in Russia!».

 

La volontaria: Hanna

hannaStudentessa tedesca, appena tornata da un’esperienza di Servizio Volontario europeo in Lettonia, ha deciso di imbarcarsi per un periodo in Russia per poter riprendere la lingua che aveva studiato anni fa e per vivere un’altra esperienza di servizio volontario dopo un primo tentativo non troppo soddisfacente. Una finestra sui pro e contro di un progetto meraviglioso, seppure imperfetto.

 

Partiamo dalla tua esperienza precedente in Lettonia: cosa pensi della tua esperienza nel Servizio Volontario Europeo?
«Vivevo in una piccola cittadina, in un rifugio temporaneo per giovani vittime di abusi, sia fisici che psicologici, o, in generale, con un passato difficile. In teoria, il mio compito era quello di fare animazione con i bambini ospiti. Nella pratica, però, non mi è stata quasi mai realmente assegnato un compito e quindi ho cercato di aiutare arrangiandomi come potevo, di mia iniziativa. Ho anche organizzato una festa per Halloween e per Natale. Purtroppo devo ammettere che l’istituto dove ero andata è uno dei peggiori che abbia visto, avendone visitati altri in Lituania e nella stessa Lettonia. Per il progetto a cui ero assegnata, le attività assegnate ai volontari erano minime e la sensazione era quasi quella che i fondi venissero erogati a vuoto. I responsabili in loco non si preoccupavano minimamente dei volontari e spesso eravamo lasciati a noi stessi. Chi è venuto prima di me ha abbandonato quasi sempre il progetto in anticipo, anche se uno di loro sapeva già parlare fluentemente russo ed era quindi meno isolato. So anche di alcuni casi in cui i volontari sono stati attaccati verbalmente. Io sono arrivata fino alla fine perché non volevo che venissero sprecati del tutto i soldi devoluti al progetto. E anche perché sono convinta che le risorse che non venivano utilizzate per i volontari non venissero utilizzate in modo benefico per il progetto».

 

Com’era l’ambiente tra i volontari di altre associazioni che hai visitato?
«I volontari sono persone molto interessanti, sempre aperte ad altre culture. E, ad ogni modo, ho avuto l’opportunità di fare molte esperienze: fare autostop, ad esempio, anche se ti raccomandano di non farlo… Ma in realtà era il modo più comodo per muoversi. Le dimensioni del paese sono limitate, quindi è stato anche possibile organizzare incontri con tutti i volontari in Lettonia. Ad esempio, per le festività nazionali ci trovavamo tutti a Riga. Questo organizzato da noi, qui in Russia, è possibile solo in termini teorici: esiste un raduno per la formazione, che però può essere effettuato solo raramente, data la vastità della Russia». Quali sono, invece, le tue impressioni sul progetto qui a Cheboksary? «Il progetto mi è piaciuto molto da subito, poi sono rimasta sorpresa dal fatto che alcune persone parlassero inglese! Anche se solo quelle della scuola. È più semplice qui per me, rispetto all’esperienza in Lettonia. La disorganizzazione era tale che non mi sono state mai date lezioni nella lingua del paese ospitante… Anche se sarebbero stati tenuti a farlo. Qui posso avere qualcuno che mi spiega i significati delle parole in inglese. Con il senno di poi, avrei dovuto fare il mio servizio volontario qui».

Milanese di origine, dal 2017 sono in Scozia dove lavoro come reporter per diverse testate locali delle Highlands, tra cui l’Inverness Courier e il Ross-shire Journal. Marcata da una sana passione per bevande alcoliche e viaggi, scrivo soprattutto di whisky sulla rivista Cask&Still o sul blog maltingpotblog.com. Laureata in Mediazione Linguistica e Culturale a Milano e Giornalismo Multimediale a Glasgow, con un salto in Russia e in Francia in mezzo, amo visitare nuovi luoghi ed assorbire nuove lingue e culture (e le loro tradizioni gastronomiche).

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