“Sindrome della capanna” e paura dell’ignoto, risvolti psicologici del lockdown: come riconoscerli e affrontarli
Il lockdown è giunto al termine, portando con sé vissuti, emozioni e disagi legati a questa condizione atipica: difficoltà dell’isolamento, noia, senso di solitudine, ansia per la diffusione del virus, conflitti familiari causati dalla convivenza
Il lockdown è giunto al termine, portando con sé vissuti, emozioni e disagi legati a questa condizione atipica: difficoltà dell’isolamento, noia, senso di solitudine, ansia per la diffusione del virus, conflitti familiari causati dalla convivenza forzata, lo smart working e la complicata conciliazione con le esigenze familiari…
Ma come viviamo l’inizio di una nuova fase, in cui si prospetta una seppur graduale ripresa?
Molte persone stanno sperimentando vissuti contrastanti: si percepisce il desiderio di un ritorno alla normalità, ma anche il timore di riaffacciarsi ad un mondo diverso da quello a cui eravamo abituati.
Ansia e paura potrebbero caratterizzare il passaggio a questa nuova fase, ma è importante considerare che non sono emozioni negative: possono essere risorse utili, in quanto permettono di elaborare strategie per fronteggiare situazioni potenzialmente pericolose o spingere a mettere in atto comportamenti prudenziali.
Quando però sono talmente elevate da pervadere la mente e causare un continuo rimuginio o pensieri catastrofici (“non ne usciremo mai”, “se esco di casa sicuramente verrò contagiato”…) diventano paralizzanti e disadattive. Se ci si rende conto che provocano un disagio tanto forte da diventare totalizzante o le percepiamo come eccessive, è utile chiedere aiuto agli specialisti.
Noi stessi però possiamo utilizzare alcune strategie quando sentiamo queste emozioni.
In primo luogo risulta importante non pretendere di combatterle o bloccarle, ma riconoscerle ed accettare che possano insorgere; in questi casi è utile dar voce ai propri sentimenti, condividendoli con le persone per noi significative: comunicare le emozioni aiuterà a ridurre il senso di vulnerabilità e sentire di avere maggior potere sui nostri stati d’animo, ma anche a sentirci meno soli.
Una volta riconosciute, una strategia utile per evitare che paura e ansia prendano il sopravvento, è riportare il pensiero ai comportamenti concreti: passare dal pensare all’agire, dedicandosi ad attività pratiche (ognuno di noi ha le proprie preferenze: leggere un libro, cucinare o vedere un film sono solo alcune alternative).
Una fonte di preoccupazione può derivare dal fatto che ci sentiamo chiamati ad abbandonare la nostra casa, che durante l’isolamento è stata la “base sicura” che garantiva protezione, per affacciarci ad un mondo ignoto.
Diventa in questa circostanza plausibile vivere la “Sindrome della capanna”, che porta a evitare il contatto con l’esterno, privilegiando la dimensione casalinga, in cui ognuno ha creato un nuovo equilibrio e routine, coltivato nuovi hobbies, riscoperto la creatività e forse aspetti di sé finora sconosciuti.
Alcune persone possono vivere il timore dell’ignoto, in quanto il mondo esterno non è più come lo conoscevamo. Ad alimentare questo senso di spaesamento contribuisce l’uso delle mascherine che, pur essendo necessarie alla protezione individuale, creano un senso di depersonalizzazione: possono impedire il riconoscimento dei volti a noi solitamente noti o inibire la nostra possibilità di leggere le espressioni ed emozioni altrui.
Evitare il contatto con l’esterno, però, contribuisce ad alimentare le fantasie su possibili scenari catastrofici: in questi casi, è possibile affacciarsi al mondo con gradualità, a piccoli passi, senza pretendere cambiamenti repentini o un riadattamento immediato.
Ulteriore fonte di timore è la paura del contagio: in questa nuova fase saremo maggiormente esposti al rischio ed al contatto con gli altri. Molte persone, osservando i comportamenti altrui, vivono stati d’ansia causati dalla sensazione della perdita del controllo. Pretendere di avere tutto sotto controllo è un progetto destinato al fallimento: risulta un pensiero utopistico e porta con sé la sensazione di impotenza. Non potendo esercitare un controllo sugli altri, è più funzionale concentrarsi sui comportamenti che possiamo mettere in atto in prima persona per tutelarci e proteggerci, sperimentando così maggiore fiducia e senso di autoefficacia.
Anche la ripresa dell’attività lavorativa può essere fonte di ansia e paura: molte persone hanno rallentato i propri ritmi e possono credere di non riuscire a tornare a garantire le stesse prestazioni. Consideriamo però che la mente è flessibile e tende all’autoadattamento, pertanto è importante mantenere la fiducia nelle sue potenzialità: così come siamo riusciti ad adattarci al distanziamento sociale, perché non dovremmo essere in grado di continuare a riadattarci?